Non è obbligatorio diventare grandi...

Dici “mah... ad un certo punto bisognerà pur diventare grandi, pare lo debbano fare tutti quelli che intendono restare vivi...”.

Io c’ho pensato a lungo, e non ne sono per nulla convinto.

Diventare grandi non è mica obbligatorio, me ne sono reso conto poco fa passeggiando dopo cena, e ho deciso che quest’ansia da “crescita necessaria” sia parecchio negativa per la società.

Sì, sì... diventare grandi spegne i sogni, intristisce la libido, fa le coppie smunte, i single spenti e con le rughe, gli amanti disillusi, i bambini anziani anzitempo, i Babbi Natale disoccupati.

Le feste sono l’apoteosi di tutta questa necessità di riscossa fittizia dell’adulto! 

Chi si atteggia a grande sfoga nel regalo affermato la propria pseudo-superiorità.
La bottiglia di Chateau Margaux diventa una prolunga dell’IO, un Sassicaia 2010 esalta il reddito quasi a voler dire: “oue figa... ne ho un casino di tredicesima!”
Se non Dolomiti no party.
Se non viaggi con l’agenzia in centro sei solo un plumone bamboccione Ryanair dipendente.
Se il budget non lo declini in grigio alle 20.15 sei uno che la carriera ti puzza.

E tutto questo nell’epoca dei social si moltiplica per enne alla ennesima!
L’adulto ingrandito si esalta di selfie.
Tutto chiaramente ammantato da una cerimoniosa aurea di matura sobrietà, “sono serio io che sono grande”, che manco te la godi la spataccata termonucleare che hai organizzato.
Sarebbe un po’ come riuscire a portare a cena Alessia Marcuzzi e poi chiedere ad un amico se se la può portare a letto lui che a te ti si sgualcisce il blazer di cachemire.
Un giovinotto dentro non farebbe mai una roba così, magari sarebbe vinto sul più bello da una crisi d’ansia da prestazione, ma stai sicuro che ad una gazzosa e piadina da Salvatore seguirebbe un “stacca il tuo biglietto per il paradiso e vieni a bere una Sambuca da me!”.tt

No, diventare grandi è una scemenza giusta giusta per i tristi. 

I grandi hanno le corna e le portano con rassegnazione, manco s’incazzano più, perché si convincono che arrabbiarsi per quello sia roba da ragazzini in surplus di testosterone.

È così anche sul lavoro, i manager migliori sono i quarantacinquenni con le voglie di un trentenne e la forza di un quarantenne.

Ma c’è una speranza, ne son convinto: diventare grandi non è irreversibile.
Sì perché ci si può anche far chiamare senior e avere pure una seniority che fa la mucchia, ma l’importante resta il non prendersi mai troppo sul serio nonostante la fluidità dell’Inglese. 
Adulti nei modi, adolescenti nello spirito, bambini nei sentimenti, quarantenni nel sesso, prenotare un tavolo a cena con il nome di un amico, suonare i campanelli di notte e poi scappare, lottare con il coltello tra i denti per raggiungere un obbiettivo, difendere le proprie idee, ridere almeno tre volte al giorno, lasciarsi cullare dalla nostalgia ma solo le sere pari dalle 23.10 alle 24, cantare Maracaibo in auto con il finestrino aperto al semaforo rosso, ma soprattutto darsi sempre un’altra possibilità chè intanto il tempo c’è.

Ecco, questi sono i primi passi per restare ragazzi, per restare giovani e forti, possibilmente per non perdere i capelli.

E ora vado a dormire, ma prima scrivo due righe a Babbo Natale che settimana scorsa ho dimenticato di farlo, gli chiederò una Stelvio, magari è ancora in giro e gliene avanza una nero splendente lì tra i pacchi dei ritardatari.... buonanotte.

La malinconia

La malinconia a volte ti accarezza e a volte si lascia accarezzare, non sai perché succede ma succede.

È dolce lasciarsi cullare dal tempo, dai ricordi e dal futuro a cui ti aggrappi per vivere il presente.
Dolce e sciocco, perché la malinconia inganna, edulcorando lo scomodo di un passato che comunque è successo.

Il malinconico scrive così, frasi a cazzo per darsi un’aria da tormentato, come il marito che non c’ha voglia di fare all’amore con la povera moglie e si trasforma in un distrutto dal lavoro, quando invece è solo inappetenza coniugale da sentimento stantio.

La malinconia servita a piccole dosi dopo cena aiuta la digestione, meglio se accompagnata da un buon rhum.

L’uomo è molto più malinconico della donna, la donna pensa alle occasioni perse e al tempo sprecato che viene inesorabilmente scandito dal suo orologio biologico, e surroga; l’uomo invece nella malinconia si crogiola, qualcuno perché è un ottimo modo per conquistare donne guaste, qualcun’altro perché è un’ottima scusa per non lasciarsi catturare da donne guaste appena conquistate.

Come spesso faccio voglio dare colore e luogo a ciò di cui scrivo, e allora dico che la malinconia è bianca sotto e nera sopra, la trovi a Zattaglia, è insistente, ha il vento tra i capelli, è giovane, ha il sapore delle troppe notti insonni, è anche rossa come i baci, salata come il mare, dolce come le fragole, amara come il caffè, fredda come la neve, calda e avvolgente come il fuoco di un caminetto acceso, intensa come alcuni piaceri, assurda come i perché irrisolti.

C’è pure una malinconia bambina che sta a capo di tutto, colpisce chi ha voluto rifugiarvisi sin dalla tenera età.

E sì, non sai perché succede ma succede, e succederà ancora, perché dalla malinconia non si guarisce, mai.

Autogrill

Che poi dico io, ma fare un “Imola-Faenza” in autostrada e fermarsi in autogrill all’altezza di Solarolo è così grave?
L’autogrill mi piace, non c’è niente da fare, è così da sempre, un coacervo di genti, di camion, di nafta, di tedeschi e di Crisbì.
Un caffè, poi ti chiedi da dove arriva quello con la giacca blu e la barba lunga che puzza di sudore e compra una Fanta Lemon che l’ultima l’hai vista nel 1989, e la tardona abbronzata con il tacco platinato e lo sguardo perso sul barista, e una brioche miele e cereali che fa tanto colazione anche alle 19.48.
E “Antonella” col cartellino sulla divisa, che distribuisce panini con un’espressione stantia, che capisci che ha mestiere perché lo scontrino lei te lo straccia, a differenza di queste nuove leve che invece te lo rigano con l’unghia in una novella obliterazione 4.0, dove abiterà?
Al lavoro andrà con l’auto o in motorino?
Sì, perché in fondo queste sono le domande che restano dentro.



Più o meno come: “ma chi la compra la mortadella a tocchi in autostrada?” Che c’è sempre lì nel banco “salumi e formaggi tipici d’Italia”, costa come il plutonio, ma è immancabilmente splendida, una signora mortadella direi.
L’autogrill fa viaggio, ma fa anche sosta, fa gita e vacanza, ma anche lavoro e fa anche “la prima volta che hai dormito in una cuccetta di un mega camione”.
E mi ricordo quel giubbotto smanicato mille tasche modello pescatore incazzato trovato tra Parma e Piacenza.
E son convinto che qualcuno sì sia pure innamorato in autogrill, magari cenando al Self.
E son convinto che s’incontrino pure gli amanti in autogrill, uno in direzione sud, l’altra in direzione nord, e via a limonare nel sottopasso.
E son convinto che nessuno si sia mai dimenticato qualcun’altra per sbaglio in autogrill, no, ce a voleva proprio lasciare, lì, in quel luogo atipico e franco lungo una strada senza uscite a raso non regolamentate.

