Quel bisogno impellente che lei si affacci alla finestra....

“Dai fai il bravo, stasera esciti e ubriacati!! Così magari la smetti di rompere le balle…”

“Come esciti?? Come ubriacati, sono quasi astemio??!! Come rompere le balle, sono un sopportabile per definizione??”
“Sì insomma rilassati! Smettila di prenderti così sul serio, non va beneeee!!”

“Sul serio? Non va bene? Come? Io? Veramente, lo sai, sì ok, hai ragione lo so… (silenzio…. silenzio…), dai affacciati un secondo alla finestra per favore che ho un gran bisogno di vederti immediatamente, inventati che devi  stendere i panni, raccogliere le mollette del bucato, imbiancare la facciata del palazzo,  annaffiare l’albero di natale del vicino che sta appassendo anche se è di plastica, per favore affacciati non mi fare aspettare che non resisto” e ancora insisti: “Hai presente Romeo e Giulietta, e i Montecchi e i Capuleti, dai affacciati, un attimo, un secondo, è romantico, sì lo so che non sei romantica e sono tutte sciocchezze ma cosa te ne frega, affacciati, voglio vederti!!”. E lei è fortunata che in macchina non hai un CD di Ornella Vanoni e un pianoforte altrimenti ti saresti piazzato sotto la sua finestra con “L’appuntamento” a tutto volume e tu a scrivere messaggi del tipo: “sei in ritardissimo affacciati per favore!!”, finestrino aperto e braccio sullo sportello anche se fuori ci sono 10 grado sotto zero, però tu sei resistente come un sasso.
“Ma cosa fai qua? Ma non dovevi andare a cena? E la macchina? Perché la macchina, dovevi andare a piedi? Te sei matto lo sai?”

Sì tu lo sai che sei matto, ne sei perfettamente  ed  assolutamente consapevole però  passi, e ripassi, e avanti, e indietro, e la macchina e la neve e Castel Bolognese e l’Ausl e fai un sacco di kilometri e va bene e l’orco che tutto a un tratto è diventato un tecnico che Pietro Mennea gli fa una pippa e poi ti accorgi che stai diventando troppo volgare e ti ripigli.
Ti ripigli? Non è mica facile!! Che storia è questa? Che dialogo è questo? Non lo so, perché non si può mica sapere sempre tutto, a volte capita che le cose si fanno  senza sapere il perché, si dicono così, si  raccontano, la sera tardi,  al mattino presto, a notte fonda, è che…. hai voglia di dire adesso razionalizzo, adesso dormo, domani non ci penso perché devo lavorare, devo fare l’antitetanica, il vaccino antiinfluenzale, tachifluedec da sciogliere in acqua calda e devo prendere il caffè, ma l’irrazionale è irrazionale. L’irrazionale è figlio dell’emozione, come questo racconto sconclusionato. E l’emozione di che cosa è figlia?? Di niente, anzi di niente di spiegabile, l’emozione è figlia di un qualcosa che gli antichi (ho sempre sognato di dire “che gli antichi”) chiamavano pathos, si pathos, quella cosa che ti prende all’improvviso e non sai descriverla, che tu ci pensi ma non ci riesci, ci provi , ci riprovi, dici “adesso io!!!”, si dice sempre adesso io quando vuoi fare quello che le cose le decide davvero e invece….
Ecco “invece”, è l’invece che ti frega, l’invece è un po’ come il “pero’”, scrivevo qualche racconto fa dei trentanovenni , quelli che dicono “sì ho trentanove anni pero’… praticamente quaranta”, anche a trentotto dicevano così: “ho trentanove anni però… praticamente quaranta”, insomma c’è sempre un pero’ così come c’è sempre un invece, così come c’è sempre un trentanovenne in crisi d’identità. E intanto tu decidi di decidere e poi fai il contrario. Perché fai il contrario?? Perché  il contrario” è quello che davvero desideri, ma lo desideri un casino questo contrario. Il contrario, per definizione, è quello che non si dovrebbe fare, razionalmente non si dovrebbe fare, chi usa la testa non lo fa, chi invece usa il cuore, l’olfatto e il tatto lo fa, fa il contrario. Sì, il contrario è figlio degli odori, del cuore e del sorriso. Tutto chiaro no? Mi spiego meglio: prova a vivere senza sentire i profumi, senza la tachicardia da emozione scomposta e senza toccare ciò che ti passa per le mani. E’ una roba insensata.
E intanto lei continua a stare affacciata alla finestra e non ne ha mica voglia, però tu sei là sotto, passi, ripassi, inversione a U e quello dietro suona, e tu ti incazz…, anzi ti arrabbi, poi ti accorgi che è John Lazzano e fai finta di niente, accosti e fai passare, e intanto lei è ancora lì affacciata alla finestra e tu pensi “Bè se poi sta lì forse ha voglia di vederti pure lei? Forse è felice della tua follia, è felice per la tua follia, forse è matta pure lei?!”

Sì è matta pure lei, questa è la risposta che ti dai, e forse è la verità, una verità che non è che ti fa stare più tranquillo, però  almeno dici “Siamo in due” , e intanto Babbo Natale seduto sul pan-cake di fianco alla bilancia ti guarda e ti saluta ed è solo a quel punto che ti dici “si ok….  esciti…, ubriacati…., però insomma hai quarant’anni, se non altro sragiona con parsimonia….".

40enni... che strani che sono...


"Ma ciaooo, ma quanto tempo, come stai-cosa fai-hai dei figli-sei dimagrito, ma quanti anni hai?? L'età di mio fratello Luigi o di mio cugino Luca??"
"40, ho 40 anni"

Ma non è mica vero, ne hai 39, ne hai 39 già da un po’ ma la risposta è sempre quella anche se vorresti chiedere: “Ma chi cazzarola sono Luca e Luigi?”.
E mentre rispondi pensi: “Oue, 40 ti ho detto, non sono mica un ragazzino, ne ho viste di cose io”, e ne hai viste veramente, anche troppe forse, però hai 39 anni e non 40. E allora perché?

A 30 anni dicevo: “Ehh per un uomo a trent’anni inizia, per una donna…”
A 35 dicevo: “Ehh per un uomo a trentacinque anni inizia, per una donna…”
A 36 dicevo: “Ehh per un uomo a trentasei anni inizia, per una donna…”

Poi ho smesso, oggi dico: “Ho 40 anni io”, punto esclamativo dopo le virgolette e puntini di sospensione che fanno tanto riflessione. Qualche volta (ma solo qualche!) aggiungo: “Quanti me ne dai?”. Non so che risposta vorrei, però ho la fissa, lo chiedo sempre.

Comunque cosa fa normalmente un 39enne che ha 40 anni? Ma fondamentalmente ha due alternative: o torna indietro o salta direttamente ai 62. Se torna indietro organizza un viaggio a Barcellona, anzi il viaggio l’organizza Lorenzo, che invece ha ancora 39 anni veri, lui stimola ma si aggrega,  prenota un Ryanair che va bene che paga Marco ma non vuole approfittartene, decide di stare fuori 3 giorni, fa una scorta da litro di gel a fissaggio forte che così durante l’atterraggio anche se è ventoso non gli tremano i capelli, porta con se l’Eutirox e una foto della sua ecografia con la dedica del medico che aveva sentenziato: “La tua tiroide è alla frutta, cosa vuoi aspettare di diventare grasso, pelato, sempre stanco e irascibile??” e non l’ha detto ma lo pensava: “impotente??”. Dietro la foto c’è  poi l’indirizzo di casa del medico così che il 40enne possa spedirgli una cartolina: “Grasso-pelato-irascibile tua sorella, sono a Barcellona io!” e non lo scrive ma lo pensa: “Per l’impotente chiedi a tua sorella?!”.

Se  torna indietro il 40enne di solito salta le pause pranzo, cioè salta il pranzo ma fa la pausa, si rilassa ma non troppo, va un attimo a casa a controllare se il parquet del bagno è ancora bagnato dalla doccia bollente della sera prima, ripensa alla sera prima, fa quelle due o tre cose che a vent’anni non faceva,  pensa alla pausa pranzo, va a prendere un caffè  anzi “DUE!!” (maiuscolo perché il barista preferito dal 40enne URLA, poi non saluta quando entra il cliente, il caffè lo fa a razzo e cattivo come l’orco, fa pagare due euro ma fa lo scontrino per 1,50 e  guarda sempre di sbieco, però a lui piace un sacco quel bar), poi pensa al caffè dopo la pausa e solo dopo ritorna in ufficio. Tutto questo in meno di 37 minuti e mezzo. Il 40enne è veloce. Solitamente prima di rientrare in ufficio invia un sms con una frase ad effetto.

