Sette otto modi per dire ti amo

Mi dice: “Scusi può farci una foto? Così è bello sa? C’è un bel cielo!”

E io: “Certo, sono qui apposta”.

Lo smart phone era di lei, lui l’ha abbracciata, felici, un bacio col ciocco, il sole stava tramontando, ho fatto credo sei foto, volevo che potessero scegliere, volevo che gli attimi fossero più d’uno.
Secondo me lui si chiamava Felice e lei Gioia, vent’anni e i jeans bianchi, a gennaio, sulla spiaggia, il mare che si scioglieva lentamente sulle conchiglie, è le sneakers che sprofondavano nella sabbia.

Ma lui poi le avrà detto “ti amo” quando io me ne sono andato? E ho fatto presto apposta, ho accelerato il passo perché potesse farlo in pace, senza girarmi, correndo quasi, perché a vent’anni  ti amo bisogna dirlo subito, appena scattata la foto, tre secondi dopo il flash.

Io credo di sì, secondo me lo ha detto.

Le ha sussurrato un ti amo timido, delicato, quasi diaframmatico per non stonare, e lei ha risposto con gli occhi che si abbassavano e il sorriso dolce, perché nonostante i capelli arroganti quei ragazzi erano timidi, si capiva da come mi davano del lei… “Scusi può farci una foto?”.

E non è scontato, a vent’anni potresti pure avere l’impertinenza del bullo, tipica del “ti amo patacca”, “ti amo baby”, impostato, scenico, finto maledetto, un ti amo urlato che ha la pretesa di assoluto, ma di assoluto c’è solo la certezza che finirà prima di metà marzo, fino al prossimo ingaggio, perché non c’è bisogno di urlare un sentimento, a meno che lei non stia scappando in mezzo al traffico e tu la stia inseguendo a piedi.

E poi c’è il ti amo seriale. Il passpartout dei sentimenti. Repetita iuvant soprattutto quando devi convincere, te o lei non importa, uno dei due non ci crede e prova a raccontare che è vero. Il ti amo seriale non è spontaneo, esce dalla carta da pacchi di quel regalo che serve sennò non è ricorrenza, esce post coitum quando lei è già in bagno a fare il bidet (tutto questo latino da dove arriva non lo so, ho fatto ragioneria e non so nemmeno come si scrive…).

E c’è il ti amo distratto. Così a cazzo, uscito in maniera routinaria appena rientrati dall’ufficio e chiusa la porta di casa: “Ciao caro, ti amo, che mangiamo questa sera? Le cotolette?”. 
Che effettivamente le cotolette sono buone, e lui si concentra su quelle e non sul “caro” né tantomeno sul “ti amo”, trasformatosi di colpo in un banale complemento di specificazione tipo “ le friggiamo di Olio Cuore?”.

Ma c’è anche il ti amo silente. Che non è meglio, e non è neanche peggio, semplicemente è. 
Il ti amo silente è fatto di sguardi, di comprensione, di passione, di io sì e tu pure, io no e tu nemmeno. 
Di buonanotte davvero, di un “come stai?” detto perché sono preoccupato per te. Di rabbia, di orgoglio, di lacrime, di insieme, di non importa come ma perché. E’ un ti amo potente questo.

E c’è anche il ti amosta minchia”, una variante del “non me ne frega nulla ma non rompere e lasciami leggere la Gazzetta, che dopo si facciamo quello che ti pare anche stasera”. 
Dove il corsivo è solo pensato e  il sottolineato l’ho messo lì per descrivere il sorriso ebete e forzato di chi dice sta cosa senza togliere lo sguardo dal giornale. So di gente che ha detto “ti amo” alla donna delle pulizie, aveva le stesse scarpe della moglie.

E poi c’è il più classico dei “ti amo”, il “ti amo! Me la dai?”, è tipicamente maschile, esiste anche la variante femminile ma è poco usata, perchè con l'uomo non c'è bisogno. 
E’ un ti amo di scopo, uno c’è riuscito una volta e così prova a ripetersi, non costa nulla, magari funziona, dici quello che vuole sentirsi dire, ottieni quello che vuoi ottenere. 
E’ il ti amo tipico dei cinici col sorriso ed un grande senso pratico.

E c’è pure il “ti amo perché ti voglio bene”, che questa è una roba seria. Perché non c’è bisogno di esagerare, ottenere, urlare, mirare, volere, cercare, rasserenare, dire perché è da dire, il “ti amo perché ti voglio bene” si spiega da solo. 
Provate a ripetere con me: “ti amo” – “perché?” – “semplicemente perché ti voglio bene…  davvero, da sempre e  forse anche da prima, e per sempre e forse anche di più,… e ti voglio bene perché ti amo… e ti penso adesso e anche dopo, e ti penserò domani e anche ieri, e anche l’altro di ieri, … e ti voglio bene perché non posso fare a meno di te. Punto. E se tu invece sì, pazienza, ti amo lo stesso ”.