Io c’ho un po’ fretta, per questo prendo la metro

Io “c’avevo” fretta, e “c’ho” sempre avuto fretta, e “c’ho” ancora fretta, e lo scrivo così  volutamente che è brutto da leggere ma il suono mi piace.
E volevo che il tempo passasse, e stavo lì a spostare avanti gli obiettivi, e farò, e vedrò, e adesso vedrai, e dall’imperfetto si va al presente, con un salto nel futuro e qualche accenno di gerundio.

Sono buffi gli uomini, prima sempre di corsa e poi sempre a frenare, nel tentativo di fermare gli anni che avanzano, cinture di sicurezza allacciate e 300 all’ora per dire stop all’inerzia.
Un po’ come un Ogino e anche un Knaus qualsiasi che usano il coito interrotto: 32 secondi belli tirati e poi un finale a metà che non soddisfa nessuno... o quasi nessuno..., sì perché in effetti dipende un attimo dalla situazione c’è da dire.

Rapido. 
A parte la giustizia è tutto molto rapido, le storie d’amore, le storie di letto, le storie di lavoro, le storie di storie. 
Ti risvegli a quarant’anni che sembrano quarantaquattro ed è un attimo che sono quarantacinque.
Sarebbe opportuno mediare, rallentare all’inizio, velocizzare lentamente nell’intermedio, prendere tempo sul quasi finale per stare sulla metà corsa il più a lungo possibile.
Oppure che so, preliminari medio-veloci, poi passione adrenalinica medio-lenta, poi sudore medio-profumato, poi relax (con o senza botola dipende).
Per contestualizzare: arrivare a trentacinque con calma, indugiare molto a lungo sui trentotto e lasciarsi trascinare dai quaranta ai quarantadue.

Il tempo.
Sta diventando un po’ una fissa, perso nella ricerca del come e dopo tanto riflettere, credo di aver trovato la soluzione, e credo che la soluzione sia fregarsene e non cambiare mai, acquisire quell’arroganza tipica del tu passi e io ti fotto, sì io ti fotto... sì io ti fotto perché io “sto fermo”.

Il tempo è relativamente

I#scribacchiando #aperitivoconveniente #pensieri #io 

Io non lo so fare il sommelier, raccontare di profumi e sentori e frutta candita, conosco un paio di tannini ma son sempre quelli, si arrampicano da anni sugli archetti che poi scendono lungo un calice di quasi cristallo.

Ho fatto spesso finta, per avere quell'aria da intenditore di provincia, per comprare un po' di fascino da aperitivo a 5 euro il bicchiere. 
Secondo me il vino rosso si abbina con la marmellata di more, un buon libro ed una biro verde, poi se abbassi le luci e annusi l'aria che viene dalla finestra socchiusa senti l'odore di cantine.
Quelle di fine settembre, quelle che non ci sono più, quelle che frequentavi da bambino, che sapevano di appiccicato, di Fiat 650N verde, di barba che ti pungeva la faccia quando ti avvicinavi per un "bacino", di zucchero e solfiti, che non facevano qualità, ma che hanno fatto un pezzo di una storia, una storia orgogliosa, e grande, e poi punto, e poi fan culo.

Il rosso scuro del vino, i brindisi cresciuti, i crostini, la malinconia, il sughero, le luci soffuse, il diventare grande, poi maturo, poi non si sa, lo slumare con gli abbaglianti, le camice bianche, i tappeti persiani che ti seguono sbruciacchiati dalle scintille infuocate di un ceppo di castagno, due passi.
L'inizio della fine di settembre, ma potrebbe essere aprile, o maggio, o metà febbraio, il tempo è relativamente e ti insegue, come la neve che non scende quasi più, forse c'ha caldo, ma tanto tu te la ricordi ugualmente.

L'atmosfera del particolare

E comunque è il particolare quello che conta, è l'atmosfera che fa la differenza. 
Sono i dettagli che fanno il sapore.

È un po' come baciare al buio, lo si può fare indossando i calzini corti a metà polpaccio, oppure nudi di fronte ad un caminetto acceso, c'è la stessa differenza che passa tra il bere un Tignanello 2003 in un bicchiere di plastica o in un calice di cristallo.

Non lascia la stessa persistenza.

Ci si fa distrarre dall'insieme e poi non ci si accorge che è quel modo buffo che aveva di toccarsi la punta del naso che accompagna i secoli.

Ma davvero pensate che se la scarpetta di Cenerentola fosse stata di nappa sfoderata marrone il Principe si sarebbe innamorato ugualmente?

Siamo fatti di immodificabili cumuli di eccentriche eccezioni, eccezioni che fanno il tutto, un tutto che si chiama io, e si chiama tu, e se ti dice di culo si chiama noi, e pure voi, e qualche volta loro.

Dettagli, quelli di cui ti accorgi senza parlare, semplicemente incrociando i pensieri, quelli che poi escono sempre allo stesso modo, da quel sorriso un po' così che sa tanto di bello.

Sì... atmosfera, se ci penso mi vengono in mente le more, le castagne, il mare, quel perizoma giustamente eccessivo, la neve e quel fiocco più leggero degli altri che sciogliendosi ha fatto un rumore che manco so raccontartelo, ma ricordo che ha fatto freddo, ma un freddo, ma così un freddo che ancora oggi lo sento arrivare.

Uguali uguali o diversi diversi? Qual'è il segreto?

Ma dico io, per funzionare dobbiamo essere simili o diversi? Uguali o differenti?
Tipo "castano e castana" o "bionda platino e nero pastello"?
"Alto e bassa" o "bassa e basso"?
"Giovane e datato" o "giovane e giovane"?
"Simpatica e antipatico" o "entrambi antipatici come la peste"?
"Diavolo e acqua santa" o "ninfomane e allupanato"?

E’ dalla notte dei tempi che se ne dibatte, ho visto coppie scoppiare perché non hanno trovato una risposta a questo enigma, con lui che accusava lei di essere troppo diversa e lei che accusava lui di essere troppo uguale. 
Se non si fossero posti il problema probabilmente sarebbero ancora lì ad invecchiare insieme, invece…

C’è chi sostiene che la diversità arricchisca, io non ne sono del tutto sicuro, la diversità secondo me segmenta.
Sì, segmenta. Segmenta gli spazi e segmenta il tempo.
La coppia di diversi si seziona, architetta, divide, e divide prima la casa secondo una logica di spartizione per zone di comfort individuale: il bagno di sopra e il bagno di sotto, la tv grande e la tv piccola, il divano e la poltrona, il lato del letto vicino alla finestra e quello vicino alla porta, l’armadio e la cassettiera, sedia di destra e sedia di sinistra in sala da pranzo.
Solo l’amore fisico unisce, se la coppia è diversa ma sessualmente molto compatibile, ecco che allora gli spazi diventano un tutt’uno, il sopra si confonde col sotto, l’armadio col letto, la cucina con la salo da pranzo, e non mi spingo sui particolari che siete grandi e c’arrivate da soli e questo è un blog semiserio e non posso fare il pornografo.  
Solo un problema, se vive in un monolocale con una finestra sola, la coppia che segmenta è spacciata, finito il coito finisce la convivenza.

