Vedi papà...

Ciao papà!
Ma che ore sono?
Ah son quasi le otto di sera... ah ma di che giorno papà?
Ma non è possibile?!
Oggi? 
Giugno ventiventi? 
Venerdì? 
Non scrivo mai di venerdì papà e tantomeno di venerdì alle otto.
Ma no dai, è mercoledì, lo ricordo perfettamente, é verde, bianco, c'è il sole... eh no... il sole non c'è più.

E poi perchè non si sente quando mi rispondi?

Ah è vero... ora ricordo...

Vedi papà, lo dicevo io che sarebbe venuto un giorno che avrei avuto un sacco di cose da dirti.
Cose tipo che si diventa grandi lo stesso, che il sole tramonta, che la barba imbianca anche se dentro si resta un po' bambini, che dopo di noi ci sarà  un dopo anche senza un noi, che sorridere è bello... e mi li ricordo i tuoi sorrisi... li ricordo io e li ricordano tutti quelli che ti hanno gravitato attorno.
Dici che "gravitato" è brutto? 
Beh io dico di no.
E sappi che anche se si diventa grandi, a domande del tipo  "ora che faccio?", non è sempre bello rispondere da soli.
E lo sai che non ricordo il tono della tua voce (d'altro canto sei così silenzioso e da così tanto tempo...) ma ricordo il tuo profumo? 
Oh sì se lo ricordo, era buono, sapeva di papà.  
E sappi che ricordo la brillantina... anche se fidati, il gel è meglio, se avessi fatto in tempo a fartelo provare... ma tu niente... tutta quella fretta di andare!

Vedi papà che le cose a volte succedono davvero? L'ho imparato bene in tutto questo tempo.
Dici che è banale come concetto? Guarda no, detta così, digitando tasti alla rinfusa su di una tastiera nera può sembrare un'ovvietà, ma in verità le cose succedono e noi manco ce ne rendiamo conto. 
E come te ne accorgi allora?
Te ne accorgi dopo, dopo sì, dopo che sono successe, perchè dopo non c'è più niente come prima, oh sì... dopo non c'è proprio più niente come prima, dopo è dopo e punto e basta... dopo è mai più.

Dopo cambiano i sogni, sogni già consumati che finiscono con l’incenerire inseguiti dalla foga di un fuoco che brucia troppo in fretta, la fretta di andare e di arrivare prima, prima che ci sfugga anche "quella cosa lì”, come tutto il resto che ci è scappato dalle mani e dalla vita.

Dopo cambiano i modi, cambiano i sorrisi, cambiano gli abbracci, i baci, le carezze, gli sguardi e il modo di osservare, i pensieri e le voglie.

Dopo si diventa incapaci di trattenere la felicità.

Cambia anche il modo di amare.

Dopo si alzano muri, volano silenzi, svaniscono le certezze, si annidano fantasmi, nascono mancanze.

Dopo riesci a toccare la paura.

Prima sei sicuro di essere indistruttibile e alto, lo dici a tutti, poi la verità diventa un’altra... la verità è che resterai sempre e soltanto un bambino vestito da uomo con la faccia da buffone impegnato e gli occhiali da sole.

Hai visto papà quante cose sono successe dopo? 
Eh sì... tante tante, e una proprio bella, bella come te!!

Ma il tramonto? 
Te lo ricordi il tramonto papà? 
E te lo ricordi il tuo orologio?
Io sì, quando lo indosso a me pare che il tempo scorra un po' meno in fretta, a me pare che il sole cali un po' più lentamente, a me pare che lì attorno sia tutto un po' più bello, un po' meno triste... solo un po' però... non troppo... e soprattutto mai per troppo tempo.

Vedi papà, sono cose così, cose che succedono... proprio come dicevo io... ricordalo.





L’allergia di Luì

Innamorarsi a giugno credo possa essere bello, innamorarsi al mare credo possa essere bello, innamorarsi al tramonto credo possa essere bello, innamorarsi e basta credo possa essere bello.

