LA MALINCONIA

“Malinconia: stato d'animo di vaga tristezza, spesso alimentato dall'indugio rassegnato o addirittura compiaciuto, nell'ambito di sentimenti d'inquietudine o delusione. Tipico dei romantici”

E lo dice Google mica io.

“...o addirittura compiaciuto..”, è lì che sta il punto, in quell’addirittura compiaciuto che fa tanto Lupin che osserva Fujiko mentre si allontana furtiva (e un po’ zoccola) dopo averlo abbandonato, dopo il colpo, dopo essersi impossessata del bottino, e dopo che non ha nemmeno limonato con lui.

La malinconia è il sentimento dei fuori tempo, quelli che arrivano “troppo prima” o “troppo dopo”, amaramente crogiolati nel proprio sfasamento temporale.
Un po’ come i fidanzati cornuti e contenti, ché c’è qualcun altro che è arrivato dopo e tu ci dovevi pensare prima, ma resterà sempre il retrogusto del primo bacio quella sera di una domenica d’ottobre sopra un’isola deserta, che diventa d’improvviso il metro per misurare tutto il resto. 

La malinconia è la nebbia... perché t’impedisce di definire i contorni.
La malinconia è il mare d’inverno... perché lo sciabordio delle onde, misto a salsedine, pettinato dal vento, fa molto charme e silenzio.
La malinconia è contemporaneamente l’ultimo giorno di scuola ed il primo giorno di lavoro... perché ripensandoci avresti voluto fermarti proprio lì, a metà, un po’ uno e un po’ l’altro, entrambi comunque proiettati al futuro, che si sa, è bello finché non arriva!

“Tipico dei romantici”? 
Allora la malinconia è anche Venere-Giove-Marte e  la Luna, da ponente fin quasi a levante alle 19.45 di un giorno d’agosto.

Ma allora è anche quella volta che... che... che non me lo ricordo, ma dev’essere stato importante se ancora oggi cerco di riviverlo.

La malinconia son le figurine Panini conservate dentro alle scatole delle sorpresine del Mulino Bianco, dopo aver mangiato il Tegolino e bevuto una Cedrata Tassoni guardando Super Quark.

Figlia del tempo (e un po’ anche figlia di mignotta), pericolosa come un’amante single, triste come la domenica pomeriggio a metà novembre, appiccicosa come una Big Babol, fastidiosa come un vicino al primo piano che cammina sui talloni, affascinante come la Borgogna Rossa del 1972, mitologica come un bancario del 1999, la malinconia affloscia gli audaci e ristora i disillusi.


Bene, ora vado a dormire, letto a due piazze, meno di antico e più di vintage, li così, a metà del tutto che è stato e che sarà.




Il tempo

Che strano che è... il tempo passa, le cose succedono e tutto scivola via, sempre di più. Sì passa dal gusto del particolare al non “me ne frega un ca... di quasi niente”, quasi....

Disattenzione selettiva, gli anni rendono sordi, ciechi e pure un po’ paraculi.
Ti ricordi quella volta che il pantalone bianco alle 20.25 di una domenica tiepida del maggio del 1889 cadeva perfetto sospinto dal vento, e ti dimentichi che cosa dovrai fare domani mattina.

Son cose così, il tempo passa e la prendi sempre più con fatalismo, che poi ti chiedi chi è questo fatalismo qua? Un antenato della filosofia?

Il tempo passa, le emozioni restano, incastonate tra il sempre e il mai, alla faccia di un Bauman qualsiasi che  ne denuncia la caducità, che non caduca un bel niente se son emozioni.

Ah sapessi il latino, scriverei ora una cosa forbita che riassumesse tutto sto concetto in due righe discinte.

Il tempo passa, ma un po’ ne resta, e noi impariamo a far finta di no.

Ecco un pensiero confuso ma mica tanto, che racconta dell’uomo e non della donna, che son due cose diverse si sa!