Ecco sono sette, ne manca uno, è il “ti amo ma chiudi la botola quando esci, e magari esci presto … che è tardi”.  
Che è il ti amo 4.0 delle post-generazioni che vivono di fretta e in solitudine anche i sentimenti.


  

Il mare non cambia mai....

E continuerò a leggere libri, a sottolineare pensieri, a camminare sulla spiaggia fuori stagione, ad accatastare ricordi sul pavimento e nel cuore, a respirare la libertà, a sognare, a stare in silenzio, a inondare di parole, a spacciare biglietti da visita, a guardare il MCS, a mangiare piadina e bere Sangiovese, ad ostinarmi nell’essere me stesso, a scrivere, a faticare, a godermi attimi sempre più rari, a stringere lei che cresce alla stessa velocità con cui cresce il mio amore.



Fragole e sabbia con le iniziali ricamate all’altezza del quinto bottone che si perdono nel tempo, caffè in autogrill, tastiere di computer e giacche troppo strette, il sapore dell’impossibile, il futuro, il passato, il presente a tratti, in un miscuglio di anni frenetici che non passano mai.

Il gusto per il paradosso, l’Alfa Romeo.

La storia di chi sapeva raccontare di un attimo ma non sapeva come...

“Ma papino adesso che sono diventata quasi grande me lo dici qual’è il segreto dell’attimo?!”

“Ahh scricciolo mio! Ok... ora che sei davvero quasi grande voglio raccontarti per bene... in effetti è giusto... voglio darti il mio punto di vista...  perché vedi... quest’attimo qui tutti sono concentrati a coglierlo, a viverlo, ad inseguirlo, a prenderlo per i capelli, a bruciarlo, a raccontarlo, a salirci sopra manco fosse un treno, quando in realtà il segreto è solo uno e nessuno ne parla: l’attimo lo devi stringere e non farlo scappare mai.
Tipo quando ti abbraccio prima di dormire e tu vuoi tutto il mio cuscino, e cerchi la posizione, e mi stropicci la faccia e vuoi che metta le gambe come dici tu, e le preghierine e la TV accesa e tutto il resto, e lo sai che io lo faccio, io lascio che gli attimi di te si addormentino tra le mie braccia, ma soprattutto quello che egoisticamente cerco di fare e tenerti lì, gelosamente appiccicata, orgogliosamente appiccicata, voglio trattenere ogni istante e non farlo scappare mai.
Sì perché sappi che gli attimi scappano, tu non hai idea di quanto corrano, ti sfuggono dalle mani e dalla testa e dalle labbra che nemmeno Flash!
Se non farai come ti dico, se non diventerai una carceriera di attimi accumulati, ti accorgerai solo di essere diventata grande saltellando da un centesimo di secondo all’altro senza averne davvero goduto.
Non è vero che gli attimi sono eterni, gli attimi rimbalzano nella tua vita e se non li leghi a te fuggono via.
Siamo tutti un susseguirsi di giocattoli, di capricci, di compagni di classe, di amori, di pianti, di notti insonni, di amici, di primi e di ultimi giorni di qualsiasi cosa, di abbracci e di baci, di carezze e schiaffoni, di occasioni mancate, di treni passati, di seconde e terze chance, di fragole e sabbia, di mare e montagna, di fedeltà e tradimenti, di sorrisi e successi, di vittorie e sconfitte, di giorni che arriveranno, di cravatte e bermuda, di orologi sul polsino e iniziali sul taschino, di interminabili telefonate a notte fonda, di corse in autostrada, di cappuccini e biciclette rubate ma con giustizia, di scelte che si imporranno, di volantini sui parabrezza, di decisioni prese da cui non si torna indietro e decisioni da prendere da cui non si tornerà indietro.
Siamo un libro che si scrive da solo senza la possibilità di cancellare nulla.
Siamo una montagna di “io” e anche di “lei, lui , l’altro e noi e loro”, un continuo susseguirsi del tempo sociale.
Siamo attimi.
Ed ecco perché ti dico che devi trattenerli tutti, nessuno escluso, quelli belli perché sono indispensabili e quelli brutti perché sono inevitabili, come lo sono i sorrisi e le lacrime, e la speranza e il rimpianto.
Se trattieni vivi ed impari, se consumi e basta vivi ed invecchi, come gli asini e le capre”

“Ma papino non ho capito una cosa, come si fa a trattenere gli attimi?!?”

“Scricciolo, sai come?”

“Dimmi?”

“Eh... io... io... eh questo non lo so nemmeno io...”