Ma Luì quel giorno non aveva voglia dell’amore, magari un due patatine fritte, una pinta di birra, una piadina con le sarde e lo scquaqquerone, ecco forse le avrebbe gradite di più.

Perché dite voi? Non lo so dico io, bisognerebbe chiederlo a lui, le sarde gli piacciono di questo son certo, ma perché l’amore no questo lo ignoro.

L’amore alla soglia dei cinquanta è raro, raro come lo era lo Swatch Scuba Happy Fish  alla fine degli anni 80.
Lui non aveva cinquant’anni, navigava nell’intorno dei quaranta virgola un lustro abbondante, e c’è una certa differenza ci tengo che si sappia, ma aveva sviluppato comunque una particolare allergia all’arte di Cyrano, il  Bergerac, quello dell’apostrofo.
Lo aveva scoperto un giorno facendo il test, glielo aveva consigliato il dottor Mantegazzi: “Si faccia analizzare signor Luì, lei è autoimmune, un autoimmune di gregge, una pecora del sentimento, faccia un prelievo così ci togliamo il dubbio”.
E così fece.
E così fu.
“Peccato” pensó.
“Peccato ma neanche tanto” aggiunse poi tre giorni dopo, “son cose che capitano”.

L’amore autoimmune evolve, trasmuta, diventa consapevole abbandono alla libertà.

Cerco di spiegare: l’auto immune normalmente si è troppo emozionato nel corso della propria vita, ha dato troppa enfasi al cuore che batte, ai profumi che persistono fuori e dentro, alle notti insonni, ai sogni e ai progetti scaduti, alla speranza di sperare ancora, agli amplessi vibranti, ai baci che colano, ai sorrisi in sincro, si è rotto le balle di tutte queste indigeste farfalle nello stomaco, non che tutta sta roba non fosse fantastica-mitica-mistica e pure eccitante come la marmellata di more, ma ha capito che se sbagli il tempo tutto si sfila e restano i cocci.
Come quando la chiusura di un braccialetto di perle si rompe mentre stai correndo sulla spiaggia, non ritroverai mai più tutte le perline. 

Alcune resteranno sepolte per sempre.

E allora l’autoimmune si rifugia nella libertà, nel calore temporaneo di storie a tratti: ad un tratto una storia c’è, un tratto dopo una storia non c’è più.

È questione di abitudine, di libidine cinica, di raccontarla e raccontarsela, di prendere il bello se e quando c’è così come di sopportare il brutto conseguente.

Credo fosse per questo che Luì quel giorno non aveva voglia di amare.

“Agata ma che ci fai pure tu qui?”
“Potrei chiederti la stessa cosa”
“Beh io sto passeggiando”
“Beh pure io allora”
“Ma quanto tempo è passato?”
“Sborantamila anni”
“Già”
“E perché non sei felice?”
“Ma che domanda è? E che ne sai se sono felice?”
“Ti conosco”
“Tu? Tu conosci me?”
“Sì, lo sai, ti conosco come nessun’altra”
“Lo so”
... 
“Bevi qualcosa?”
“Dove?”
“Che ti frega, dimmi se bevi e dove vediamo”
“Ok, bevo”
“Allora andiamo lì”

Lì c’erano un bar sulla spiaggia, i Ricchi e Poveri che cantavano, un barista grasso, due ragazzetti che limonavano (lui gli toccava il culo sopra a jeans troppo stretti), il sole che scendeva dalla parte opposta, una draga al largo.

“Luì”
“Sì?”
“Mi hai mai pensato in tutto questo tanto che ci è successo”
“Praticamente sempre”
“Ah”
“Non dovevo?”
“Bah, non avresti dovuto, ma tanto lo so che fai sempre le cose sbagliate”
“Hai visto la draga?”
“Si”
“Lavora per me”
🤔 per te?”
“Si, sta cercando una perla sepolta da qualche parte là sotto, la persì un giorno di quella volta che tu eri andata”
“E la cerchi oggi?”
“Sì”
“E perché?”
“Mi ha detto Mantegazzi che è l’unico modo per curare la mia allergia”