Il 40enne che torna indietro fa poi altre cose strane, tipo scrivere quando dovrebbe leggere, tipo alzarsi ogni mattina alle 7 anche quando è in ferie per andare a prendere “DUE caffè?!!”, tipo partire alle 14.30 quando ha un appuntamento alle 16.30 a meno di dieci minuti da casa e per caso si ferma per strada sotto ad un tiglio a fare due chiacchere in auto con una quasi coetanea quasi conoscente che aveva invece un appuntamento allo 14.25 dall’altra parte della città ma si sa che tanto è sempre in ritardo.
Il 40enne che torna indietro qualche volta va anche alle Terme a ballare l'alli galli.
Il 40enne che torna indietro lavora molto, produce anche molto, è distratto in senso lato ma è attento ai particolari, particolari all’apparenza insignificanti tipo alzare il riscaldamento durante le pause pranzo (anche se lui ha sempre caldo e il riscaldamento non funziona e così non ottiene comunque il risultato), oppure farsi un centinaio di km per scegliere il colore di un particolare che starebbe da Dio con lo smalto rosso e quel profumo fantastico (perchè i colori si abbinano anche ai profumi! Poi sbaglia colore e forse sarà necessario cambiare almeno lo smalto), oppure vuole essere tanto attento che ama passare sotto casa di chi parla al telefono con lui perché le persone lui le vuole vedere in faccia quando parla, ne ha bisogno. Oppure tanto attento che quando compra una giacca per se o il cuscino per il divano di casa sua pensa se possono fare pandant con la spallina dei quell'abitino grigio bellino bellino...

Il 40enne che torna indietro non ha la faccia del 40enne, anzi non ha proprio la faccia, e lo dico nel senso romagnolo del termine, “Un ha miga la faza, paro’…!” (e perdonatemi ma non so scrivere in romagnolo). Il 40enne che torna indietro può essere una sorpresa, all’inizio di più, dopo di meno, però, comunque, ci crede sempre, qualche volta di più, qualche volta di meno.

Bene si diceva anche del 40 che passa direttamente ai 62. Non merita di essere raccontato: “Hai 39 anni, non dico fare le cagate di quello di prima pero’….”    

Anche l'orco qualche volta corre... non è tecnico ma corre...


“Ma se tu mi addomestichi la mia vita sarà come illuminata…”, “il tuo (rumore di passi) mi farà uscire, come una musica…”.
Tu stai camminando per strada e il tuo cellulare trilla, un messaggio, anzi whats app, apri e leggi e quello è ciò che sta scritto.

Leggi, rileggi… rileggi ancora, accelleri, rallenti, cammini, ti fermi,  ti siedi sulla panchina di fianco alla giostrina chiusa perché è andata al mare, è tardi, rileggi e pensi: “Adesso rispondo”.  “Rispondo? Che cosa rispondo?”. Non lo sai, non trovi le parole, c’è ancora qualche pensiero ma non sa prendere forma. Allora ti alzi e riparti, ritorni a casa, “mi faccio una doccia calda bollente e non metto neanche la spugnetta sul bordo” e il bagno chiaramente si allaga e il parquet si bagna e tu te ne freghi, perché si asciugherà, dopo, domani, dopodomani, non è importante. E non metti nemmeno tutte le virgole o ne metti pure troppe, perché vuoi dare l’idea che il momento sia intenso e travolgente, stop and go, e quindi cerchi di affannare pure la scrittura.
“..se tu mi addomestichi..”, hai letto altre volte quella frase, così di sfuggita tra le pagine di un libro bambino fatto per i grandi, ma non ti sei mai fermato a riflettere, lo fai ora sotto la doccia calda. “Addomestichi? Ma io non sono mica capace sai?” “Non sono capace, giuro! Io faccio il povero impiegato non sono un domatore, non so addomesticare… “. Basta decidi di andare a letto, sei sufficientemente lavato, vai a letto perché vuoi addormentarti e invece no, pensi, pensi e rifletti… “addomesticarti?” “se ti addomestico ti illumini?”, cazzarola che responsabilità, tu dovresti dormire invece non riesci, perché pensi, e a che cosa poi?  Pensi ad una passeggiata appiccicata di mezza estate, con lei che ad un certo punto se ne esce e ti dice “sai che siamo proprio una bella coppia?” e sorride, e tu pensi  “ma non siamo una coppia?”, eppero’ siete due, state camminando appicciati, ci sono almeno 38 gradi quindi non lo fate per riscaldarvi, state uscendo a cena, tu non guardi la strada guardi lei, avete messo insieme le monetine nel parchimetro, hai prenotato per due, ordinate per due, non aspettate nessun altro, vi sedete molto vicino, il cameriere vi chiede: “siete due?” e tu dici “sì”, usate un solo menù pur avendone due, parlate-vi guardate-sorridete-vi lasciate guardare-sorridete-parlate-(che poi cosa ci sarà da parlare così tanto?) e poi  vi baciate, e lo fate tuttattaccato! Cazz.. ho detto vi baciate? E non vi curate nemmeno di quelli a fianco  che dicono “ma che bella coppia”, e ho detto vi baciate, quindi forse ha ragione lei…  siete una coppia?

 “Addomesticami!”. E cosa vuol dire? Non sono capace, è caldo, è molto caldo, un caldo bollente, sudato, sudato come quel sabato pomeriggio che tu credevi che fosse normale e invece, invece è iniziato tutto da lì, e se non è iniziato proprio lì bè insomma ha contribuito molto, perché la normalità si gestisce è lo straordinario che ti mette in difficoltà. Se sudi così tanto il sabato pomeriggio devi essere pronto a sopportarne le conseguenze, pronto come l’orco, non basta il Polase, il Gatorade o il ghiaccio sulla fronte o un decreto salva Italia di un Monti qualsiasi . Ci vuole di più. Più punto, senza aggiungere altro. E non serve neanche la standing ovation del tuo vicino di casa che vi guarda esterefatto mentre allaga il cortile annaffiando le piante.
“Addomesticami!”. Dai non sono capace davvero, al massimo posso provare a farti sorridere, come potresti sorridere una mattina che svegliandoti presto controlli il web e trovi un racconto strano di un tipo strano, e allora guardi fuori dalla finestra e sulla strada di fronte a casa vedi un orco che corre, felpa e Fred Perry e calzoncini,  roba davvero poco tecnica,  vuol far dieci km con le chiavi di casa in mano , non ha neanche il marsupio, vuole andare alla chiusa di Santa Lucia a periziare un campo di ulivi e pini marittimi che tu una volta avevi visto perché sempre quel tipo con una scusa ti aveva fatto salire in macchina dicendo “dai vieni con me che non ho bisogno però non si sa mai”. E mentre sorridi pensi:  “Che sia iniziato tutto da lì?”

Si fa presto a dire single....


E poi finisce che fai tardi in ufficio.

E’ venerdì e non dovresti fare tardi, settimana corta o week end lungo, dipende dalla prospettiva da cui guardi.

Fai tardi perché? Perché hai troppo da fare o perché non hai niente da fare, a ben pensare anche in questo caso è questione  di prospettiva.

Beh, esci tardi insomma.

Il manuale del “single” quarantenne sancisce che all’uscita dall’ufficio deve scattare l’aperitivo, per inciso l’aperitivo non si prende, si fa. “Ci facciamo un aperitivo?”, “Abbiamo fatto l’aperitivo”, quasi vivessimo in un mondo di baristi, anzi scusate di barman. Il mio amico cantante oriundo-americano del lago di Garda direbbe: “Tu voi fa l’aperitivo, l’aperitivo, ma si nato in Italy” e aggiungerebbe “It’s soo good” (scritto così!), ma questa è un’altra storia e l’ho già raccontata, quindi torniamo all’aperitivo del single di tendenza e ai suoi rituali, soprattutto ai suoi “chi”.

Sono affascinato dal “chi” perché probabilmente vorrei capire a quale “chi” appartengo io.

All’aperitivo il venerdì trovi diverse categorie di “chi”.

Uno dei “chi” più frequenti e' l'impegnato-single che non può stare senza far niente nemmeno dieci minuti, l’aperitivo è la giusta occasione per impiegare il tempo che va dallo spegnimento delle luci dell’ufficio al momento in cui prende posto al ristorante blasonato quattro cucchiai e tre calici. La serata inizia tardi, tardi per cenare intendo, il ristorante in questione è frequentato da gente top, che fa comunication e socializzazione interattiva, l’impegnato-single, individuo meglio la categoria, è impegnato perché ha sempre un sacco da fare, tanto da fare che è “single di conseguenza”. Solitamente l’impegnato-single è maschio, l’equivalente femminile è la carrierista-single, discende dal vitellone anni 70, è solitamente un nipote, figlio di fratello, che è non mica come quel buono a nulla dello zio, “c’ho da fare veramente io”, “faccio business, bevo buon vino, bollicine, buon wisky e folleggio, non capisco una minchia di niente ma sono un piacione, e mi piace fare il piacione”, l’occhiale giusto, il muscolo giusto, la scarpina giusta, il jeans giusto, la pochette giusta.

