Potevi dirmelo prima

Così vestiti da trekking, alle 7.45 di una domenica mattina nebbiosa a metà, mano nella mano entrando alla Mokador per la colazione, facevano bello. 

In sottofondo Coca Zero dei Pinguini Tattici Nucleari, che non ho capito bene da dove uscisse ché la musica quella mattina al bar non c’era, forse erano i postumi della festa della sera prima a cui non era andato a dargli quella sensazione.

“Dai vieni ti prego..”
“Davvero no, non mi va, ho le gengive infiammate…”
“Dai non fare lo stronzo, che devi fare?”
“Andare al cinema”
“Stasera? Da solo? Ma dai, ma a chi lo racconti? Dimmi che non vuoi uscire con me piuttosto, anche se davvero non capisco come sia possibile!”
“Non voglio uscire con te”
“Dici sul serio?”
“Si”
“Coglione”
“Grazie”
“Fottiti”
“Delicata”

Ecco così dovrebbero essere i dialoghi per evitare fraintendimenti, invece lui non fu così netto, non voleva dispiacerle, voleva che lei lo capisse da  sola che non ce n’era e voleva si rendesse conto che il problema era lui non lei, così magari alla festa avrebbe incontrato il vero uomo della sua vita, due anni più giovane, che l’avrebbe pure sposata e con cui avrebbe fatto un figlio, magari anche tre.
Perché in fondo lui è così, un buono che finge di avere il cuore duro, e dirle “no, non voglio uscire con te” gli faceva brutto, e anche in quell’occasione si inventò mille scuse, la cui credibilità rasentava il niente, ma lei volle credergli ugualmente e disse: “sarà per la prossima”.
La prossima.
L’idea di dover gestire un’altra richiesta di appuntamento che sarebbe arrivata di lì a qualche giorno non lo esaltava, ma in fondo ci si era cacciato da solo in quella situazione e comunque sia chiaro, le gengive infiammate le aveva davvero e pure al cinema voleva andare, perché lui è un sincero, questo è certo.

La coppia di podisti innamorati da collina ha scelto un tavolo d’angolo, angolo verandato, così che sia la luce naturale ad illuminarli.
Pure mentre bevono il cappuccino si tengono la mano anche se questo complica la logistica della colazione, lei soia e lui latte vaccino, lei una girella integrale noci e cannella, lui una sfogliata alle pere volpine intinte nel passito di Pantelleria riva gauche anno 2021.
Pensate che pur avendo a disposizione persino “il Resto del Carlino”, lui lo ignora e si ostina a guardarla negli occhi mentre beve il cappuccio… oh innamorato vero si direbbe osservandoli da qui!
Sono proprio belli, e fanno pure un po’ invidia, ma un’invidia buona, non una roba “spero che vi crolli la veranda sulla testa così quella mano ve la lasciate maledetti”, ma solo un “ohi dovrebbe essere proprio così, almeno qualche volta, però mi state sulle balle”.

Che poi magari alla festa si sarebbe divertito, nessuno lo conosceva, nessuno a giudicarlo, il tema era ‘70 ‘80 Italian e international style, lei sarebbe stata felice almeno un po’, lui magari a fine serata si sarebbe fermato un paio d’ore da lei (a dormire manco se glielo avesse ordinato il Presidente del Consiglio in persona) e tutto si sarebbe risolto in quella banale normalità che tanto rasserena la vita di tutti, con reciproco scambio di fluidi e finte frasi dolci di circostanza, tipo “mi hai fatto stare bene”, detta giusto due toni di voce sotto la media per fare romantico  ma più o meno con la stessa enfasi che si utilizza per il Gaviscon quando ti allevia il dolore gastrico:  “mi hai fatto stare bene caro il mio sodio alginato”.

Oggi c’è il sole, i nostri amici del trekking di coppia hanno avuto una bella idea, io spero siano andati alle cascate dell’Acqua Cheta, non so perché lo spero ma mi sembra una bella cosa da fare il 28 aprile, sono certo lo avrebbe fatto pure il nostro protagonista se non avesse avuto le gengive infiammate, e spero pure che abbiano limonato duro vista cascata, e spero anche che lui le abbia lasciato finalmente la mano e abbia approfittato per piazzargliela sul culo mentre la baciava, perché si fa così quando si bacia davvero, chiaramente dopo aver mangiato un panino integrale con prosciutto toscano crudo e bevuto vino in calici di plastica (modello gita fuori porta per alcolizzati in erba) in un pranzo al sacco si, ma consumato con stile.