Poi dopo aver diviso lo spazio subito pronti a dividere il tempo, e lo si fa funzione del lavoro, dei figli, ma soprattutto  di se stessi, e così lunedì calcetto, il martedì pomeriggio estetista, il martedì sera poker, mercoledì corso di inglese (lei), giovedì latino americano (lei), venerdì amici (lui), sabato e domenica dipende, lei –lui-loro, si fa qualcosa tutti insieme.
La sintesi del tempo diviso è sempre un attimo prima di dormire e due attimi dopo aver fatto l’amore, ci si racconta distrattamente che cosa è successo, confondendo i ricordi in racconti verosimili, con dettagli volutamente celati e ricostruzioni parziali, e se si potessero riassumere i bisbigli di sintesi in camera da letto ne uscirebbe che: “il prof di inglese giocando a poker con una tipa che balla il merengue, ma solo dopo una epilazione laser total body, le ha detto I love You, ma era solo una frase buttata lì per portarsela a letto la settimana dopo, dopo la partita e dopo la pizza”. 
Ed ecco che i bisbigli scemano dolcemente in un “notte” – “notte” – un piedino di lei, un piede di lui, ci si addormenta.
Se poi i due di coppia non convivono e sono pure diversi, allora la segmentazione non divide solo gli spazi tra le stanze ma proprio le case, e la sintesi della settimana non è fatta dai bisbigli sul lettone ma dai bip-bip della chat di WatshApp, dove è stato creato un gruppo a due intitolato “Un po’ di noi diversi”.

E gli uguali? Beh gli uguali, sono uguali.
Io qui sotto-dividerei in due grandi sotto-categorie: “gli uguali innamorati” e “gli uguali ne ho le balle piene”.
Partiamo dalla seconda che è più facile, questi non si amano, se va bene si stimano, se va male negano a se stessi di essere identici e si detestano, ma stanno comunque insieme, almeno sette anni, perché sette anni è il tempo necessario a che le balle piene esplodano.
Perché dite succede questo? Perché sono la stessa cosa, e quindi troveranno la stessa finta ragione per farla durare finchè dura, e possono essere i figli, oppure le rispettive famiglie di provenienza, o il mutuo cointestato, oppure “cosa vuoi…  è così”.
Gli uguali di questo tipo hanno profondi problemi di convivenza, perché vogliono lo stesso bagno, la stessa Tv, lo stesso armadio e lo stesso lato del letto.
Quando fanno l’amore vogliono stare tutti e due sotto o tutti e due sopra.
E pure quando devono organizzare la settimana è un casino, entrambi  il lunedì a calcetto ed il martedì dall’estetista. Davvero complicato.

Poi ci sono gli uguali innamorati.
Beh questa è un’altra categoria. 
Ora rallentate un attimo a leggere, pensate virgole e punti anche dove non ci sono, pure un qualche punto e virgola, calatevi nella parte, concentratevi un secondo che qui è intensa,   
Gli uguali innamorati li riconosci da un ventitre-ventiquattro cose fondamentali, non le dirò tutte, mi limiterò alle principali.
La prima è che gli uguali innamorati si cercano, si cercano e si cercheranno.
Lo fanno continuamente, lo fanno per raccontarsi, per guardarsi, per rassicurarsi, per eccitarsi, per perdersi e poi ritrovarsi, per baciarsi con la lingua.
Si cercano continuamente per ridere insieme delle stesse cose, per piangere anche in momenti diversi della vita ma per le stesse ragioni, pure a distanza, pure senza dirselo esplicitamente, ma tanto lo sanno che lei sa che lui sa, sono uguali.
Si cercano perché non possono farne a meno, l’essere uguali  fa sì che uno più uno diventi “uno un po’ più grande”, che è una cifra molto più forte di due, perché non si divide, è il numero primo per eccellenza.
Si cercano per organizzare lo spazio e il tempo, e le piazze del letto si confondo sovrapponendosi, l’armadio e il cassettone, le due TV accese sullo stesso canale nella stessa stanza, un bagno solo, a volte una casa ma che possono essere anche due, dove si cena da lei, si dorme da lui e si fa l'amore anche sulle scale e qualche volta si tromba pure.
E si cercano per organizzare il tempo, ma non organizzano proprio un bel niente, perché il tempo semplicemente succede da solo, con o senza gli amici, con o senza il calcetto, con o senza peli e con buona pace dell'estetista, perchè gli uguali innamorati possono godere della libertà di essere liberi insieme, da soli in due senza soffrirne, uguali, innamorati, per sempre.

Volete sapere le altre ventidue-ventitre cose? No, non importa, sono solo ininfluenti dettagli.




La nostalgia fa l'amore con la malinconia

#particolari #pensieri #scribacchiando 

La nostalgia è il sentimento del giorno dopo, di un qualsiasi giorno dopo, non è legata ad un luogo, ad una persona, ad un gelato, è uno stato dell'animo.

La nostalgia si nutre di tempo che passa, che trascorre, a volte del tempo che deve ancora arrivare, conosco genti nostalgiche del futuro, di quello che sarà, che sarebbe stato, di dovrebbe.

Il nostalgico è a prescindere.

La nostalgia fa l'amore con la malinconia, ne nascono sorrisi spenti ma veri ed occhi profondamente trasognanti. 

La nostalgia la trovi in riva al mare, lungo la via, l'ascolti in una musica jazz misto blues, la sorseggi in un calice di Sangiovese riserva, l'assaggi in una piadina salsiccia e scuacquerone, la nostalgia la porta via il vento, sa di camion lungo l'autostrada, di profumi di cantina, di voci che non ricordi, di marmellata di more, di sogni ad occhi aperti e di progetti ad occhi chiusi.

La nostalgia è romantica, come solo gli stricchetti al prezzemolo di romagnola ricetta possono esserlo, sa di casa e di vacanza, di ultimo giorno di scuola e primo giorno di lavoro.

La nostalgia è un chiringuito sulla spiaggia, una manina che ti stropiccia la guancia prima di addormentarsi.

Questo non è l'elogio a questo nobile stato, è un frullato di pensierini, così per chiacchierare tra vecchi amici, è un modo per colorare un attimo come un qualsiasi pittore di parole, un tentativo di trasmettere un'emozione, cercando di darle forma, rendendola vera, vera come i sogni, persistente come i ricordi, ironica come la gazzosa.

Desideri cadenti in una notte di stelle che traballano

Desideri? 
San Lorenzo? 
Stelle cadenti? 
Caricare troppa aspettativa sulle spalle di chi sta scendendo non mi sembra bello.
Sìì fa romantico, certo, è vero, ma mi pare faccia pure un po' "me ne approfitto".
Tutti a chiedere di esaudire, tutti mendicanti di sogni, tutti a pretendere che luna si spenga anche solo per un attimo che altrimenti il desiderio non si vede.
E le nuvole? Tutti a maledirle queste poverette se solo provano ad oscurare, specchio opaco delle difficoltà, le nuvole a San Lorenzo son come le sfighe svolazzanti che capitano proprio quando il "vorrei davvero tanto" prende forma. 
Siamo dei razzisti temporali, degli autogiustificatori che si arrabbiano con il cielo se quello che vorremmo non diventa presente.
E allora ci si attacca ad una stella, e mica quella bella luminosa che fa un po' patacca là in mezzo a tutte quelle presuntuosette, no, ci si appiccica a quella più piccola, a quel frammento piangente che lacrima scie iridescenti.
Mai nessuno che abbia chiesto di cadere alla stella polare, lei zitta a segnare il nord e le altre a traballare.
E allora San Lorenzo va bene per i baci senza pretese, per i brindisi sulla spiaggia, per i grilli tra i calanchi, il profumo del fieno, le promesse che durano il tempo di un niente, le auto cabriolè, l'amore sudato ma non troppo.
Notte di ogni prima volta, dove lei è convinta sia stato amore, e lui è convinto di essere irresistibile.
Notte di passioni cadenti e futuro incerto, di stalle all'aperto, di musiche soffuse, notte per sceneggiatori, papponi, illusi speranzosi e amanti traditi, sì traditi, traditi da tutte quelle stelle che non sono cadute mai, e forse la colpa del "non succede" è solo la loro, di quelli che si ostinano a non mollare.