L’impegnato single non è mai separato, né tantomeno divorziato, nelle vene ha sangue da vitellone con il fiuto per l’affare, l’impegnato single è single per scelta salvo poi piangere ogni sera per la propria situazione di solitudine. Solitamente l’impegnato-single piange in bagno, di fronte allo specchio, con la luce principale spenta e la lucina dello specchio accesa, si guarda per compiacersi e per autocommiserarsi: “Cazz… sono single, sono bello, sono molto bello, sono intelligente, tutte mi vogliono ma io sono troppo impegnato per concedermi” e subito dopo si chiede “..e allora perché piango?”, poi si accorge di essere troppo impegnato per rispondere quindi spegne la luce e abbandona la scena. Solitamente gli amici del locale lo chiamano per cognome, cognome preceduto da articolo determinativo (il Rossi, il Neri, il Della Gherardesca…), quando lo salutano strascicano le parole: “ciaaaoo Neriii, ci vediamo domaniiii seraaaa…”, E lui immancabilmente: “Oeh, non so se riesco, c’ho da fare”.

Il contrario dell’impegnato-single è il “single afflitto”, anche qui il genere è tipicamente maschile, se proprio vogliamo trovare un equivalente femminile si potrebbe pensare alla “ziona ammalata” alla continua ricerca del sentimento vero e che s’innamora costantemente del “single poligamo”, tipica categoria maschile dotata di elevato senso pratico esperto di statistica e di grandi numeri, in sostanza ogni lasciata è persa e “ogni buco è trincea” come diceva una mia conoscente.

Il single afflitto fa l’aperitivo abbastanza presto, verso le 16.30, non beve vino ma nove volte su dieci ordina un’acqua tonica con ghiaccio non troppo freddo e magari una fettina di limone, a parte s’intende. L’afflitto non mangia gli stuzzichini, il barman nemmeno glieli serve, al massimo gli smolla una ciotolina di noccioline cariche di sale, di quelle che sporcano le dita, unte, secche, sporche.

Il single afflitto solitamente ha pochi capelli e con la forfora, non è necessariamente brutto o mal vestito, ha la forfora e l’espressione rassegnata. Beve l’acqua tonica, non parla con nessuno, legge un giornale di cronaca locale, guarda il calendario delle sagre a cui non andrà perché c’è troppa confusione, paga, prende lo scontrino che conserva con cura, saluta cordialmente, esce dal locale, va a casa, cucina una paillard, due patate lesse, si lava i denti, mette il pigiama di flanella e va a letto. Letto a una piazza, forse tre-quarti di piazza, ha venduto il matrimoniale perché vuole fugare il pensiero. Punta la radio sveglia, e usa il sapone secco contro la forfora.

Altro “chi” molto interessante è il single di ritorno, da non confondere con il ritorno del single, molto più agguerrito. Il single di ritorno è acido. Non prende l’aperitivo, prende un caffè deca, guarda gli altri che bevono e pensa: “ridi, ridi, va là che non dura mica”. La variante femminile è “la single agitata”, donna falsissima che ti guarda e mentre ti ringrazia per averle offerto da bere sorride e inizia a chiederti: “Ma vivi da solo? Che lavoro fai? Hai figli? Hai mai tradito tua moglie? La tradiresti su tu ne avessi una? Russi? Ti lavi i piedi prima di andare a letto? Quando hai le prossime ferie? Dormi con il pigiama o senza? Ti piacciono le donne con i calzettoni di lana grossa? Sai stirare? Il venerdì esci con gli amici? Ti piace il calcio? Fai la pipì in piedi o seduto? Io amo a 360 gradi, tu?”, poi aggiungono “…così, solo per parlare del più e del meno, sei un tipo interessante come se ne trovano pochi, mi piace sapere come vivi!”.

Il single di ritorno nove volte su dieci va in ansia da prestazione quando non si addormenta prima. Il single di ritorno solitamente si accoppia con la “zitella problematica”,   variante celebrale della “ziona ammalata”. 

Infine abbiamo la categoria peggiore, anzi non peggiore stramba: il single-misterioso. Non si sa esattamente chi è, non si sa se è davvero single, si dice che abbia molte donne ma lo si vede sempre solo e lui dice di essere solo, il suo aperitivo preferito è un vinello rosso scuro barricato (barricato perché fa più mistero), mentre beve legge, legge quotidiani di tutti i tipi, preferibilmente legge di sera quando la notizia è già vecchia ma legge in profondità (arriva un po’ dopo ma è preciso). Il single misterioso non parla quasi mai, sussurra, “Vorrei un Vigorerello signora”, dice buongiorno e buonasera, non dice ciao. Quando entra nel locale c’è chi lo scambia per uno della finanza e chi per un testimone di geova pentito. Il single misterioso ha sempre un paio di storie finite male alle spalle, qualche volta un figlio, qualche volta un cane, qualche volta due (due figli e due cani), nessuno di questi vive con lui, il single-misterioso è solo.

Il single misterioso fa poco sport, lo fa di nascosto,  non è costante. Il single misterioso qualche volta è amante, amante di un’impegnata non single, in quel caso è single-part time con la sindrome da week-end e festività natalizie. Il single-misterioso-amante è sempre a scadenza, da consumarsi preferibilmente entro il, però da consumare tutto, ed infatti di solito le storie sono brevi ma intense e fanno curriculum, aumentano l’alone di mistero. A volte, poche poche, il single misterioso si innamora (le altre si commuove), se è sincero lo ammette altrimenti lo pensa e basta. Il single misterioso è geloso, è geloso del suo status, del suo amore, del suo lavoro. Il single misterioso è possessivo al limite dell’egoismo.

Il single misterioso fa un sacco di km in macchina, va non si capisce bene dove, lui va, conosce tutto e tutti, saluta a destra e a manca ma lo fa distrattamente, il single misterioso e il più single di tutti, si crogiola nella single-tudine, diventa la sua copertina (di cashmere pero’…  se non è un morto di fame). Il single-misterioso è maschio, ha vissuto molto, è giovane ma non troppo ma contemporaneamente non invecchia, matura, diventa interessante, (interessante le prime tre settimane a dire il vero perché dopo rompe le balle),il capello si brizzola, è solcato da rughe di espressione, un’espressione misteriosa però, non porta mai il cappello. Il single misterioso ad un certo punto scompare, nessuno sa più dov’è, cosa fa, quando lo fa, nessuno sa più nulla di lui, il mistero prende il sopravvento.

E’ venerdì, non si dovrebbe far tardi in ufficio, la settimana corta, il week end lungo, nulla da fare o troppo da fare, la prospettiva da cui guardi, il mistero, i zioni, le zione, la gelosia , il possesso…. no, non si dovrebbe far tardi in ufficio.

La nebbia il 18 di giugno c'era, l'ho vista.


“Scusa ma non avevi un appuntamento a Verona alle 20.00?”
“Eh sì, va bè ma riesco, mezz’oretta e ci sono, insomma un tre quarti d’ora via, toh ad andar piano un’oretta…”

Ed è così che in una sera di inizio estate, ma poteva essere tranquillamente un pomeriggio di tarda primavera, decidi consapevolmente di fare tardi, sai che ti dovrai inventare una scusa plausibile per giustificare il ritardo, ok che è un’amica e non rischi, però qualcosa dovrai dire, dovrà essere qualcosa di serio ma non di tragico altrimenti dovresti essere triste, non troppo lavoro perché equivale a "balla matematica", potresti raccontare la verità oppure potresti dire che c’era la nebbia, che a ben pensare non è troppo distante dalla realtà.

“Ciao, scusa il ritardo, è che ho incontrato una nebbia esagerata, non vedevo davvero nulla!”
“La nebbia? A giugno?”
“C’era, lo giuro, a banchi si intende, non fitta fitta però c'era!”
“Sì ok, va bene,  come stai??”

La nebbia a giugno a volte c’è. La nebbia a giugno è molto pericolosa. La nebbia a giugno ti fa fare tardi. La nebbia a giugno ti azabaja. Quel pomeriggio la nebbia c’era.  Era calata verso le 16.58, tu sei ancora in ufficio e ti viene voglia di un aperitivo, allora invii un messaggio, formuli un invito generico non impegnativo che ti possa lasciare una via d’uscita, del tipo: “Io vado a prendere un aperitivo perché devo fare un lungo viaggio in auto”.

Qual è la via d’uscita? “Io vado…”, cioè io vado in ogni caso e se anche a te va piuttosto che andare da sola lasciati fare compagnia da me che poi forse non è così male.

“Bello, ci facciamo un birrozzo??”.

A te la birra non piace molto, pensavi ad un bicchiere di vino, la birra fine a se stessa ti fa acidità, la bevi solo quando mangi la pizza o la piadina, birra e pizza, è un classico, in fondo tu sei classico, però rispondi: “Uauuu, birra, è proprio quello che volevo!”. Ma il bello è che non stai mentendo, ad un tratto ti è davvero venuta voglia di birra, una media (perché dura di più), bionda (perché fa contrasto col capello), fredda (perché tu hai già caldo a sufficienza, direi un caldo della madonna che rende di più l’idea anche se non sta bene).