“E questa sera ci sei?”
“No, questa sera non ci sono, e non ci sarò nemmeno la prossima volta, mi spiace…”
“Potevi dirmelo prima”
“E’ vero potevo dirtelo prima”

Ed è così che trascorse un nuovo giorno…








Venanzio e la Gilda. Anzi: "Venanzio. La Gilda.", che sono due cose separate da sempre e per sempre e che un giorno per caso si sono incontrate senza mai incontrarsi davvero.

Com'è che si chiama quando non sopporti più tutti quelli che parlano… parlano… parlano…? 
E si lamentano… lamentano… lamentano…?
E lagnano… lagnano… lagnano…?
Ripetendo all'infinito gli stessi concetti inutili, triti e striduli, che poi concetti è un’iperbole, con quelle voci fastidiose, che aumentano di tonalità mano a mano che il soliloquio prosegue, che non mettono né punti, né virgole e né punti e virgola. 
Che all'inizio provi ad inserirti in quella specie di dialogo ma non ci riesci, primo perché a questi non frega nulla di ciò che avresti da dire e quindi non ti lasciano spazio per entrare, e secondo perché a te non frega nulla di quello che loro stanno dicendo e c'hai provato solo per educazione a dare un tuo contributo.
In verità c’hai provato per poco e poi basta, perché ad un certo punto hai piantato lì quello sguardo perso da ebete collerico a cui sta montando un'istinto omicida che manco John Wick che guarda la sua matita, ti sei perfino alzato per stemperare (che con matita ci sta), sei andato in bagno a fare la pipì e a lavarti il viso (prima le mani s'intende), ripresentandoti dopo un quarto d'ora, e loro ancora lì che manco si sono accorti della tua assenza, stessa identica e ridondante lagna.
Come si chiama? Misofonia? No perché misofonia è poco, perché in queste situazioni non è solo il suono a dar fastidio, è proprio quello che dicono ad essere insopportabile, secondo me si chiama miso-rompi-palle-gia.
Peggio di questo c'è solo che si mettano a toccarti mentre parlano, in quel caso sarebbe davvero due gradini sotto la morte violenta, non voglio nemmeno pensarci.

Ecco, questo fastidio stava diventando sempre più insopportabile per Venanzio (che in realtà si chiama Giorgio ma gli amici lo chiamano Venanzio, perché non lo so, ma è così da sempre), tanto insopportabile da costringersi ad una vita sempre più raminga e solitaria.
Non è chiaro se sia stata la solitudine a cui si era via via abituato a portarlo a quel punto di intolleranza o se sia stato il fato a fargli incontrare solo scassamenti di minchia tanti e tali da fuggire dalle interazioni sociali, non è chiaro ma quella era la situazione. L'incontrovertibile situazione direi.

E dire che Venanzio era un grande, uno dalle grandi potenzialità, glielo dicevano tutti: "Tui hai un futuro Venanzio, nonostante sto nome orrendo". 
Tutti si rivolgevano a lui ogni volta che c'era un problema, "Venanzio mi aiuti? Venanzio che dici? Venanzio mi ascolti? Venanzio ti prego!", Venanzio di qua, Venanzio di là, “Venanzio salvami, Venanzio tu mi capisci, tu mi calmi, tu mi piaci, cosa farei senza di te”. 
Venanzio era nato e cresciuto con le stimmate del salvatore della patria, degli uomini, e pure delle donne.
Soprattutto delle donne, un sacco di donne volevano farsi salvare da lui, aiutare, risolvere, confortare, pure trombare (perché non gli veniva male, almeno così dicono), ma poi una volta risolte, confortate, aiutate, salvate e trombate quanto necessario, sparivano e fuggivano con il meccanico di Via di Sotto n. 3, uno buono solo a fare il bello e maledetto con le mani sporche di grasso, però divertente e un gran ballerino.
Sparivano e fuggivano per poi riapparire di fronte ad un nuovo disagio, che il meccanico mica sapeva come risolverlo il disagio. 
E lui sempre lì, pronto ad ascoltare, proprio non riusciva a fregarsene, mai fino in fondo, perché sta cosa di salvare il mondo un pochino lo esaltava.
Venanzio probabilmente era un narcisista, che anche se non so esattamente cosa mi rappresenta un narcisista mi pare che ultimamente questa definizione vada molto di moda, perciò Venanzio - che alle mode ci tiene con quel suo stile "vagamente" eccentrico - era sicuramente un narcisista e sta vita di gomma sempre in prima fila (gomma in parte bruciata) se l'era un po' cercata.