Siamo quello che siamo stati, diventeremo quello che siamo

Dico io... qualche volta sarebbe bene ricordare di dimenticarsi.
Perché è vero che siamo quello che siamo stati, ma diventeremo pure quello che siamo, in un circolo vizioso dell'essere, dove le persone non cambiano e il tempo si attorciglia.

E fidatevi, succede e succederà senza riuscire ad innovare nulla, e per fortuna aggiungerei, o tutto sarebbe solo un gran ricominciare da capo, uno strafottuto spreco di energia senza costrutto in una foga distruttiva di quello che c'era prima.

"Siamo nani sulle spalle di giganti", quanto mi piace sta frase, quasi quanto la cioccolata, ha quel non so che di epico-romantico-lungimirante, omini che sfruttano il sapere d'altri, un sapere che trapassa, liquido come il miele d'acacia, ma incapace di far cambiare l'orizzonte.
Tutti a guardare nella stessa direzione.
Sarà che i nani son troppo nani e i giganti troppo poco giganti.

Accumuli di ricordi, di esperienze, d’abitudini, di vizi, di caratteri, d’incontri, di scontri, di colori e profumi.
Accumuli di amori, di storie d'amore, di odio, di disprezzo, di paura, e poi caldo, e passioni, passioni, passioni, di quelle mai sopite o di altre solo accennate.
Accumuli di caso, ricoperti di destino, di errori, di grandi successi, di quelli che inebriano nel breve ma che distraggono alla lunga.
Accumuli che rendono gli uomini miopi, capaci di vedere ad un palmo ma senza prospettiva.

Accumuli, di quelli che solidificano e rafforzano, da qualche parte lì che non sai dove e sai poco anche perché, ma sai che stanno sempre in mezzo alle balle, questo sì lo sai.

Ecco cosa intendevo io, riflettendo poco fa di fronte alle repliche di Bones 11^ stagione.

Le persone non cambiano, semplicemente perché si sono costruite così.

L'insoddisfazione aiuta la coppia

Sì sì, è l'insoddisfazione che tiene unite le coppie nel tempo.

Nell'87% dei casi direi.


Dopo profonda e meditata analisi socio-antropologica sono arrivato a questa conclusione: l'insoddisfazione unisce.


Perché? Essenzialmente perché l'insoddisfatto di coppia si abitua all'insoddisfazione, come chi soffre di colesterolo si abitua al Danacol, ogni giorno che passa la cosa cronicizza, accompagna il quotidiano e si fa routine, ed essendo l'uomo assolutamente tranquillizzato dalle abitudini è molto facile comprendere.


Poi l'insoddisfazione stimola, stimola l'esterno. 

E stimolare aiuta il tempo a passare.


Gli insoddisfatti dentro hanno una vita molto movimentata fuori, occupano gli spazi vuoti, è il cosiddetto effetto marea, perché oltre ad essere tranquillizzati dalle abitudini gli uomini sono pure attratti dalla pienezza degli spazi.

Siamo tutti dei ciccioni inconsapevoli, dei finti magri di spirito, siamo degli accaparratori di sentimenti vari, spesso nascosti e soprattutto di nascosto.


Vogliamo una vita piena, piena di emozioni, perché abitudinari sì ma emotivamente stimolabili.


Lo so, sembra una contraddizione, ma è un po' come quello che porta i sandali con i calzini, lo sa pure lui che fanno cagare ma continua a metterli ugualmente, perché lo ha sempre fatto, e quando li toglie si emoziona tranquillamente, sa che domani potrà indossarli di nuovo, e ne è felice, serenamente felice. 


Smaciullati di insoddisfazione ecco allora che l'esterno diventa rifugio, un esterno con mille facce, facce di donne altre e di uomini altrui, di cosi e di cose, di botole e cani morti (*), di lavoro e di hobby, di sesso e ascetismo, ad ognuno il proprio, ma vissuto fuori, fuori dalla coppia, ma non in maniera aperta (che ci sta sia inteso), ma assoluta e segreta.

E segreto in caso di amanti è pure quasi scontato, non sempre ma abbastanza in realtà, ma segretamente singolo in caso di calcetto, o libri, o ballo, o amici, o viaggi, o la piadina con la salsiccia alla baracchina fuori porta, è tenacemente voluto invece.

Un modo per tenere la parte emotiva al riparo dall'insoddisfazione.


Di contro i soddisfatti si mollano, circa nel 68% dei casi ho calcolato.

Sì perché dopo tutto quel sesso spinto, quell'intesa perfetta, gli orgasmi multipli, la prima e la seconda casa, i figli, la comprensione reciproca, l'aiuto reciproco, le vacanze reciproche, gli amici reciproci, la dichiarazione dei redditi congiunta, la pizza bufala e crudo divisa sempre a metà, ecco che scatta la paura di perdere tutto e patataffete. 

Si mollano.


Ho sempre sostenuto che niente è meglio di piuttosto, ma la statistica dice il contrario.

Non sono d'accordo ma ne prendo atto.

Piuttosto allunga la vita, la vita di coppia e pure la vita a prescindere.

Fossi la Ghisleri farei un sondaggio scientifico a riprova e mi confermerei di aver visto giusto.

Certo non è obbligatorio vivere a lungo, lo dice anche quella storia del leone e delle cento pecore o i cento giorni delle pecore - ora non ricordo bene - ma io non do giudizi stavolta, faccio solo una banale constatazione, ad ognuno la propria scelta.


Ho finito, se vi va rifletteteci un po' sopra bevendo Sangiovese fresco o una CocaZero, altrimenti chiudete il link e uscite ad emozionarvi per strada, ma date retta a me, moderate la soddisfazione!!!


(*) per la comprensione profonda di questo accostamento consiglio "Gli Uomini amano troppo" di Filippo Facci.


La passione si nutre di carne Simmental

Le passioni sono presuntuose, arroganti, temporaneamente persistenti, caducamente totalizzanti, ma sono anche un po' sciocche.

Sì sì sciocche, sciocche nella loro pretesa di assoluto.

Nascono per occupare spazio, tempo e un pezzo di testa, per farlo usano il cuore e la pancia, e si manifestano in modi e maniere diverse, ma passano tutte dal gusto.
Perché le passioni si gustano e si assaporano, e si assapora l'amore, si assapora la voglia di velocità, si assapora la fatica, la Coca-Cola zero e la birra alla spina, la politica, la scrittura, la corsa, l'intelletto.
Non ci credete? L'amore ha i sapori del vino rosso e del cioccolato fondente, la fatica sa di sudore, la velocità di adrenalina, la Coca-Cola ha il gusto degli aromi naturali chimicamente trattati, la birra sa di pizza, la politica di pesce, la scrittura sa di quello e di quell'altro e dipende da chi legge, la corsa sa di sole. 

L'intelletto non è una passione, ma è indispensabile averne almeno un po' per coltivarne una.

Le passioni sì nutrono di ieri, di oggi e pure di domani.
Sono onnivore, mangiano di ogni, anche la carne Simmental se serve a fare presto.
Perché chi ha passione ha fretta di essere appassionato, vuole tutto subito e anche dopo, finché dura chiaramente.

Gli appassionati lo saranno per sempre, a volte se ne dimenticano, ma fa nulla, è la vita ad essere fatta così: ricordi selettivi che si ammucchiano in cataste di esperienza, che crollano giusto un attimo prima del "momento giusto", per consentire a tutti di rifare appassionatamente gli stessi vecchi e nuovi errori.