17.15 e siete seduti all’ombra di un viale, seggiolina di plastica modello Parigi, tavolino di ferro modello Lombardi di Borgo Rivola, due birre medie freddissime  offerte da lei perché tu hai già prenotato una cena di pesce per contraccambiare e non si pensi ad un trucco per scroccare una bevuta, tu al mare ci vuoi andare davvero, saresti pure disposto a firmare un post-datato a garanzia già intestato al ristoratore da lasciare in deposito in una cassetta di sicurezza nella filiale di Riccione, lo fai presente, insisti, “non scherzo”, “giuro” no perché fa troppo melodramma.

17.30 e parte una conversazione complicata sui cromosomi e sul DNA, che può apparire anche un po’ strana come cosa, direi pretenziosa,  non è proprio un argomento da aperitivo e non siamo neanche studiosi del genoma umano, però il dialogo converge sull’importanza dell’X e dell’Y. Uomo donna/donna uomo. Lei mi dice che non ho la faccia, ma c’è un po’ di X in me che la incuriosisce, io un po’ mi offendo: “X a chi? E poi che faccia?”, ma mi offendo per finta, in fondo in lei c’è un poi di Y che la fa apparire molto interessante, è nascosto bene, dietro ad un sacco di X, ma c’è.
 
E comunque sarà per la birra, sarà la nebbiolina estiva, sarà il viale, saranno i cromosomi X/Y, sarà che stai facendo tardi ma non te ne potrebbe fregare di meno, anzi speri di fare ancora più tardi, ma quello finisce che non è un aperitivo normale. Finisce che finisci la birra e sei emozionato e non capisci il perché, provi la stessa emozione che hai provato quella volta che hai comprato la cornice nuova per il tuo splendido quadro tirolese, una chicca di arte naif che fa bella mostra di sé nell’angolo più in vista della tua casa.
Pensi meglio e ti accorgi che stai provando la stessa emozione della la prima volta che ti ha appoggiato la tazzina del caffè sul giornale e dopo averlo bevuto ti ha chiesto: "Posso??".
Insomma, per capirci, un’emozione mica da ridere e non passeggera, un’emozione che ti lascia il retrogusto, è sì perché sei emozionato anche quando sali in macchina e parti alla volta del tuo appuntamento in ritardo di circa due ore, e sei emozionato anche quando arrivi e dici: “Ciao, come stai, è da un sacco che non ci si vede”, e il tuo appuntamento risponde: “Sì, quasi tre anni e arrivi pure tardi, bell’amico che sei! E poi la scusa della nebbia.. a giugno?”.
Ma la nebbia c’era davvero, e  tu lo sai che sei stato un po’ cafone però non sei troppo dispiaciuto, troppo buona la birra nel viale per potersela perdere,  e ti rendi conto di essere davvero cafone quando “bip-bip messaggio sul cellulare” e te ne vai in bagno, e non ne hai bisogno, vai in bagno perché devi rispondere, potresti farlo tranquillamente anche lì al tavolo,  sei con una tua paziente amica storica, non si formalizzerebbe, ma hai bisogno di concentrarti  da solo.

Devi dare una risposta intelligente, lei ti ha detto che ora sta guardando i cartoni animati ma la serata è sta splendida e l'aperitivo divertente e ora voleva solo augurarti la buonanotte, il bagno è angusto e non ti offre il massimo dell'ispirazione, ma tu non puoi fare la figura del banale maschio comune, e dopo prove e riprove, cancellazioni e correzioni, scrivi: “Buonanotte piccola”.

Bravo, intelligente, davvero sopra la media, colpo perfetto, indimenticabile, nessuno avrebbe fatto di meglio.

Torni al tavolo, la tua amica inizia a spazientirsi, tu continui ad essere distratto, oltre ad essere emozionato ora sei anche preoccupato di non aver lasciato il segno giusto, quello del maschio fuori dal comune, quello che "da danno", quello che avrebbe dovuto farle rispondere: “non c’è contatto di mucosa con mucosa e pur mi infetto di te”, che l’hanno già scritto altri ma ti avrebbe davvero fatto piacere sentirtelo dire e a questo punto sarebbe perfetto.

Vorrà dire che per fare colpo dovrai studiare qualcosa di diverso, che so un regalo prezioso, ma non prezioso-ricco,  un regalo prezioso che parli di te, che le faccia capire che per lei faresti  tutto,  anche regalarle il tuo bellissimo quadro francese di fine ottocento,  olio su tela, tratto deciso per un mix di romanticismo e passione che sei certo le piacerebbe moltissimo, poi pensi che quello potrebbe essere troppo, con quello potrebbe anche innamorarsi subito e non vuoi esagerare, vincere ma non stravincere!!

Poi ritorni, sono passati due giorni dal tuo aperitivo sul viale, sei ancora un po’ perso in quella strana emozione, anzi sei un po' perso punto, e anche un po’ preoccupato per il colpo mancato, quello del danno, pensi, vagheggi con la mente e con la macchina finchè non parcheggi di fronte a casa, ad un tratto in pieno centro ed in pieno giorno vedi lei che arriva in bici, capello semi bagnato, maglietta e costume da bagno senza gonna.

Quando ti vede si ferma: “Ciao, sei tornato? Com’è andata?”, e tu: “Bene dai, tutto bene, ma… posso farti una domanda?”, “Sì certo!”, “Ma… da dove vieni?”, “Piscina, sono andata in piscina!”, “Ahh, piscina… ma… scusa… e la gonna?!”, “La gonna?” risponde lei e si guarda e non diventa rossa ma sorride: “Ahh la gonna, opsss, credo di averla dimenticata negli spogliatoi… sai… sono un po’ distratta, non so bene cos’è ma c’è qualcosa in questi giorni che mi sta, mi sta… non saprei come dire, ecco, sì insomma, mi sta dando  un po’ ... un po'... mi sta dando un po' danno…”.

I fidanzati sul divano


Nel corso della mia vita e del mio lavoro ho incontrato tanti tipi di coppie,  soprattutto del mio lavoro… ed in particolare nel corso del mio passato lavoro di filiale, perché il direttore di filiale gode di un osservatorio privilegiato: incontri la coppia cointestata, ascolti la loro storia cointestata che li spinge ad aprire il rapporto insieme (sentimental-economico), vedi  poi in rapida successione  la realtà dei conti aperti all’insaputa dell’altro, emetti i due bancomat cointestati e i due bancomat “per sicurezza ne tengo un altro sul mio conto nuovo che mi serve per risparmiare che non si sa mai che possa perdere quello sul conto del mio adorato e cointestato partner” (sto volutamente sul generico per evitare di essere accusato di sessismo), blocchi il bancomat cointestato, blocchi il bancomat singolo, chiudi il conto (e ti arrabbi perché non vai a premio), infine passi la posizione a contenzioso perché nessuno dei due accoppiati vuole pagare le spese di estinzione dell’altro, altro che è sempre debosciato-fedifrago e ladro perchè ha sempre rubato la pensione della nonna di lei/lui per scappare da qualche parte con uno nuovo che sì che lo capisce ed è buono-generoso-comprensivo-intelligenti-sensibile. E non pensiate scappare dall’altra parte del mondo, a volte, anzi spesso, si scappa a due km da casa, più comodo, più economico, più gestibile.

Comunque scusate, sto divagando, dicevo delle tante coppie incontrate… coppie tradizionali, coppie di fatto, gli sposati, gli scoppiati, gli accompagnati, gli aronati (avrei voluto scriverlo in romagnolo ma non lo so fare), i fidanzati in casa, i fidanzatini,  i distanziati (fidanzati a distanza), i fidati (fidanzati che si assicurano di non tradirsi), i felici per sempre, i felici finché dura, i felici non lo siamo stati mai, ho incontrato qualche fidanzato che lo sapeva solo lui e qualche altro fidanzato che “ci siamo presi una pausa di riflessione, ancora un quindici anni e vedrai che si ricomincia più forti di prima”,  ma ho incontrato una sola coppia di fidanzati sul divano.

Fidanzati sul divano. Detta così può sembrare qualcosa di poco serio ma visto il caso direi “tutt’altro”, i due hanno scelto il divano forse perché meno impegnativo del letto, più serio del fidanzamento in macchina, certamente meno formale del fidanzamento in casa, che a volte per inciso può pure diventare un po’ difficile da spiegare, scomodo quel tanto che basta da non farti passare troppo tempo seduto a pensare e finisce che non ti fidanzi mai, scomodo quel tanto che basta per convincere lei a covinare sul fianco tanto da farla diventare piccola piccola anche se è alta un metro e un’esagerazione, comodo quel tanto che basta per convincere lui che “questo fidanzamento s’ha da fare”, comodo quel tanto che basta per convincere lei che lui "ce l’ha, ce l’ha, le manca", ma in fondo lei è un’altra cosa e lui di questo si è già belle che convinto la prima volta che l'ha vista. E allora nel coacervo di convenzioni utilizzate per descrivere un rapporto a due una definizione bisognava pur trovarla, e i soggetti  questo hanno deciso:  fidanzati sul divano, per il momento senza puff perché non hanno trovato quello che fa. “Quello che fa” finisce così, non c’è bisogno di aggiungere altro.
 “Noi siamo fidanzati sul divano, spalla alta e rigida, un fidanzamento bello deciso”, “ Ce lo apri direttore un conto cointestato?” , ”Non ci servono bancomat, né singoli, né cointestati, non ci serve niente, partiamo così senza pretese, senza aspettative, non vogliamo un conto per risparmiarci, nemmeno un conto per specularci, se ci fai la mifid scrivi che amiamo il rischio e non ti accuseremo mai di averci venduto un divano difettoso, sì lo sappiamo direttore che tu non vendi i divani, ma un conto non ci serve, ci stai simpatico e lo apriamo, perdonaci, siamo un po’ matti, anzi molto matti, lei di più, lo sanno tutti, basta vederci, però che vuoi... ci siamo conosciuti per caso, amici di amiche, così all’improvviso, di corsa, di chimica, per coincidenze, tante, molte, moltissime, forse un po’ in ritardo ma stiamo recuperando, senza pause, crackers e ricotta, marmellata e passione, piadina e prosciutto!”

