Che sanno di altrove...

‪Non c’è nulla di peggio delle coincidenze a metà, degli incontri fortuiti abortiti per caso, delle passeggiate all’aperto che sanno di altrove.‬
Camminare lungo il corso, sfiorando vetrine e cani, persone e storie, scarpe da ginnastica, uomini in fuga e donne che scendono a comprar sigarette e ritornano deluse per averlo fatto, di ritornare intendo, fa umanità.
Basta osservare: gli sguardi, le espressioni, i capelli raccolti, i passi veloci, le insoddisfazioni latenti, lo zigzagare da una parte all’altra dello stesso marciapiede senza saper dove metter le mani.
È divertente osservare, osservare e immaginare il dopo, entrare nell’intimo per carpire un sentimento che non ci appartiene ma traspare.
Farsi i fatti altrui senza nessun fondamento alimenta la fantasia, immaginarsi le vite confrontandole con la propria nutre i sogni e addomestica la realtà.
Raccontare gli attimi rilassa, viverli agita, non so che cosa sia meglio.

Franco semplicemente incontra Carla



Quando Franco incontrò Carla per la prima volta faceva freddo, faceva freddo nonostante la primavera, 28 aprile, pioveva, erano le diciotto e quindici, tardo pomeriggio o primi minuti della sera come vi piace di più, la capotte dell’auto forzatamente abbassata, la vide di fronte alla fermata dell’autobus che solo pochi istanti prima era fuggito verso lo stop successivo.

Era bellissima, come nel più classico dei romanzi rosa pallido Harmony collection, l’ombrello blu tratteneva a fatica le gocce ostinate che andavano insistentemente a cercarle il viso, tutto in perfetto stile locandina di “Eva, la pronipote di Elisa di Rivaombrosa”.

Franco doveva pagare il prezzo del proprio cliché e si fermò: “presto salga signorina, il 38 è passato da dieci minuti, si prenderà un malanno”.
Carla era indecisa tra il mandarlo a cagare o il salire in auto, “malanno” non glielo aveva mai detto nessuno.
Salì.

Perché salì? Coincidenze sincronicistiche? Il freddo? La pioggia? Le diciotto e quindici che stavano per diventare diciotto e sedici? Oppure semplicemente perché “uomini che incontrano donne” perché è così che va il mondo il 28 di aprile? 
Ci sono domande che non avranno mai risposta, questa è una di quelle.

Le cose succedono, spesso è inutile chiedersi perché, a meno che tu non sia Poirot su l’Orient Express e debba per forza trovare l’assassino o il romanzo non avrà mai fine.
A volte è solo un “perché sì o perché no”, quante cose sono iniziate perché si è sono finite perché no?!
Poi se volete possiamo riempire tutto di un profondo e poetico significato: le due parti della stessa mela, il cacio e il cavallo, la mostarda e il puzzone di Moena, si son cercati finché non si son trovati, “io non vivo senza te che non vivi senza me”, Barnard e il cuore, Einstein e l’atomo, l’io e il tu indissolubilmente avvolti in ciascuno di voi che state leggendo queste righe in questo momento.
Sciegliete voi quello che più vi aggrada, ma nel nostro caso Franco e Carla si sono incontrati così: lui si è fermato sotto la pioggia e lei è salita in auto.

“Ecco ora va meglio no? Le ho salvato la vita signorina, sa?”

“Certo e per questo le sarò infinitamente grata”

“Beh, per sdebitarsi potrebbe offrirmi una cioccolata con panna da Gamberini, siamo a due passi.”

“Sa gentiluomo che raramente mi sono trovata in una situazione più standard di questa?”

“Sa signorina che potrei stupirla e proseguire dicendole che sono terribilmente invidioso di quella goccia di pioggia che le sta accarezzando la guancia come una stella troppo luminosa che scende lieve in un cielo troppo cielo?
Ma preferisco invece confessarti fin da subito che mi sono fermato perché mi dispiaceva lasciarti sotto a quell’ombrello troppo piccolo per le tue gambe troppo belle.
Mi faceva maleducato lasciarti lì e io avevo voglia di una cioccolata in tazza nonostante a casa mi attendesse un Sangiovese Riserva con marmellata di more, e allora ho pensato che tu forse mi avresti fatto volentieri compagnia, perché sapevi perfettamente di aver perso l’autobus, passi di qua ogni giovedì a questa stessa ora, proprio come me, e ti si leggeva chiaramente in faccia che non era un problema aspettare quello delle diciotto e quarantacinque, questa sera non hai nulla di troppo impegnativo da fare, anzi credo tu debba lavorare ancora un po’, lo si capisce dalle dimensioni della tua cartella, ma ne hai voglia zero, e questo lo si capisce dal tuo sguardo.
Il resto no, ma questo è chiaro.
Ma in realtà la vera molla, la vera ragione, ciò che ti ha fatto scegliere di salire sulla mia auto, è stata la scarpa Louis Vuitton quasi estate, si stava rovinando con la pioggia, e di questo sono certo perché che sono incredibilmente simpatico nonostante la spocchia lo stai scoprendo solo ora, non prima, prima non potevi saperlo.
E quindi eccoti lì, e io eccomi qui, intellettualmente nudo di fronte a te, senza nessun retropensiero che non ti abbia già palesato con questa mia confessione un po’ ingenua per quanto sincera.”

“Ma scusa, la cioccolata da Gamberini, è fondente??”