Più o meno quei due ragazzotti si sono detti così...

  • Ciao
  • Ciao..
  • Ma.. ma tu..
  • Io?
  • Sì tu, dicevo tu... tu mi ami?
  • Io?
  • Sì tu
  • Beh dipende
  • Da cosa?
  • Da te
  • Da me!?
  • Forse da noi?
  • Eh magari da noi è meglio
  • Credo di sì dai...
  • Credi?
  • Non credo?
  • Ah se non lo sai tu
  • Allora si, sono abbastanza sicuro, ti dico di sì!
  • E da quando?
  • Da sempre
  • E perché?
  • Ah non lo so
  • Non lo sai?
  • Sì è successo così quel giorno per caso...
  • Per caso? Quale caso?
  • Quella volta che per caso ci siamo incontrati e abbiamo capito che non sarebbe finita mai, non ricordi?
  • Sì ricordo. E da allora non hai mai smesso di amarmi?
  • Eh no, direi di no..
  • Ah..
  • Già...
  • No è che credevo...
  • Credevi?
  • Sì insomma credevo di no
  • Eh sbagliavi
  • Ma non me l’hai più detto...
  • Te lo dico ora
  • Ma ora è tardi
  • Dici?
  • Dico
  • Perché?
  • Perché ora non si può più 
  • Lo so
  • E quindi?
  • E quindi niente
  • E allora smettila
  • Eh non posso
  • Perché?
  • Perché ti amo

Realtà, sogno e immaginazione....

La vita è beffarda, a volte succedono cose, a volte succedono cose strane,  spesso sei convinto stia succedendo tutto quando invece non succede proprio nulla.

Questa mattina ho trovato un bigliettino sulla mia auto, un post-it giallo, sopra ci stava scritto più o meno così: “… ricordi che mi avevi chiesto di ricordarti di raccontare? Ecco raccontami questo, raccontami della mente, del pensiero, di ciò che vivo e di ciò che riesco a vivere e a rivivere pensando…. e raccontami di come si fa tra realtà, sogno e immaginazione…. dai raccontami un po’… ciao. A presto”.

Ecco.... a come raccontarlo senza cadere nella noia trasmettendo un’emozione che non sia solo mia, ci sto pensando da questa mattina, al senso di queste parole ci penso invece da trentaquattro anni.

Cara scrittrice di post.it, e dico scrittrice perché mi piace pensare tu sia donna, realtà-sogno e immaginazione te le racconto con una foto, quella che troverai al termine di queste righe di corsa, fermati un attimo, scendi lungo la pagina, chiudi gli occhi, riaprili, dai un’occhiata e ricomincia a leggere da qui solo dopo aver guardato.

Vedi… questa sera avrei voluto essere seduto su di un divanetto vista spiaggia, un calice di rosso, un banalissimo Sangiovese riserva, il fresco del mare a metà marzo, le noccioline, le fragole, le luci, i miei ricordi a far compagnia ai miei pensieri  e quella intensa sensazione di infinito.
Ecco questo era il sogno.

E invece sono qui, un favore ad un amico e son rientrato troppo tardi, troppo tardi per il mare, troppo tardi per il Sangiovese (financo le Maioliche erano chiuse!) e troppo di corsa per lasciare che i ricordi partorissero pensieri, almeno come li avrei voluti io.
E allora la sera diventa un calice rubato, acqua cristallina ma non riserva, via XX Settembre senza la spiaggia, ed ecco benvenuta la realtà.

Ma non è finita qui sai? Eh no, perché ad illuderti, a raccontarti che poi forse quello che senti in lontananza non è la vibrazione di un “Siemens silent super frigor” ma è lo sciabordio dell’onda, ci pensa l’immaginazione.
L’immaginazione che ti fa spegnere la luce principale facendoti passare alla lampada artigianale che tanto ti piace, l’immaginazione che ti fa roteare l’acqua nel calice per vedere se pure lei c’ha gli archetti e i tannini, l’immaginazione che ti salva la serata lasciandoti fantasticare su brindisi e sorrisi, in attesa che la notte ti accompagni a dormire.

Vedi, tutti noi siamo una somma di ricordi, una catasta di cose successe, di occasioni raccolte-perse-sfuggite-rubate, siamo mille e mille attimi incastrati fra coincidenze che ci hanno fatto succedere la vita.
Siamo bambini che sono cresciuti solo fuori, con il bisogno di essere compresi e protetti da chi amiamo davvero.
Siamo sentimenti nascosti perché fan troppo rumore, siamo sentimenti persi  perché erano troppo silenziosi, siamo sentimenti mutilati perché l’esistere ce li ha strappati via.
Siamo così, a volte senza un perché, semplicemente così.

Ed è per questo che sì… sì spesso viviamo solo a metà, magari a tre quarti o per dirla come il tuo post.it “viviamo quello che possiamo vivere”, rinunciando a trovarne il senso,  e non per codardia o per mancanza d’intelligenza, ma solo perché un senso non c’è.