Le coppie

- Tipi di coppie dici?

- Ma sì, coppie...

- Mmm... 


Da che mondo è mondo la coppia cerca di definirsi, di regolamentarsi, di regolarsi (anche di sregolarsi alle volte), perché in fondo se sai cosa sei magari è più facile.


Tra le coppie note la più semplice è il single, ho già scritto paginate su questo argomento, non mi dilungo, sintetizzo, dico solo che il single è uno che decide di fidanzarsi con se stesso. 

Perché? Svariate possono essere le ragioni, si va dall'incapacità di vivere il due, alle allergie, alla timidezza congenita che non riesci a dire neanche "ciao", alla sfacciataggine lussurieggiante che di "ciao" ne fa dire fin troppi, all'abitudine di stare soli, alla voglia di stare in tanti ma senza impegno, alla casa piccola, oppure la macchina cabriolet due posti che se poi nasce un figlio dietro non ci sta e alle cose bisogna pensarci prima.

La coppia single non litiga quasi mai, anche se può capitare in realtà, un bel conflitto interiore alla cazzo.


Poi c'è la coppia evergreen, quella che non tramonta: i morosi. 

I morosi sono impegnati ma protesi soprattutto al futuro, quello di "quando siamo a posto", escono il martedì, il giovedì, il sabato e la domenica dalle 15.00 alle 23.00.

Non convivono ma si stimano, fanno le vacanze insieme, sono quasi sempre fedeli (soprattutto col pensiero), vivono i problemi piccoli in comune e le tragedie da soli. 

Hanno una sessualità timida ma soddisfacente, non si abbandonano agli eccessi di coppia ma vivono la routine del rapporto come l'ineluttabilità di uno stato, ed è un peccato, perché potrebbero darsi molto di più. 

Si mollano in media dopo dieci/dodici anni, quando scoprono l'eccesso della porta accanto, di solito è mora e per niente timida, oppure castano con la giacca nera.


E quindi si arriva ai fidanzati.

I fidanzati sono quelli che dopo tre settimane dal primo bacio con la lingua hanno già messo a budget il matrimonio. 

Sono dei programmatori del sentimento, del sesso e del quotidiano. 

Tutto è finalizzato, sono loro stessi dei finalizzati, si risparmia per la casa che sarà, per il party di nozze che sarà, per il figlio viziato che sarà.

Le vacanze, sono le stesse che ha fatto quella invidiosetta della migliore amica di lei, scelte last-minute appena questa è rientrata.

Fanno l'amore con passione, se la godono pure, ma è un calando programmato, l'esagerazione del primo anno, quella autoreggenti e perizoma interdentale, si avviluppa gradualmente nella routine del rapporto da fine settimana, pigiama e pantofole, calzettoni e piumone.


E i trombamici? 

Anche di questi ho già scritto, ma negli ultimi tempi mi sto convincendo che in realtà non esistano. 

O trombi o sei amico.

Il trombamico moderno tende sempre più a sconfinare nel sentimento, perché senza l'appesantimento della routine l'amore è più facile, e a quel punto finisce l'amicizia e scatta la voglia di stare.

Di stare insieme, di stare bene, di stare incastrarti.

Il sesso disincantato e pseudo disinteressato degli inizi lascia il posto alla passione arroventata, letto-auto-bagnodelristorante-prato-spiaggia-cucina e lavatrice. 

Non più amici diventano dei professionisti del lato gioioso, del sorriso, delle tante cose da dire, dell'eccesso appassionato.

La storia spesso degenera nel fidanzamento.


E poi il cliché per antonomasia: gli amanti.

Gli amanti prima di tutto sono dei falsi fuggitivi dalla coppia, sono due che accecati dalla routine cercano riparo nella passione della relazione parallela.

Confondono la felicità con le uscite senza mutande, la sintonia con i baci rubati perché di più non si può, la voglia di stare insieme con le camere ad ore. 

9 volte su 10 hanno ben chiaro il proprio obiettivo: il lui/lei casalingo/a non dovrà mai sapere e se saprà si negherà.

Gli amanti sono dei laureati in "lo mollo domani".

Il sesso è spietato, tanto, eccitante, con pretese di assoluto, peccato che sia così ogni volta.

Gli amanti sono recidivi, ripetitivi, insoddisfatti prima e dopo, con sprazzi di gioia nel picco del durante.


I separati in casa.

Le coppie di separati in casa sono figlie della crisi e della mancanza di coraggio, dei figli, dei genitori, degli amici, delle delusioni reciproche, dell'insoddisfazione, dei sogni bruciati, del mutuo trentennale, del comodo di una convenzione che comunque tutela, ma soprattutto della scusa per non andarsene.

I separati in casa sono dei tristi, dei repressi, fanno un sesso svogliato all'esterno e per sbaglio all'interno. 

Godono poco, non sorridono mai, bevono birra e mangiano pizza senza mozzarella. Allevano figli e costruiscono vie di fuga, sono psicologicamente distrutti, con divani letto molto comodi.


E per finire ci sono loro: gli sposati.

Ecco , mi fermo qui, ho detto che avrei parlato solo di coppie

Far l'amore con le finestre aperte e le tende socchiuse non da quasi mai nell'occhio. Titolo fuorviante per fare audience.

Mi piacciono le finestre aperte con il volume alto che esce sulle strade semi vuote nelle sere di un inizio giugno che sembra fine luglio.
E tu passi sotto e sei costretto a farti gli affari degli altri, non vuoi ma sei costretto, la bici, vai piano e ascolti, spaccati di vita che ti assalgono.
Prototipi del genere umano in rapida successione e questa sera ho incrociato questo...

Un sordo. Il volume della TV sparato a 48, i vetri che vibrano pure se aperti, le zanzare che si suicidano sul lampadario drogate di Cecchi Paone su R4, la moglie del sordo che guarda giù in strada, nel vuoto, mi vede arrivare in lontananza, mi saluta e mi dice: "salvami giovanotto, chiama qualcuno, sono 32 anni che va avanti così, lo sapevo io che dovevo sposare l'altro, era bello, mi voleva bene, facevamo l'amore, non era sordo e si chiamava Alain". 

Una giovane. Qua solo una musica leggera di sottofondo, RadioItalia in streaming, single costretta, una sigaretta fumata piano, gli occhiali, i capelli lunghi neri e sciolti che svolazzano, una T-shirt bianca e larga giusta a cui lei è molto affezionata perché gliel'aveva regalata lui, perizoma bianco, il davanzale, due gerani rossi e uno bianco, non mi vede passare, sta lì appoggiata e guarda la luna e non fa l'amore da almeno quattro mesi e mezzo, nemmeno una trombata inutile da passatempo, è solo fissata di lui anche se crede di esserne innamorata, sospira con un fare romantico e stanco.

Un marito e una moglie. TV volume 34, i figli dormono, i cellulari si illuminano, WhatsApp che vibra, mille chat che si i esaltano in successione, il calcetto di lui, le amiche di lei, i colleghi, le colleghe, il coro della parrocchia, gli amici di Amnesty International, la gita del figlio, le madri delle amiche della figlia, poi Gigi, e poi Olga, ... qui non vibra nulla, le notifiche sono silenziate.
Poi a dormire, "notte", "notte amo", "hai sonno?", "un po', perché?","così, com'è andata oggi al lavoro?", "mah..", "facciamo l'amore?", "è sabato?", "no","allora è meglio un'altra volta valà", "..devo ricordarmi il Vagisil..", "devo ricordami..".