E io sulle prime sono rimasto pure un po’ spiazzato, non sapevo che dire, chi sono sti due? Dicono e fanno cose strane, ho chiesto anche informazioni al mio amico Notaio: “Ma sti due chi sono?”. “Guarda non lo so… li vedo sempre in giro per bar, sembrano un po' persi, frequentano la Romagna ma non lì conosco,  chiedi all’Architetta!”.
“Architetta, tu che sei donna di mondo e sai le cose, dimmi, chi sono sti due?”; “Guarda non saprei, ho sentito dire che sono una coppia, a guardarli si direbbe davvero, paiono innamorati, poi io non so, ho molto da fare io, al mattino mi alzo presto, sono abitudinaria, frequento sempre le stesse persone, gli stessi posti, però più ci penso e più paiono innamorati ma chi sono non lo so”.

E io il conto alla fine l’ho aperto, sono bravi in fondo, pensate che per festeggiare gli ho offerto pure da bere: “Ordinate quello che volete”, “Un bicchier d’acqua dal rubinetto, l’importante è che sia di Ridracoli perché fa bene!” hanno risposto, sono semplici, e poi sta cosa del divano mi piace, mi ha affascinato, non l’ho capita bene bene, ma poi non c’è mica bisogno di capire sempre tutto, faccio il bancario mica il genio, so cos’è successo nel 476 d.c. perché è storia, chi sono quei due non lo so anche se la loro è una bella storia, molto bella anche se non ho mai visto il divano e non posso nemmeno consigliarli un puff adeguato, però sono felici e allora perché non dargli fiducia??  

La piadina e il tacco dodici

Tacco dodici e piadina, sembra facile, ma bisogna saperlo portare, e soprattutto bisogna saperla mangiare.

E’ un po’ come abbinare uno splendido abito nero, molto mini e molto nero, molto elegante e molto mozza fiato, ad uno strozza zucchine e gamberetti annaffiato da un buon Vintage Tunina sul lungo mare di Rimini.
Ecco questa sera è una di quelle dove ti eserciti a ricordare i particolari così, senza una ragione, oppure per mille ragioni, che poi è la stessa cosa. 
Stai un po’ sul divano con un liquore cent’erbe, poltrisci, pensi, ripensi, sorridi, sì sì sorridi, diventi nostalgico di un tempo passato da poche settimane, insomma ti crogioli, sì ecco ti crogioli. E crogiolandoti fai confusione con i ricordi, e capita che la voglia di scrivere di una bella serata diventi un mix di belle serate, di emozioni sovrapposte, di dettagli ammucchiati, perché in fondo sei un po’ “azabjato” e chissenefrega se non sei proprio preciso preciso….
“Dove mi porti questa sera?”
 “Stasera semplicità, libertà, fascino e salsedine”
“Cioè??”
“Una piadina, mangiata sul tetto della barachina, poco barachina e molto fashion che se stai attenta, in lontananza, dietro a quelle case là, scorgi pure il mare... e se stai molto attenta e chiudi gli occhi e bevi quella birra artigianale che ti piace tanto e sorridi, lo puoi pure sentire,”
“Mi piace la piadina, la mia preferita la fanno a Bagnacavallo, rucola-prosciutto e fontina, mi porti a Bagnacavallo?”
“Ma no, a Bagnacavallo non c’è il mare!”
“Sì che c’è il mare a Bagnacavallo, sei distratto, e la fantasia? Ma non sei tu il teorico della fantasia??”

Ed è così che può partire un’uscita,  seconda puntata di una capatina fuori porta, iniziata con il vestitino nero di prima, quello corto-elegante mozza fiato  che fa pandan con il capello nero che pensa al rosso, fluente  e incontrollato, e tu con la camicia nuova comprata apposta perché volevi fare bella figura, come quando avevi quindici anni, e poi la spiaggia dove non si può entrare perché è sera e non hai quindici anni nonostante la camicia, poi i vicini di tavolo che ti guardano un po’ invidiosi perché si capisce che tu sei più felice di loro, un po’ perché sei matto, un po’ perché la baci, un po' perchè sei davvero più felice di loro, incoscientemente felice.

E quando ti trovi di fronte ad una piadina mangiata sul tetto della barachina, e il tacco dodici che ti sfiora il mocassino, e la birra artigianale a dissetarti, e qualche gocciolina di pioggia che scende all’improvviso ma tu te ne freghi, ecco in quelle occasioni racconti tutto di te. E ti capita a volte di chiederti “ma perché diavolo ti sto raccontando tutto? Dovrei moderarmi, troppa vita, troppi segreti, troppe emozioni, troppe figuracce…“, poi fai una foto a lei e la guardi, e arriva il titolare che ti dice “Bravo, bravo, fotografa, fotografa pure, così quando ti molla ti guardi la foto”, e ride, e tu pensi: “ma vaffanculo che cazzarola ridi”, però ridi anche te perché sei matto, anzi sei diventato matto, perché quella è una di quelle sere che lasciano il segno, e non il segno del tacco sul mocassino perché quello si spazzola via, l’altro no.

E poi ritorni a casa, e in macchina che non è la tua perché la tua è rotta canti Mina, anzi tu pensi e lei canta, perché a tutto ci deve essere un limite e tu che canti significherebbe oltrepassarlo quel limite, e appena rientrati  vi fermate un secondo sul divano, il divano che stasera ti fa ricordare, un divano studiato in America, perché ha strani poteri, poteri magici e lì fate scelte importanti, scelte da grandi mica da quindicenni , scelte importanti contrattualizzate via sms, sborantamila sms si diceva un tempo, una storia di sms, anzi una storia in sms.

E la mattina seguente ti svegli, esci di casa e corri a prendere un caffè che quasi quasi ancora albeggia, perché da qualche tempo a questa parte il caffè non è più quello di una volta e sì sa che quando il caffè arriva è meglio esserci... perché prima o poi (e anche questo si sa) finisce…



Quella sera di quei due giorni alle terme del lago...


Una vacanza in solitaria, oddio vacanza, una due giorni.
Ho pensato tante volte di partire solo,  però ho sempre avuto bisogno di una scusa,  che so…. l’alibi del lavoro, un corso, un appuntamento,  andare a trovare un amico, magari un’amica, ma solo fine a se stesso mai. Invece stavolta sì.  Nessuna scusa, solo, luogo semi-abituale in perfetto stile (il mio stile di abitudinario), terme, cena, due passi, Moleskine, caffè, caffè lungo, poi ristretto, poi orzo, poi americano, poi un bar, una veranda, due/tre giornali, mai Repubblica che continua ad “urticarmi” al solo contatto, due chiacchere, ancora un po’ di Moleskine, ancora due passi.
Non è male in vacanza da soli, pochi giorni e si assapora il gusto della libertà, la libertà alle terme è salata, ha il sapore dello zolfo, dell’acqua salsobromoiodica (e giuro che non so se l’acqua era sta roba però fa), vista lago (il Garda), ha il sapore del meglio soli che mal accompagnati, meglio soli che “accontentati”.