I giorni scorrono tra le nostre mani, il tempo passa, le rughe sul volto aumentano in maniera inversamente proporzionale alla quantità di Crema Douglas che hai usato tra i venticinque e i trenta, i sorrisi son sempre più cauti per quanto più profondi, ti piace ancora limonare-fare l’amore e anche scopare.
Impari a capire al volo la differenza che c’è tra un “grazie” e un “ti amo”.
Dai un senso al “mi manchi”, anzi è “il mi manchi” che da un senso spietato a ciò che ti succede o ti è successo, a undici o a quarant’anni.
Fai colazione con la disillusione, pranzi senza pensare, ti lasci cullare dalla cena, ti addormenti tra le braccia di chi ami se puoi o se c’è, ti immergi nell’intensità di un c’è stato se sei solo o sola.
Ognuno a modo suo, ognuno a vivere la vita che può.

Realtà, sogno ed immaginazione non sono altro che la storia di coloro che esistono.
Non siamo forse noi i nostri sogni? Non siamo forse noi ciò che ogni giorno ci capita? E non siamo forse noi ciò che ogni istante immaginiamo?
Anzi io credo che noi si sia soprattutto immaginazione e sogno, perché per quanto si possa vivere il presente noi continuiamo ad essere ciò che siamo stati e come lo siamo stati, e ciò che vorremmo essere e come lo vorremmo.
Travolti dal passato proiettati sul futuro, incidentalmente sul presente.
Pensa all’amore, non è forse così?
E il lavoro? Non è forse nella ricerca della riuscita di domani, costruita sulle spalle di ieri, che viviamo l’oggi?
E la concretezza del quotidiano? Non è forse data da ciò che ci è stato insegnato per arrivare a ciò che vorremmo insegnare a chi sarà dopo di noi?

Vivere quello che si può vivere è un limite che ogni giorno vogliamo superare, ma ne restiamo costantemente travolti, al netto delle botte di culo, e allora sognare diventa l’antidoto, ricordare aiuta il sogno, immaginare ci fa restare svegli.

Ho letto da qualche parte che “il futuro è solo una scusa per vivere il presente”, io credo che il passato sia di converso il miglior modo per ricordarci di quanto sia stato comunque bello vivere e lasciarsi vivere.


L’onda e il profumo di guazzetto

L’omino con Il giubbotto giallo, la berretta gialla e le scarpe gialle, correva lento e parallelo alla riva.

Il bambino faceva un pupazzo di sabbia.

E lei baciava lui, ma era costretta ad arrampicarsi perché allungarsi sulle punte non era sufficiente, troppo alto lui, troppo bassa lei, ma si amavano, almeno oggi, almeno fino a domani.

Il vento sollevava granelli.

Una coppia di cani assaggiava le onde.

I gabbiani.

Un fanciullo divorava il bombolone alla crema.

Il silenzio. 

Una ragazza, troppo bella per essere sola, passeggiava sulle dune fiera di questa sua contraddizione, arrabbiata per la sera prima, arrabbiata con quel maledetto che non sapeva amare.

Il profumo di cozze alla tarantina e l’aroma del guazzetto, estasiati da perle di Pinot grigio, fuggivano sfrontati dal 26 per salutare il pranzo e gli amici sotto gli ombrelloni di un inizio marzo che sapeva di estate avanzata.

Mille storie s’incrociano tra nuvole e passerelle ricoperte di sabbia, per colpa di una stagione che deve ancora iniziare, metafora del tempo, pezzetti di vita, passioni e noia, e Luì se ne stava lì ad osservare quel tutto che gli brulicava intorno.

Sarebbe rientrato solo il giorno dopo, l’aveva deciso all’ultimo, questo è uno dei vantaggi della libertà, l’altro è passare l’aspirapolvere alle 22.45, silent Rowenta, fa lo stesso rumore dell’onda.


Agata e Luì

”Luì... ma che giorno è oggi?”
“Domenica”
“E che ci fai qua?”
“Passeggio... come passeggiavo quella prima volta di un tantissimo di tempo fa, lo stesso profumo nell’aria,  ma senza quel rumore di cuore che correva alla velocità di una luce tremolante che stava per esplodere.
E ricordo il come, il quando, il perché, il sapore, la sensazione di esagerato, il rumore del mare, le mani, l’inizio di tutto.
E fu dolce e intenso sai? E pure molto potentissimo!”
“Ma gli occhi aperti o chiusi?”
“Io aperti, lei chiusi”
“E i pensieri Luì?”
“Gli stessi”
“E come lo sai?”
“Lo so, perché io e Agata non abbiamo mai smesso di pensare insieme”
“E poi?”
“E poi cosa?”
“E poi cos’è successo?”
“Lei è partita”
“Per dove?”
“Per sempre”.


Donne in cerca di relazioni. Chi sono?

Donne e uomini in cerca di relazioni.