Due amanti. Luci quasi spente, tende leggermente scostate per dare l'impressione ai vicini che non c'è nulla da nascondere, ormoni e adrenalina, lui single lei meno, il rumore della mia bici che passa fa un attimo agitazione, lui controlla fuori fingendo un'improvvisa preoccupazione per i ladri, se non fosse per le macchie di rossetto sulla fronte sarebbe quasi credibile, rumore di letto che traballa, spregiudicatezza e piacere, rumore di vicino che "di nuovo sta minchiata delle tende". 
Non è amore, è passione, disincanto, voglia di illusione, di evasione, di farsi beccare ma non troppo, di sentirsi vivi dopo aver sbagliato quasi tutto. Alle 23.54 il portone si apre e lei esce.

Un rifugiato politico di colore con l'accento di Spazzate Sassatelli. Non c'è nessuna finestra, sta seduto al tavolino di un bar chiuso ma in zona Wi-Fi, telefona, videotelefona, telefona, videotelefona, telefona. Che te, che passi un attimo di lì in bici, te lo chiedi almeno una volta: "ma a chi straminchia telefona questo qua?!".

Una vecchietta. La finestra è chiusa, la TV spenta, lei è a letto ma non dorme, pensa da sola, parla da sola, vive da sola, è ordinata e si capisce da come tiene il balcone, lo stendi bucato è piegato e nascosto dietro l'armadietto, è pentita di quello che non ha fatto ma per fortuna non se lo ricorda più così bene,la mia  bici che passa non la sente, la sua è nel cortile interno, un po' scostata dalle altre, la tiene sul cavalletto non appoggiata al muro che poi si segna.

Due ragazzi. La finestra è aperta, la luce spenta, i genitori dormono, loro sono fuori sulla panchina di fianco ai giardinetti della fontana, limonano, lui le tocca le tette, sognano, uno con gli occhi aperti e l'altra con gli occhi chiusi, sorridono, i jeans, le mani che frugano, tutta la vita davanti, gli esami, la patente, il lavoro, il padre di lei che si sveglia incazzato a bestia, si affaccia e mi vede e mi dice: "dille che se non la smette e rientra entro trentadue secondi i genitori di lui domani avranno un figlio in meno". 
In effetti è giusto.

Io. 
La bici, un caffè, un gelato, le vie del centro, una brezzolina leggera, pensieri che vanno, osservo e ascolto quello che c'è e pure quello che non c'è. 
Il rifugiato è ancora al telefono, l'amante è rientrata, moglie e marito per ora sono ancora sposati, il sordo russa, la giovane si è lanciata sulla cioccolata e non farà l'amore per altri sette mesi, la vecchiettina dormirà fino alle 5.45 e si sveglierà sola, il ragazzino è ancora vivo e sta facendo una doccia fredda, la ragazzina è crollata sul letto e suo padre la sta osservando con lo sguardo più innamorato del mondo.
La chat delle mamme della 3^ B è arrivata al trecentoquarantaseiesimo messaggio della serata.

Pensieri di una calda sera di primavera

Guarda che poi è buffo, la sera c'è un gran traffico di pensare, soprattutto quando fa caldo, e le finestre sono "semisocchiuse tuttoattaccato", pensieri che vagano, un andirivieni, un pensare a volte silenzioso e altre volte ingombrante di decibel.
Tutti convinti dell'unicità delle proprie riflessioni, quando invece sono mille i pensieri che si sfiorano, che si scontrano, che si incontrano, che si sovrappongono, che per alcuni divergono nella-stessa-stanza-sullo-stesso-divano-nello-stesso-letto, e che per altri convergono invece sugli stessi istanti-desideri-aneliti pur a decine di metri-kilometri di distanza.
Insopportabili e irrinunciabili.
Quando la sera fa caldo, quando la primavera è lì che fa l'amore con l'estate, è più facile pensare, sognare, incazzarsi, riflettersi, fare bilanci, prendere o non prendere decisioni, avventate o meditate, irreversibili o provvisorie... "ah se fosse"... "ah se sarà"... "ah se sarebbe"... il pensare è l'arte del possibile e pure dell'impossibile.
Pensare è la più grande delle contraddizioni, perché puoi trovarti nel giro di pochi istanti lanciato verso la partenza o bloccato nel tuo quotidiano, seduto lato finestrino fila 3B di un Boing 747 o sul sedile posteriore di una Panda Country usata del 1998.
Puoi pensare ad un chiringuito a Barcellona, ma pure ad un chiosco della piadina al passo della Colla.
Pensare è uno sguardo lanciato sulla strada di fronte, con quell'espressione un po' così che sa di distratto con gli occhiali.
Sì è buffo, è buffo osservare quanto gli uomini (anche le donne, mi riferisco al genere... quello umano!), rubino tempo al fare prigionieri del pensare.
Sarebbe stato, sarà, fu, è tutto più facile se si fosse capaci di abbandonarsi ad una calda, razionale, inutile, incoscienza...

UOMINI & DONNE

Proviamo un attimo a parlare di uomini e di donne, di lui e di lei o di Quello e di Quella se vi piace di più, di questi due soggetti opposti eppure così simili.

Ci pensavo giusto mezz’oretta fa all’area di servizio Santerno Ovest in località Solarolo, che mi piace sempre fare una sosta in autogrill durante un viaggio di ritorno, caffè e brioche alle 19.28 riconciliano con la giornata.

Maschi e femmine. 
Due pezzi del Tetris, un incastro praticamente perfetto se trovi la posizione giusta.

Lui e lei.  
Tutta la vita a rincorrersi, a cercarsi, a cacciarsi, a sfuggirsi, a ritrovarsi, a perdersi, ad amarsi, a detestarsi, a pensarsi, a mangiarsi, a non poter fare a meno l’uno dell’altra ma anche a non riuscire a stare più di ventitre minuti consecutivi insieme nella stessa stanza.

L'uomo e la donna.
L'uomo che deve recitare la sua parte o che almeno dovrebbe, quella del fidanzato e dell’amico e del marito e dell’ amante e del padre.
La donna che deve vestire il proprio ruolo, quello dell'amante e dell'indipendente, della preda e della “fidanzata pure lei", e poi fedele e difficile e madre.

Quello che deve conquistare Quella che deve farsi conquistare.
Lei che deve far capire che se lui ci prova poi lei ci sta, come in un infinito e tremendamente affascinante gioco delle parti.
No, no! Non sarebbe affatto più semplice “se lei tornasse vestita soltanto del bicchiere”, servirebbe solo a scadere nello scontato alla velocità della luce.

L’uomo e la donna a volte fanno “una coppia”, a volte ne fanno due, e a volte fanno semplicemente due single che stanno insieme per caso e non si capisce bene nemmeno il perché, forse per l’affitto o forse per i figli, magari per il mutuo (che altrimenti la banca s’incazza) o perché hanno solo un’automobile ed una bici e così ottimizzano, quello con la bici se piove è più tranquillo.

Ma si badi bene, tra il fare coppia ed essere coppia passa il mondo.