Un giorno Venanzio incontrò Gilda, bella, oh ma bella di un bello che davvero così bella una ragazza bella non si era mai vista, non una modella eh, non la perfezione, no no, un bello particolare, una roba che se tu la guardavi negli occhi non riuscivi a capirne il colore perché erano talmente intensi e profondi e penetranti e furbi e stronzi che tu guardavi ma non vedevi. 
E il profilo? Greco, o forse Irlandese? Sì sì Irlandese, con quel naso alla francese che in Irlanda va per la maggiore, che poi faceva pendant con le labbra, non gommose, sì leggermente inacidulate, ma giusto due gocce di botulino che danno quel tocco di glamour che dopo i quaranta e prima dei cinquanta fa un fascino che Ornella Muti spostati.
Ed il modo di camminare? Vogliamo parlare del suo modo di camminare (pure un po' sul culo sarebbe opportuno soffermarsi, anche più di un po', ma poi questa storia potrebbero leggerla anche i bambini e allora è meglio non esagerare), camminava che tu solo a guardarla arrivare non potevi non innamorarti in zerodue, non la falcata alla Schiffer anni '80, ma una camminata alla Gilda anno duemilaventuno-duemilaventidue, leggermente ondeggiante, veloce, indaffarata, la gamba lunga e imperfetta come lo strabismo di Venere.
Io Venere in realtà non la conosco, ma so che era leggermente strabica e sicuramente - essendo lei la dea più bella dell'Olimpo e della terra -  se avessi avuto occasione di incontrarla da vicino sono certo avrei avuto modo di constatare che le gambe e l'andatura fossero quelle della Gilda, ca va san dire.

Ma ciò che della Gilda faceva davvero impazzire, ciò che la rendeva bella ma proprio bella tra le belle, come l'ho descritta poco fa, era il profumo di libertà che emanava da ogni dove. Anche dai capelli. 
Opportunista come i gatti, intelligente, sveglia, fragile, piena di contraddizioni e debolezze, spesso bugiarda a fin di bene e pure a fine di paraculaggine, ma libera di un libero che avrei voluto io averne anche solo l'infinitesima parte, quella più piccola, una stilla della libertà della Gilda per conquistare il mondo.
Gilda era libera dentro, quello le leggevi negli occhi, occhi colore di libertà, ecco qual era il colore che prima non ricordavo. 
Libera dentro pur essendo imbrigliata fuori, imbrigliata da mille doveri, doveri di donna, di madre, di vita, di lavoro, di perché, di musica, di corsa, di fatica, di gioia. Libera ed innamorata di ciò che apparentemente non aveva ma che in realtà possedeva come nessun'altra mai avrebbe potuto.
Libera e indipendente.
Libera e spavalda, alle volte perfino strafottente, di un'arroganza formalmente gentile ma tagliente, libera e risolutrice, libera e capace di dare (a chi voleva) un'intensità che Ampére secondo me pensava a lei quando studiava l'elettrodinamica. 