Poi soli ti accorgi di quello che ti sta attorno, a volte te ne accorgi pure troppo, però incontri anche situazioni curiose, divertenti.  Il luogo migliore per osservare è a cena, fingi indifferenza, fingi di essere molto impegnato, pensoso (non pensieroso, pensoso è diverso, sta tra l’assorto e il sto cambiando il mondo, pensieroso sta invece tra l’assorto e il mondo sta cambiando me),  certo bisogna far attenzione ai ristoranti perché può pure capitare di ritrovarti in una verandina centro piazzetta, chiedi: “C’è posto per UNO?”, “Sì certo, dove vuole lei signore”, poi  quattro camerieri esagitati, tatuati, buri e palestrati, decidono che è ora di smontare il locale, spengono le candele finte, ammassano i coprimacchia, corrono prendendo la comanda, “dica… e poi??”, ordini l’acqua tre volte, il dolce due, ti agiti anche tu, mangi alla velocità della luce, temi ti possano smontare il tavolo, decidi di aver voglia di un dolce, chiedi la carta, ti accorgi di aver fatto malissimo,  te la portano, torta e gelati, foto “dal vero”, la torta sa di colla, sa di colla sulla carta e sa di colla sul piatto, lo so, ordino mousse di pere e cannella,  la portano, anzi la lanciano, potevo scegliere pera e cioccolato o marmellata e cannella, il sapore sarebbe stato lo stesso: colla.
Mangio la mousse, la mangio tutta, ho paura che il tatuato mi meni se faccio avanzi, “Altro?”, “No grazie, sono a posto così, prendo il conto, poco cotto, grazie”. Sul lato destro-veranda si affacciano tre ragazze biondissime, bellissime, elegantissime, vogliono cenare, forse risolvo la serata, mi faccio ancora più pensoso, pensosissimo, “E’ troppo tardi”, certo è troppo tardi, è troppo tardi perché se volete farle cenare dovreste rimontare la sala! La più carina delle tre ha rischiato di farsi travolgere da un cameriere in transito, quello più abbronzato. Serata non risolta.
Il caffè lo prendo nel bar di fronte, bello il bar, bellissima la barista, stralunato l’aiutante al banco, osceno il caffè. Cattivo, ma cattivo cattivo, bruciato, la cremina è un ricordo, sbiadito e lontano nel tempo. Ho voglia di dolce ma ho ancora la torta sullo stomaco, mi allontano dal triangolo degli assurdi locali del centro, ora sono vicino all’Hotel Ristorante Pace, sono a sedere su di una panchina, carina, nuova, finanziata con contributi europei per l’arredo urbano, in sottofondo la musica di un piano bar/ristorante, un cantante Italiano che canta e suona in Inglese, anzi Americano, non lo vedo ma lo sento, sta suonando per un gruppo di inglesi, inglesi veri, “Mai Inglisc è no gud”, sembra il mio, lo giuro ha detto così, ora intona “That’s Amore”, è bellissima, è bellissima cantata da lui in perfetto napoletano inglesizzato, non ho conosciuto le tre biondine ma questo tipo sì  mi ha risolto la serata.

Meglio del dolce, è fantastico, così come è fantastico il brusio degli Inglesi in sottofondo, non capisco una mazza di quello che dicono, primo perché non capisco niente di Inglese poi perché sono ubriachi, ubriachi persi. “Bravvo, bravvo, its so good”, parlano come lui, sono entrati in simbiosi.
Elvis, si chiama così, ha raccolto pubblico anche esternamente, coppie miste e mistiche, dilatate nel  tempo con lei giovanissima e lui di mezza età, dilatate nello spazio con lui molto grasso e lei molto magra, lui basso e lei alta, lui pelato e lei bionda. Sì lo so pelato non è il contrario di bionda, ma che importa?

Un cane sta demolendo un’aiuola, la sua padroncina biondina, con gli occhialini e carina, Inglese pure lei, lo sta guardando attentamente, palettina e sacchettino raccoglifeci. Il cane ha fatto la cacca, la padroncina la raccoglie e gli dice bravo, anzi gli dice “good”, l’aiuola è demolita, anzi arata, ma il marciapiede è pulito, ahh la civiltà anglosassone.
Una coppia di mezza età scarsa sta ballando un lento, Elvis suona  un rock, ma loro ballano un lento, si baciano, lei è innamorata, lui forse , ha i baffi, sembra piuttosto commosso, non so se per la situazione, la canzone, o per la brezza che spira dal lago.

La bella e il pappone con la giacca bianca (il grasso e la magra di poche righe fa), si sono seduti nella panchina di fianco, mi guardano... mi guardano mentre scrivo, “Chi è questo? Cos'è che fa??” e lei pensa: “Sarà mica uno scrittore”, lui pensa: “Sarà mica della Finanza?”. Io penso: “Effettivamente chi sono, e soprattutto che diavolo sto scrivendo??”

Racconto inutile di una storia quasi inventata


Azzeccato,  credo di aver fatto una bella scelta: “Terrazza bar Al Ponte”. E’ una bella locandosteria (tuttattaccato!), calda accogliente,  ben frequentata (in realtà non lo so chi la frequenta, non sono mai andato ma è certamente così).

Nel tavolo a fianco si sono appena sedute due ragazze molto carine, molto eleganti, direi fashion, soprattutto la bionda, io nel frattempo ho scelto un vino bianco, profumato, non so il nome, non l’ho chiesto, mi sono fidato, provvederò.

Ora il locale è pieno, alla mia sinistra una coppia atipica, direi assurda, anzi dispari, apparentemente squilibrata, lei avrà venticinque anni, lui quarantacinque, lei sportiva, direi alternativa, pitbull al guinzaglio, collare con borchie (il pitbull con il collare non lei). Lui elegante, faccia da marpione in trasferta, barba curata con venature bianche, sembra Marcolin, il mio professore di Tecnica Bancaria ai tempi dell’Oriani. Indossa un cappotto nero serioso che contrasta con il pearcing argento che lei porta all’angolo del sopracciglio sinistro. La guardo meglio, ha un viso spigoloso, pelle olivastra, all’apparenza indiana ma con accento veneto, veneto stretto.

E’ difficile farsi gli affari degli altri senza dare nell’occhio, guardare dando l’impressione di non farlo, difficile ma divertente, soprattutto quando non hai nulla da fare, è un modo sciocco di occupare spazio e tempo.

Resta un ultimo tavolo, tre signori e due signore di mezza età, abbronzatissimi, costosissimi, fintosnobbissimi, una delle due signore ha il capello lungo e biondo, i jeans 9.2 a vita bassa e il tacco dodici. Molto aggressiva, saluta tutti, bacia tutti, tocca tutti, svampeggia, fa pure un po’ ridicolo, ma non sta bene dirlo. L’altra invece è più classica, si atteggia meno, leggermente ma non troppo, forse perché le labbra rifatte le impediscono la risata  e le rughe da lampada UV le danno un’espressione sorniona e leggermente patacca, un pidocchio rifatto con i capelli ricci e la camicia di Hermes.

Secondo calice di vino, ho chiesto pure il nome ma me lo sono già dimenticato. Perfetto, sono rincoglionito.

Il pitbull si sta spazientendo, vorrebbe starsene fuori a passeggiare e a fare la pipì una volta ogni due alberi, mentre la padroncina indiana con l’aria alternativa e l’accento veneto, il volto olivastro e spigoloso, beve l’ennesimo Spritz e si lascia intortare dal marpionaccio con il cappotto che pensa a tutto tranne che a quello di cui parla.

Guardo meglio, l’alternativa è un bluff,  si atteggia a centro socialista ma il borsone a tre ante è una L.V. originale, il jeans non so cosa ma il prezzo non è inferiore ai 180 euro, chiude il personaggio un piumino verde e uno stivale scamosciato con pelo che fa un casino moda.

Il pittbull è sempre più nervoso. Si sono alzati, se ne sono andati, lei non gliela darà, sarei pronto a scommetterci, lui sarà deluso ma non troppo, è la prima tappa di un investimento sentimental-carnale, persevererà (brutta parola ma fa lo stesso), persevererà almeno per altre due volte poi o riesce o niente, bello deciso non risponderà al telefono fino a quando lei non lo chiamerà, passeranno almeno tre settimane, lei lo chiamerà quando avrà voglia di farsi un altro paio di spritz in compagnia del cane. Un classico.

La bionda mezza età è ubriaca, sta continuando a salutare tutti, anche quelli che non conosce, ha salutato anche me: “Buonasera caro”, “Buonasera signora”, avrei aggiunto “come sta tutto bene? E i figli?” che fa molto buona educazione, l’avrei fatto per confonderla, lei avrebbe pensato tre giorni a chi cavolo io fossi “lo conosco, devo conoscerlo sicuramente, ma chi è??”, magari mi avrebbe presentato la figlia così avrei chiesto direttamente a lei delle condizioni di salute.

Basta, chiedo il conto, lo chiedono contemporaneamente tutti quelli che sono ancora in sala, è un classico, sindrome da conto collettivo, la bionda ondeggia, la sua amica riccia ghigna (ricordate le labbra al silicone?), i tre signori ridono, risata sorda e volutamente volgare, serve per ostentare.

Tredici euro e cinquantaquattro centesimi è il mio conto, “Vuole anche i centesimi?” “Si certo, le do il resto”, “Grazie, lei è un amico caro, mi saluti la signora”.

“La signora? Ma chi è questo? Dovrei conoscerlo! Anzi no lo conosce la signora, zoccola, lo sapevo”.

Mezzanotte, il portiere d’albergo mi saluta: “Buonanotte caro!”. Preferivo una portiera.


Monti, l'Evasione Fiscale, la Destra, la Sinistra, il Bar Sport


Io capisco che Governare è l’arte del possibile e la Politica è l’arte dell’adeguare le proprie idee-convinzioni-strategie ai tempi, ma seguire il pensiero del nostro Presidente del Consiglio è diventata per me  impresa  oltremodo complessa.