Potrebbe essere il titolo di un documentario sull’origine della vita, ma non aspiro a diventare un Piero Angela social web, più sommessamente vorrei tipizzare i “soggetti” nel momento dell’approccio, si perché tipizzare semplifica e dato che la vita è complicata di suo, a volte schematizzare rasserena.

In questa puntata parleremo di donne, le cosiddette “soggette”, molto più interessanti dell’uomo, molto più interessanti e molto più metodiche, al limite del seriale.

Dopo quasi attenta analisi avrei individuato tre distinte categorie che, con poche varianti, rappresentano l’universo mondo femminile in cerca d’approccio.

“L’elementare”. 
È la prima, forse la più ampia e rappresentativa, semplice nel ragionamento parte da un presupposto: “io ho una cosa che tu vuoi, quindi...”.
L’elementare gioca sull’effetto “tesoro”, capitalizza il vantaggio, fin da giovane si atteggia ma non troppo, socializza ma non troppo, non è leader ma spicca pazientemente dietro le prime. 
Piacevole nell’aspetto, curata nel dettaglio ma  senza ostentare, il suo habitat è il bordo sala, che può essere bordo pista, bordo piscina, bordo ufficio, bordo tutto purché ben visibile.
L’elementare si mette nella condizione di farsi corteggiare, irretisce con giudizio, senza che l’uomo se ne renda conto.
Mostra all’inizio il lato semplice, accomodante, bacia a labbra semi aperte, limoni adolescenziali, poi si fa più audace, il rapporto evolve anche sessualmente, e la libertà concessa al partner è inversamente proporzionale all’escalation erotica: più ti do meno te ne lascerò!
E tutto così prosegue fino al matrimonio (immancabile quando si tratta di elementare) e al primo figlio, dove l’uomo diventa appendice, Eros è solo il giornalaio sotto casa, la complicità diventa abitudine e scattano tuta e pantofole per lei e partite di calcetto per lui.
Poi il primo figlio compie tre anni, e L’elementare si trasforma.

“Il Killer”.
Con “il” articolo volutamente maschile, non è una vera e propria categoria, più che altro è una missione. 
La donna killer non cerca relazioni, si da un budget, fissa obiettivi e li raggiunge.
Non sono molte le donne killer vere, anche perché servono fascino (tanto), gambe lunghe, arrogante spregiudicatezza mixata ad un dolce sex appeal, eleganza e simpatia.
La donna killer non seduce l’uomo, lo consuma proprio, diventa assoluto, lui non vede altro. 
Lei non toglie libertà, anzi ne lascia in abbondanza, è lui che non la coglie, non riesce ad essere libero perché senza lei si sente perso.
L’amore è travolgente, intenso, in ogni dove, qualitativo e quantitativo.
Perizoma e giarrettiere, Adidas bianche e shorts neri, abito da sera e jeans, sempre a suo agio in un mix di stili apparentemente casuali.
Il killer inanella relazioni in successione, anche più d’una contemporaneamente, uccide a gruppi, gruppi di amici e di amiche (quelle muoiono perché lei gli ha fregato il ragazzo!), è un’insaziabile del sentimento elitario che ama essere adulata.
Ad una certa età il killer comunque trova la relazione stabile, non necessariamente un matrimonio, ma non rinuncia al proprio essere, semplicemente lo sublima.
Almeno fino ai tre anni del primo figlio, li potrebbe succedere qualcosa.

“La romantica”.
È quella del primo banco, la più carina, quella con il diario a cuore, gli occhi a cuore, la grafia rotonda, gli orecchini di perla, i fiocchi.
È quella che l’amore, il tramonto, la luna, le stelle, i fiori, le lettere e i mille messaggi.
Per lei “relazione” fa rima con “eterea”, fa la spesa al Conad perché il commesso del banco salumi è dolcissimo e come dice lui “San Daniele” non lo dice nessuno.
Cerca sempre l’amore della vita, e lo trova, anzi ne trova almeno cinque.
Ogni volta è quello giusto, ogni volta ha sbagliato giudizio, ogni volta perde sette chili in lacrime, ogni volta la da al primo che capita dopo sentendosi poi terribilmente in colpa.
La romantica accorcia le distanze, si appiccica gradevolmente, non arriva quasi mai al matrimonio, è troppo innamorata dell’amore.
Non cambierà mai fino in fondo, qualcosa succederà ai tre anni del primo figlio, si li qualcosa succede sempre.

Ecco, dite che è tutto troppo schematico? 
No, io non credo, perché poi ci sono le combinazioni, il killer elementare, la romantica semi killer, la sentimentale (killer elementare con vene di romanticismo), la non inquadrabile e “l’intelligente”.
L’intelligente è la donna più pericolosa, direi pericolosissima, perché racchiude in se tutte le caratteristiche appena descritte, e le usa con maestria e naturalezza, mixando e seducendo.

Il perché dell’una o dell’altra trova spiegazione in due fondamentali cose della vita: la madre ed il primo uomo incontrato.. il resto è evoluzione.