Venanzio incontrò Gilda un giorno per caso, sì insomma un caso non troppo fortuito e forse spintaneo, ma la incontrò, adesso non stiamo qui a raccontare i dettagli che poi non c'è spazio e questa storiella devo farla finire prima delle sette ché l'ho iniziata che non avevo niente da fare ma poi devo andare a cena con Tommaso, la incontrò per strada, una strada sociale, un po' on-line e un po' faccia, e si diedero appuntamento lì su un'altra strada, anzi in un parcheggio, anzi in un posto trafficato vicino ad un parcheggio che stava vicino ad una strada che vendeva insalata fresca (il posto non la strada), insalata fresca e pollo a pezzetti per arricchire l'insalata e acqua naturale per saziare la sete, si incontrarono in fretta che il tempo era poco, come sempre sarebbe stato poco tra lei e Venanzio, spesso niente in realtà, e lui rapito (sarebbe meglio dire rincoglionito) da tutto quel bello che i dettagli li ho già raccontati, la baciò. 
Così, con la lingua, a tradimento, un tipico bacio di Venanzio che bacia Gilda per la prima volta, variante goffa del bacio alla francese (sti francesi che ritornano in questo racconto sarebbe da indagare il perchè), un bacio con la lingua ma poca, quasi a dire "sì ti bacio ma non è una cosa seria", giusto la punta.
Gilda lo guardò, "ohi, mi hai baciata" (disse proprio ohi, diceva sempre ohi la Gilda), "eh già" disse lui, con lo sguardo contrito ma non troppo.
Non avrebbe dovuto farlo, perché il bello così bello che vaccaboia com'è bello non si bacia, perché poi non te lo dimentichi più, ma proprio più, e dopo diventi misofobico o miso-rompi-palle-gico come ho meglio precisato, e anche orso (questo lo aggiungo ché a sto punto della frase ci sta bene) perché baciare la Gilda è baciare la libertà, e come cazzo fai a dimenticarti di quanto è bello baciare la libertà?? Non lo fai, semplicemente non lo dimentichi.

La libertà affascina, innamora, travolge, sconvolge, toglie il sonno, cambia le persone che non l'hanno mai davvero avuta, la libertà quella vera, quella intellettuale, quella sentimentale, quella emozionale, quella motivazionale, quella innata, sognata, difesa, custodita, racchiusa in quello sguardo incredibilmente stronzo quanto dolce, rapisce chi ha la fortuna più sfortunata che si possa immaginare e che si può riassumere in dieci parole, una virgola ed un punto: "un giorno l'ha incontrata, anche se solo per finta."

Dopo quel bacio si videro ancora il Venanzio e la Gilda, ancora per un po', ogni tanto, per qualche tempo, quando si poteva e quando non c'era niente di meglio di fare, senza impegno, spesso di nascosto dagli altri e qualche volta anche da se stessi, mai insieme e sempre per caso, in attesa di qualcosa di nuovo, senza mai correre il rischio di viversi davvero, in attesa della vita quella vera, in attesa del ritorno, della ripartenza, dell'ancora, del mai. 
Si videro sì, ancora per un po', con lei ad esaltare le impossibili diversità e lui quasi a convincersi che fosse così. 
Entrambi a raccontarsi le loro storie, lei omettendo e lui strabordando, lei divagando e lui straparlando allo scopo di raccontarle davvero chi era senza mai riuscirci fino in fondo, lei vivendo anche a lato e lui cercando di risolvere non si capisce bene cosa (tra l'altro senza riuscirci), lei mentendo, lui fingendo di non sapere.
Venanzio era lì, e Gilda era là, lei così incontenibile e lui così salvatore, lei così annoiata e lui così abitudinario (diceva lei), lei così bella e lui così assurdo. 
Due opposti che non si attraggono se non per qualche imperscrutabile e occasionale ragione, che poi non è ragione ma solamente "boh?".

Ecco è così che è andata l'inutile storia del Venanzio e della Gilda, l'ho inventata oggi pomeriggio al bar del porto" di fianco ad un battello che si chiama "Amarcord (Gilda), ogni riferimento a fatti realmente accaduti o a persone davvero esistite è uno scherzo del destino, e mi scuso per questo con tutti i Venanzio e anche con tutte le Gilde, con i Giorgio un po' meno che in fondo sono solo stati sfiorati dai fatti, se qualcuno si riconosce in queste pagine si sbaglia, perché questa storia non è mai esistita, lo giuro io che lo so, non è mai esistita davvero, è solo frutto della mia (malata) fantasia....
Ci tenevo a precisarlo.

P.S.: ci tengo a ringraziare anche il parcheggio che ha fatto da location al primo bacio tra Venanzio e Gilda, l’ho rivisto settimana scorsa, è ancora lì nonostante il PNNR.