L’Autorevolissimo Professorissimo, custode della verità e dell’equità,  un giorno dice che mai si candiderà alla guida di un nuovo Governo, il giorno dopo afferma invece che se il Paese (vivaIddio) avesse bisogno di Lui, Lui non si tirerebbe indietro, anzi Loro non si tirerebbero indietro (non ho capito se usa il plurale maiestatis ho se si sente un po’ Divino e usa il noi per identificarsi in una sorta di santissima trinità post-moderna: il professore, il premier e il santo moralizzatore – uno e trino in saecola saeculorum), il terzo giorno afferma “lasceremo il Governo ad altri nei prossimi mesi” (grazie sei gentile, credevo fosse vostro per sempre), il quarto giorno è domani e ancora non so cosa dichiareranno (dichiareranno loro, la trinità).

Ora vorrei soffermarmi però sulla parte più profonda ed equa della sua dichiarazione: “..mi auguro che si possa un po’ per volta spostare quel fronte di intolleranza che ha caratterizzato tanta parte della recente vita italiana, spostarlo perché non separi chi è di destra di chi è di sinistra, anche se le differenze possono essere importanti, ma separi essenzialmente due parti: coloro che pagano le tasse, assolvendo ai loro doveri di cittadinanza, e gli altri. Credo che questo contribuirebbe, ne sono sicuro, a dare un senso di cittadinanza comune”.

Bravo cazzo, scusate mi sono fatto trascinare dall’enfasi, bravo caspiterina. Sei un grande, anzi siete grandi. Ma l’avevo capito subito sai che non scherzi nulla? L’avevo capito subito che tu l’equità ce l’hai dentro, che pane pane vino al vino, che quel che è giusto è giusto, quel che è equo è equo. Il problema in Italia è solo uno:  l’evasione.  E basta con queste menate pretestuose dei soliti furbettettini con il cuore in Italia e il portafoglio a Montecarlo o alle Cayman, che intavolano dibattiti e questioni sull’insostenibilità di un apparato burocratico famelico-inefficiente-corrotto-assistenzialista con venature di nepotismo familiare e partitico.  Basta con questi profittatori che continuano ad insistere che il 65% (reale) di pressione fiscale è un abominio contro natura; che cincischiano, gli stolti, con il dire che sì va bene pagare ma chiedersi che cosa si fa con i loro danari non è una banale curiosità ma magari un diritto Costituzionalmente garantito (ho detto Costituzionalmente? Forse mi son sbagliato, non so se potevo dirlo, non sono mica di Repubblica, non ho neanche la tessera “amico dell’Anpi,  non è che mi querelano per abuso di democrazia d’altri?). Insomma basta, l’evasione è l’unico problema.

Il fatto che le entrate fiscali vadano a foraggiare (inizio volutamente da qui si badi!!) una pletora di dipendenti pubblici e parabubblici (leggasi società miste a partecipazione pubblica) superiori  in proporzione a qualsiasi altro paese civile (non dico Europeo perché non  ne posso più di prendere l’agglomerato Istituzionale più in crisi del mondo come termine di paragone) ; che paghino gli stipendi dei politici consiglieri di amministrazione delle migliaia di società pubbliche;  che mantengano un sistema di governo del territorio fatto di tre livelli periferici (regioni-province-comuni) la cui inefficienza è conclamata; che coprano il deficit di un sistema previdenziale (appesantito tra l'altro "dall'equità" della gestione Inpdap) la cui mancata riforma prima e la finta riforma lacrime amare dopo ha reso perlomeno instabile; che consentano trasferimenti statali a quelle regioni autonome che assumono forestali per spegnere  incendi dolosi provocati da chi?
Ed ancora entrate fiscali che consentono di  pagare i risarcimenti danni alle “vittime degli errori giudiziari”, che consentono di ripianare i deficit sanitari regionali,  che consentono di  finanziare le opere pubbliche strategiche bloccate da comitati di protesta così come i danni provocati dai comitati di protesta stessi. Ecco dicevo il fatto che le entrate fiscali finanzino tutto questo non è solo moralmente accettabile ma è pure equo.

Si equo!! Ahhh come gli piace questa parola…. equo, bastardi gli evasori, equi  i centri di costo di cui sopra, delinquenti gli evasori,  equo il sistema che viene coperto dalle entrate fiscali, ricchi maledetti i possessori di casa, equa l’IMU redistributrice.

Eh sì, l’evasione… gli evasori… sono loro il vero ed UNICO cancro della nostra non-civiltà, è vero, è bene fare dibattiti tutti incentrati su questo, fotografare i cafoni dalla barca facile da esporre al pubblico ludibrio, i ladri dal mattone dorato che posseggono una-mille cento case,  viva la finanza che blocca il suv e lo multa a priori, viva Befera viva.

Basta destra e sinistra,  la divisione vera è “evasori di destra” e “pagatori di sinistra”,  lo dicevano anche al bar, ho sentito io, un pensionato di 55 anni che prendeva il caffè prima di andare a vendemmiare in nero  stava parlando con un dipendente Comunale dal pomeriggio libero e a proposito di Monti commentavano:  “Ehhh bravo, se le tasse le pagassero tutti, anche quel ladro di Berlusconi, non saremmo mica ridotti così” “Hai ragione, ladro maledetto, ladri maledetti”, “Sì, è vero, sta buono, meglio non parlarne, a proposito quand’è che puoi venire da me a imbiancare la sala da pranzo?”, “Pensavo domani, la mattina giornata tranquilla, il Sindaco non c’è, il pomeriggio ce l’ho libero e vengo da te”, “Bene, oggi allora passo in banca e prelevo in contanti i soldi da darti, sai non si sa mai!”, “Bravo, così domani pago l’IMU”.

Eh sì, il vero problema è l’evasione, degli altri però.

Manifesto dell'ideologia

Agosto sta arrivando, si stanno scavando le trincee per difendersi dall'attacco della speculazione internazionale che vuole uccidere l'Italia per distruggere l'Euro.
Scorrendo le pagine della cronaca economico-finanziarie di questi giorni pare di leggere bollettini di guerra dove al posto dei carri armati stanno remoti terminali di mitici e mistici operatori finanziari, al posto delle bombe sibila lo spread, anzichè i morti ammazzati troviamo i defunti da default, al posto dei generali i Cfo delle banche d'affari, la resistenza la fanno i commentatori economici che si nascondono non nella boscaglia ma nelle pagine virtuali degli econo-blog, la ricerca del vero libor ha sostituito le strategie di occupazione del territorio.
L'etica epica della finanza ha sostituito l'ideale.
E la politica? E l'uomo? E le idee? E la società? E l'individuo? E la forza delle tradizioni? Che fine hanno fatto? Sono forse morti in questa guerra non dichiarata tra valori umani e valori mobiliari.
Io credo di essere un pragmatico, attento alle cose terrene, attento ai fatti e con la consapevolezza che le persone prima di ogni altra cosa hanno fame, e sete, e il cibo e l'acqua costano, e la vita di tutti i giorni ha un prezzo, io credo nel libero mercato, assolutamente libero e assolutamente mercato, ma nonostante questo non mi capacito di questo assurdo capovolgimento delle parti.
Il mercato è fatto dagli uomini e non possiamo vivere pensando che sia il contrario e cioè che sia il mercato a fare l'uomo. Politica, quella vera, dove sei? Dov'è la supremazia delle poche regole valoriali che stanno alla base? Si badi, non le regole della finta-fanta-finanza nè tanto meno i regolamenti, che altro non sono che un modo per ingabbiare le libertà individuali, sono allergico alle gabbie, credo nella libertà, cio' che cerco sono le regole dettate dai valori di fondo, roba tipo ciò che voglio, perchè lo voglio, perchè ci credo, perchè ci sono cose giuste e cose sbagliate, c'è il bene e c'è il male. Insomma le regole dell'ideale, mi spingo oltre? Le regole dell'ideologia.
Si credo proprio che ci sia bisogno di un ritorno all'ideologia, quella che a volte fa male, quella che a volte fa dei danni, ma li fa in nome di un qualcosa che usa il mercato per il bene dell'uomo e non si fa prendere per il culo (concedetemi la licenza volgare) da convenzioni fatte da pochi per violare la libertà. In nome di cosa poi? Del profitto? Io voglio il profitto, voglio il profitto legato al merito, credo nella vittoria dei forti e dei giusti, anche dei giusti di parte. Ma qui il profitto ha lasciato posto al profittevole, all'approfittatore, al parassita.
E allora? Allora c'è bisogno di ideologia, l'ideologia di chi ci crede, di chi combatte per quello in cui crede, di chi combatte con la parola, con le idee e con l'anticonformismo, questo abbattimento/appiattimento generale dei valori in nome di un buonismo nichilista che sta creando generazioni di amebe.
L'ideologia delle idee deve ri-prendere il controllo e spazzare via i professori delle finte convenzioni.
L'ideologia delle idee al posto dell'ideologia dello spread.
L'ideologia delle idee al posto del piattume..
Voglio la vittoria dell'ideologia delle idee sulle costrizioni della finanza di carta, che parla di rigore e sacrifici senza parlare di uomini e di priorità.
Voglio che l'uomo riprenda il controllo e non che subisca passivamente "il regolamento".
Altrimenti rassegnamoci a morire di spread, di immobilismo, di paura e di coglionaggine, sotto i colpi della calda speculazione agostana.