Chi è coppia è “carne e sentimento, saliva e umori, passione e amore, trasgressione e normalità, fantasia e piccoli eccessi, testa e cuore, nudi e vestiti, con e senza mutande, improvvisi e razionali a tratti, è di fronte allo specchio e sopra ad un letto, lenti ed accelerati, screanzati e sfacciati, dolci e prepotenti… con le mani sull’anima, a volte schiacciati dal troppo pensare, fuggitivi, agitati, con mille problemi ma appiccicati, umidi, eccitati ed eccitanti, emozioni raccontate ed altre invece nascoste dentro di sé nella speranza che escano all’improvviso per aumentare l’intesa…” (tutto tra virgolette perché l’ho preso in prestito da una storia che stavo raccontando prima di scendere dall’auto dopo la sosta in autogrill).
Chi è coppia è voglia, è voglia di due, è voglia di uno che prima o poi ritroverà il due, è saper stare soli così che insieme non è necessità ma piacere.
E’ frigorifero vuoto che poi un due tre cose le cuciniamo ugualmente, è mettere un fermino quando si esagera lasciando comunque liberi di scegliere.
E’ la separazione dei beni che tanto stiamo insieme.

Chi fa la coppia invece è convenzione e regole, è non detto, sesso senza cuore, cuore senza sesso, né cuore né sesso, è frigorifero pieno perché ogni fine settimana e ogni mercoledì  c’è la spesa alla Coop, è calcolatrice per capire a chi l’Imu e a chi la Tari, è evasione fisica dalla coppia ma anche solo mentale, è fuggire dal noi ogni volta che c’è un problema vero per rifugiarsi nel “qualcos’altro”, quel qualcos’altro che viene da lontano e non se ne è mai andato oppure che è sbucato all’improvviso una sera di quelle.  
E’ la bella casa per addolcire la noia, è la vacanza esotica perché fa, è lo spegnersi nella routine, è l’espressione malinconica di chi si addormenta tardi davanti alla tv, ma anche lo sguardo spento allo specchio mentre il latte detergente combatte strenuamente con quel filo di fard che doveva dare colore alla serata.    
E’ comunione dei beni che se poi non stiamo più insieme ci pensa il tribunale.

Lui e lei.
Per funzionare devono inseguirsi, uno scappa e l’altra corre, uno corre e l’altra insegue, degli zingari da rotonda.  
Per funzionare non devono darsi mai per scontati, che è di certo la più grande delle banalità ma nel quotidiano Dio solo sa quanto è facile dimenticarsene.

Quello e Quella.
Sono una somma di errori che insieme possono fare persino una catastrofe, ma se va di culo possono fare le scintille.

Lui e lei esistono, nella vita non è detto che si incontrino mai, a volte capita, a volte no, a volte capita nei posti sbagliati e nei momenti sbagliati, capita che s’incontrino quel pomeriggio all’Esselunga che lei c’ha il ciclo e l’ormone agitato fa si che non si accorga che lui stava passando di lì con il carrello semivuoto tipico del single cronicizzato.
Lei e lui esistono, ne hanno parlato in tanti, ne hanno scritto in tanti, ne ho visti tanti, ne ho visti tanti che credevano di esserlo e pure qualcuno che fingeva di esserlo. 
Perché tutti un po' fingono.

Uomini e donne, due parti, due metà, due contrapposti che si attraggono e qualche volta si sottraggono, due che pensano e fanno pensare.
Due attori del luogo comune nel teatro della vita (questa ho desiderato scriverla fin da quando ero bambino!!).
Lui brutto e lei bella, lui bello e lei brutta, lui brutto e lei brutta, lei e lui.
Due romantici che colorano i tramonti, ma anche due bastardi che fanno ridere, o due che diventano uno, o uno che diventano due.

Uomini e donne, un aperitivo salumi e formaggi, vino rosso e vino bianco, sgabelli e mi sono dimenticata il collant.

Uomini e donne.

Lui brioche e caffè alle 19.28, lei insalata e mirtilli alle 18.59, e il mondo fuori cerca Igor dal salotto della Barbara D’Urso.


Quelle rughe un po' così

No è che pensavo alle rughe, quelle d'espressione, quelle che fanno pendant con il capello brizzolato.

Quelle che a vent'anni ne vorresti a pacchi perché la ragazzina, la più carina, la tua coetanea, s'è persa spacciata per quello lì che fa l'interessante con tutti quegli anni di più.

E invece arrivano quando è troppo tardi, le riconosci all'improvviso davanti allo specchio, una sera come tante, un po' ne sei compiaciuto, ma un altro po' t'incazzi, perché la tua coetanea oggi "c'ha" l'amante ventenne chè quello con le rughe l'ha già vissuto allora.

I tempi ingannano, c'è chi arriva sempre un attimo prima e chi sempre un attimo dopo, come i peli sul petto in fase adolescenziale, i puntuali sono rari, e sono sempre quelli, quelli con la faccia da pirla e l'animo da Scamarcio in Jhon Wick 2.

Ed è per questo che ad un certo punto si cerca di compensare, sì... di compensare: la pancia con il fascino, la barba bianca con "l'interessantezza d'animo", il Rolex finto con lo Swatch originale, le multiprestazioni con la fiducia, i mancati sorrisi con gli sguardi, il motorino con la macchina TurboDiesel, l'amore con la presenza, l'amore con la compagnia, l'amore con i figli, l'amore con il ti voglio bene, la passione con le parole, l'incomunicabilità con i regali, le serate annoianti in felpa e calzettoni con le partite di calcetto con l'arbitro in autoreggenti, il "che pena che mi fai" con il "non ho visto niente".

Compromessi.

Sì le rughe portano al compromesso. L'avevo capito io.

Ma da questo bisogna fuggire, e le iniezioni di botox vanno fatte dentro, bisogna ringiovanire le viscere.

Mille modi per farlo, il primo è la libertà, il secondo l'istinto, il terzo le telefonate a notte fonda, i film brutti in jeans e maglietta senza calzini, i messaggi all'improvviso, l'esaltazione del quotidiano, l'intesa, il ci penso dopo, i libri, il cinema, le patatine, un bicchiere di vino, il mare, il negare sempre, innamorarsi, oziare, la Sambuca Molinari, iperattivarsi, ricordare e dimenticarsi, perdersi e ritrovarsi, ma anche ritrovarsi senza essersi persi e poi il lavoro, il tempo libero se c'è, gli ideali, le idee, i sogni, ah sì i sogni...

Insomma, tutto e il suo contrario, con una sola regola, la voglia di fare.

Ecco, bene, così per chiudere... pensavo anche un'altra roba: ma davvero, che culo che non ho le rughe... 

Ci facciamo un selfie??

E Dire che giovedì 23 mi sembrava pure un'ottima serata per scrivere, di quelle che finisci tardi in ufficio, l'auto sostitutiva è più lenta del solito, ceni in libertà d'orario, bevi acqua del rubinetto, due passi, un caffè, due extracomunitari, tre comunitari, una ragazza persa che vaga in centro, locali luccicosi, altri luccicanti, Bones sul canale 37, le Palladium, lo zenzero, tante idee molto confuse, i gruppi che si fanno i selfie, i single che si fanno i selfie, le coppie che si fanno i selfie.

Ma niente, non ho l'ispirazione.

E allora continuò ad osservare, volevo scrivere "continuo" ma poi il correttore ha corretto ed è uscito "continuò", lo lascio così, quell'accento sulla "ò" mi sembra pure più musicale: "continuò ad osservare. Chi? Io!", terza persona maiestatis, una licenza letteraria.

Dicevo osservare comunque, sì, osservare e pensare, e la domanda che ne esce questa sera è una sola: "ma i selfie... a che cosa di straminchia servono??".


Io credo che dipende.


Ci sono i selfie che lei manda a lui per un saluto veloce, rassicurante, uno smile in carne e pixel, sono quelli con la faccia a cuore, lo sguardo a cuore e il sorriso a cuore.

Sono a mezzo busto, solo la parte sopra.

E ci sono invece i selfie che lei manda a "lui l'altro", per un saluto veloce uguale ma più intenso, conturbante, uno smile in carne e autoreggenti, sono quelli con la faccia sfacciata, lo sguardo sfacciato e il sorriso sfacciato.

Sono a mezzo busto, solo la parte sotto.


Poi ci sono i selfie di circostanza, quelli che li devi fare perché altrimenti poi il piatto con i tagliolini in seppia al tartufo bianco su letto di misticanza si offende.

C'è chi va a cena solo per fotografare il piatto, non mangia nulla, prova solo la messa a fuoco della forchetta, sono dei testimoni culinari, tipo "io c'ero e c'ho le prove". 


Poi ci sono i selfie giustificanti, sono quelli che solitamente fa lui per testimoniare la sua presenza in quel posto e a quell'ora, o comunque per scongiurare la sua presenza in un altro posto sempre a quell'ora.

Il selfista giustificante si crea una banca dati sempre pronta all'uso, un selfie per tutte le stagioni e per tutte le ore del giorno, un selfie pronto ad essere utilizzato in caso di emergenza: "io ero lì che mi stavo fotografando con i miei amici sul divano, la birra, le pantofole, i tacchetti da calcio, il racchettone sulla sabbia, i libri, le bandiere, il meccanico, l'uscita da scuola della figlia di mia cugina di terzo grado". 

Perché ho parlato solo di selfista giustificante al maschile e non anche al lei? 

Perché lei per giustificarsi non selfa, due minuti prima scrive: "entro a yoga, spengo il telefono per tre ore, vado in meditazione e saluti al sole". 

Sono le tre e un quarto di notte, effettivamente lo yoga tiene svegli.


Poi ci sono i selfisti protagonisti, quelli che io c'ero.

Poi ci sono i selfisti solitari, fotografano stanze vuote per dire che "io non c'ero".


Poi ci sono le selfiste vanesie, quelle che c'e l'ho solo io e adesso te la faccio vedere.

Poi il selfista timido, sempre solo e rigorosamente di spalle.


Poi il selfista da viaggio, una vita in vacanza, 28 trasferte all'anno, un fancazzista con la passione per la fotografia.


Poi i selfie per dire a lei che: "guarda come sto bene senza di te, brutta stronza bastarda maledetta vacca boia".

Poi i selfie per dire a lui che: "ma la pianti di rompere le balle con quelle foto patetiche che se me ne fregava di come stavi ero ancora lì a limonare con te??".


Poi ci sono i selfie al buio, li fanno quelli brutti brutti perché altrimenti poi si spaventano riguardandoli.


Poi c'è il selfie con il vip che sorride, prima almeno con l'autografo potevi fingere che te l'aveva fatto volentieri, adesso la faccia scazzata non gliela cancelli manco morto.


Poi c'è il selfie ginecologico, tipo ecografia sulla spiaggia, talmente ravvicinato e talmente nudo che non fa sexy, fa senso, non vedi le forme, vedi le vene, le arterie e la parte superficiale del derma.


Poi, poi, poi, una vita col telefonino in mano....

È così, sì, sì, effettivamente questo total social ha i suoi lati terrificanti, opportunità d'incontro, di scontro, di comunicare, di svaccare, anche di sbavare, di politicizzare, di tradire, di far finta di essere fedeli, di mostrarsi, di curiosare nella vita degli altri, di incasinarsi,  di prepararsi prima per gli appuntamenti al buio, di far finta di esistere, e pure di non esistere, congelandosi, cancellandosi, smettendo di selfarsi. 


Bene, è giovedì 23, adesso cerco l'ispirazione per scrivere qualcosa, prima però mi faccio un selfie.


Agro-dolce

Ora dico io, cena con misticanza di campo, tonno, zenzero, bacche di goji, poche gocce di Sangiovese riserva, una festa di contrasti alle 21.28 in un calice di media ampiezza.
Contrasti, sì... e pensi tipo caldo-freddo, bello-brutto, alto-basso, passione-apatia, zucchero-sale, dodici-ballerina, notaio-operaio, agro e dolce, la passione e la responsabilità, saliva e scendeva, l'amore e l'indifferenza (pensavi odio eh??), le coincidenze e le occasioni (perse o colte?), la soddisfazione e l'insoddisfazione.
Dici sì quando dovresti dire no, e poi forse per dire sì, e poi noi, e sì, e no, e "poi adesso vediamo", ma cosa stai a vedere cosa che sai già tutto???
È tutto molto labile, un confine sconfinato, "oltremodo interessante", come quando diventi grande e continui a sentirti giovane, e ti rifugi nell'abitudine e nell'impulsività, a volte pensi troppo e a volte troppo poco, e i pensieri si rincorrono, verso dove poi è tutto da capire, e sarebbe sempre bene andare e mai restare.
E si continua a giocare con le parole, perché è divertente in fondo, scrivere è il rifugio della fantasia e leggere ne è cibo.
Da grande oltre che il cuoco vorrei fare lo scrittore.

Il segreto di uno giovane che conosco io

E poi il tempo passa, e tu diventi grande, o adulto? O anziano? O uomo? O vecchio?


Sarà che il brizzolato fa pendant con i quaranta e un po'; 

sarà che ad un tratto ti accorgi di star seduto sopra ad una montagna di ricordi ed esperienza, e qualcuno pure sdraiato; 

sarà che le mezze stagioni non sono più quelle di una volta quando si stava meglio se si stava peggio; 

sarà che effettivamente le foto da magro di un qualche anno prima - riviste per caso alle 20.39 di un martedì sera qualunque - hanno il sapore dell'affanno in una corsa verso il tempo che passa... beh ecco... sarà tutto questo ma ad un tratto tu capisci che il segreto, la chiave, l'importante, non è sentirsi giovani: bisogna esserlo!!!


E per essere giovani non servono mica vent'anni, eh no, troppo facile, per essere giovani serve la testa, serve il gel, serve sorridere, serve l'abbronzatura e serve fare l'amore al freddo come se non ci fosse un domani, serve suonare i campanelli e poi scappare, e soprattutto serve non prendersi mai troppo sul serio.

Serve arrabbiarsi con grinta, serve il sole e serve pure la neve, servono gli sci, la macchina veloce e limonare per strada, serve fare le cose all'improvviso, serve essere gelosi per tutto ciò che si sente proprio, serve dirlo, serve vivere, serve dormire parecchio, serve dormire poco come prima dell'esame di matematica 1, servono le contraddizioni e i colpi di testa, serve la spiaggia e servono gli scogli.

Serve un po' anche saper tacere, come a scuola, quando il prof diceva basta.


Per essere giovani servono le passioni, ah sì le passioni, quelle belle urlate sottovoce che le possano sentire solo quelli che ti conoscono davvero.

Serve la paura dell'essere timidi, ma anche la sfrontatezza di non avere paura, serve dire le parolacce, serve pensare che le tardone del Kursall Lido sono diventate milf solo per colpa dei social ma continueranno a spararla via a caso come in un grande gioco dei ruoli.


Per essere giovani serve lasciar passare il tempo, ma non sopra, di fianco! 


E allora vedrai che le rughe diventeranno semplicemente d'espressione, il rincoglionimento un effetto collaterale del Topexan, le serate con gli amici un must e non un revival, l'Inglese sparato a caso continuerà ad essere l'evergreen del pataca, e il toy boy semplicemente il cugino di Big Jim.


E ci si innamorerà con le farfalle, e così si diventerà grandi... sorridendo, con un sacco di sogni e di futuro, e di obiettivi, e "di voglia di fare tutto io", e di rabbia, come un qualunque ragazzo qualunque, e così si continuerà, banalmente, a restare giovani.