DA GRANDE VOGLIO FARE IL PRESIDENTE DEI PROFESSORI DELLA REPUBBLICA

Non è difficile, l'importante é fare dichiarazioni, farlo in modo serioso, pacato, con gli occhiali, la grisaglia, "bisogna essere coerenti e determinati" dice il Presidente della Repubblica, si certo e secondo me il "primo passo per vincere una gare è partire e il secondo arrivare alla fine", "siamo sulla strada giusta" dice Monti, si potrebbe aggiungere "è bene che piova durante l'autunno, aiuta le riserve idriche"; "io non ci sto", "io invece ci sto". "Abbiamo lavorato e lavoriamo per stabilizzare" dice il Premier, si certo io aggiungerei anche che "il lavoro nobilita l'uomo" cavoli, e perchè non aggiungere anche un bel "tanto tuono' che piovve"???!!! "Senso di responsabilita', serve senso di responsabilità", è vero e poi ora che non ci sono più le mezze stagioni per-dinci-bacco l'industria dell'abbigliamento è in crisi e dalla crisi dobbiamo uscire, lo possiamo fare solo tutti assieme perchè o si esce uniti o non si esce, e la gatta in cinta fa i gattini ciechi, ma io non ci sto (seri, bisogna stare seri), il tempo é poco e un po' tiranno e viva la libertà, la libertà, basta voler strumentalizzare lo strumentabile, basta tirare per la giacchetta, la lotta all'evasione la dobbiamo insegnare a scuola, perchè l'evasione è male, Befera invece é bene e lo stipendio onesto, ma soprattutto ci vuole coerenza e determinazione. Qualcuno allora potrebbe obiettare: "Quindi??". "Quindi cosa?? Io non ci sto, capito non ci sto a questo gioco al massacro, siamo seri per favore".

Le equazioni strabiche della politica Riolese

La matematica applicata alla politica fa brutti scherzi, falsa le prospettive, confonde idee già confuse. Consigliere comunale per pi-greco per 3,14 diviso 2 per 100 più un assessore alla seconda e trovi la circonferenza degli astenuti. Astenuti dalla politica che legittimano il non consenso di una minoranza terza che si perpetua nel tempo e vuol continure a farlo. Insomma filosofia politico matematica per ritrovar sé stessi e le ragioni di una discesa in campo. Soprattutto discesa. L'Alternativa oggi è tra costruire e distruggere, i "tentennamenti interessati" hanno già distrutto tutto il distruggibile, le sirene dei professionisti della demolizione hanno ammaliato (poco) anche qualche valido personaggio che spero capisca l'errore e non disperda la propria capacità. Si riparta, l'Alternativa c'è, si riparta e i conti si facciano correttamente perchè le equazioni strabiche fanno gli elettori ciechi e i sinistri vittoriosi.                                                                

Ogni giorno ha la sua pena...

Oggi l'equoMonti è andato a portare sostegno e solidarietà ai dipendenti di Equitalia e dell'Agenzia delle Entrate, vittime di un vero e proprio linciaggio, anche verbale si pensi bene. Da bravo professore li ha esortati a proseguire sulla loro strada chè è quella giusta, ha ribadito che pagare le tasse è un dovere e c'è un dovere pure pedagogico nei confronti dei ns figli: dobbiamo insegnar loro la cultura del pagatore indefesso.  Domani Monti porterà invece solidarietà alle famiglie delle vittime dei suicidi per crisi; porterà solidarietà ai fornitori dello Stato che aspettano i loro soldi da 400 giorni e dirà loro che per uno Stato che si rispetti pagare i propri debiti alla scadenza è un obbligo morale e bisogna fare pedagogia fin da bambini perchè il concetto passi; poi porterà solidarietà ai fruitori dei servizi pubblici che subiscono le assenze dei troppi dipendenti statali in permesso permanente; poi porterà solidarietà ai pagatori di Imu, l'imposta giusta. Eh sì!! Perchè Monti è un solidale e  le  parole sono pietre e Monti le cose eque le dice, giustizia è giustizia, ha semplicemente iniziato dall'Agenzia delle Entrate perchè ha deciso di andare in ordine alfabetico.... suicidi viene dopo.

Giugno si avvicina, è tempo di IMU!

E l'IMU s'impenna! Dicono i nostri primi cittadini che per mantenere i servizi ai deboli è necessario alzare le già stratosferiche aliquote base, novelli demagoghi fanno il verso al Premier Monti che ha chiamato salvaItalia un pacchetto di provvedimenti che  tra i suoi primi effetti ha avuto quello di lasciare lo spread tra i 400 e i 450 bps, ha portato il debito pubblico vicino al suo massimo storico, ma almeno ha ridotto il PIL dello 0,8% nel primo trimestre 2012, tutta quella crescita stava iniziando ad essere davvero iniqua!!
Io che sono un semplice però non capisco, perchè tra le tante cose penso all'anziano pensionato al minimo (500/600 euro circa di pensione mensile), che è proprietario di una casetta, magari costruita negli nni settanta, magari in stato di conservazione non eccezionale, perchè durante la vita lavorativa il riccone si è spaccato la schiena per pagare il mutuo e una volta finito di pagare si è ritrovato in pensione, ma con quella cifra riuscire a manutenere l'immobile è facile quanto praticare l'esoterismo , ecco io penso a lui e penso al nostro Stato che lo tutela, lo coccola, gli offre i servizi, sì i servizi, quelli belli, quelli che funzionano, quelli resi da irreprensibili-efficienti-solerti dipendenti pubblici, quelli che vengono mantenuti grazie all'IMU, sì ecco l'IMU, ero partito da lì. Bene io penso a loro e faccio due conti: IMU prima casa con aliquota vicina al 6 per mille (cose vere! cose accadute!) che niente niente al pensionato pesa un bel 450/550 euro annui uso ridere, insomma una mesata di emolumenti, ci penso e mi dico: "Forte questo Stato,  toglie un mese di pensione l'anno per mantenere i servizi, forte, davvero forte caspiterina!!", ma lasciargli quei due soldi in tasca e magari dargli la possibilità di decidere lui che servizi utilizzare con quella cifra? Troppo facile? Dite che in questo modo l'Ente perderebbe potere e magari non riuscirebbe ad appaltare spesa pubblica come più gli aggrada? Che sia questa la ragione? No, non posso crederci, impossibile.
L'IMU è una tassa assrda, iniqua, toglie e uccide senza criterio e senza progressività, recessiva soprattutto in una Nazione come la nostra che ha fatto della casa il primo vero volano di sviluppo sociale ed economico. Proseguire su questa strada per mantenere un apparato insensato e vorace è delinquenziale, qua mi pare che nessuno lo dica davvero con forza, tutti preoccupati di difendere gli orti rossi della CGIL per cui si mobilitano perfino i morti e  nessuno che si batta davvero per il primo bene del nostro Paese.
Io sarò ripetitivo, forse noioso, certamente inutile, ma di farmi prendere in giro da questi sinistri professori e dai loro adepti locali, che espropriano a pezzi i frutti della mia fatica per mantenere il peggiore degli apparati burocratici, spendendo e spandendo buonismo al caviale (oltre che risorse pubbliche), bè... ecco... proprio non mi va. Posso dirlo che non mi va? Questo almeno posso farlo? Se c'è da pagare un'accisa sulla protesta lo faccio, tranquilli, non sia mai che mi accusino di evadere!!

    

IL SIGNOR TENTENNA!!

Se cambiare idea è sinonimo di intelligenza il Nostro è di certo un uomo acuto. La storia ha inizio qualche anno fa quando Tentenna si affaccia alla politica locale: "Sono la novità, il civico della politica che combatte il fascista ripetente". Poi passa il tempo e Tentenna diventa grande: "Mi ricandido, non sono più civico, sono il partito appoggiato dai partiti, anzi sono appoggiato ma non mi candido più, faccio un passo indietro, anzi ne faccio due avanti, sono l'unico, anzi siamo due, sì ma io sono di più, mi sondaggiano al 40%, anzi 30%, anzi 20%, anzi ho perso, basta mi ritiro, non mi capiscono, voglio politicare nell'ombra, coordinare, perchè viva i giovani, anzi no, viva me, non mi dimetto più, i giovani sono troppo giovani e le donne troppo donne, serve un oppositore vero mica un sinistro senza arte ne parte che mi batte ma per finta, sono il centro, anzi la destra, anzi la sinistra degli illusi o gli illusi della sinistra, tutti assieme per colpire divisi, sono l'esperienza, anzi la novità, apriamo il centro (storico) per chiuderlo agli elettori.... caspita sono un po' confuso, c'è qualcuno in grado di spiegarmi chi sono davvero???". E tentenna tentenna si è fatta notte....