Il maritozzo, Erika, il piercing

“Un maritozzo con lo zucchero a grani fini” chiese il bambino alla ragazza del forno, gli occhi furbi e curiosi, nella mano destra stretti stretti un euro e venti centesimi… “grazie”, un sorriso, poi tutto in cartella e di corsa lungo il viale verso la scuola. 

Un pezzetto del maritozzo, quello con più zucchero, lo avrebbe dato a Greta durante la ricreazione, impacciato, forse anche appiccicaticcio, fiero della sua generosità fanciullesca, orgoglioso del rossore sulle guance di Greta. 

Gli scappava la pipì ma resistette: “il bagno può attendere di fronte all’amore”.


Erika, così si chiamava la fanciulla col piercing al naso che se ne stava al telefono poco lontano. 

Alta, mora, asciutta, elegante la faccia da brava ragazza che contrastava col tono di voce aggressivo: “no, io a casa non ci torno manco morta, può pure schiattare per quanto mi riguarda”.

Una lacrima inumidiva però il “può pure schiattare”, chiunque fosse il morituro Erika gli voleva bene, la mano sinistra non avrebbe tremato a quel modo mentre gesticolava.


Le All Star nere camminavano veloci ai piedi di quel cappotto altrettanto nero che si lasciava indossare da una giovane tutta concentrazione e i-pods bianchi. 

Che musica ascolta? Dove va a quest’ora? Perché via Azzo Gardino e non altro? Come si chiama? Quanti anni ha? Suo padre? La scuola? È felice? Molto? Soffre di insonnia? Le piace andare al cinema?

Quante storie viaggiano su di un paio di All Star?


Il campanello non funziona, il telefono non funziona, l’appuntamento in clinica è alle 11.00 come si entra? È tardi, ansia ma non troppo, il problema è loro se vogliono vedermi dovranno aprire, ah no, il problema è mio… sono io il visitando.

Si apre il cancelletto, esce un signore con la bici, è gentile, “prego” - “buongiorno” - “grazie” - “si figuri” - “le pare”… terminati i convenevoli entro, è ancora tardi ma “cause di forza maggiore”, un cedimento nel terreno ha interrotto il contatto, il campanello non funziona, il medico dice “prego” - “grazie” - “le pare” - “si figuri” - “si accomodi”, mi accomodo, ancora convenevoli, ancora indagini, ancora tempo.


“Nex time try the train - Relax - 1975” sta scritto sulla stampa appesa alla parete bianco avorio di fianco il ricevimento, ventiquattro centimetri sopra la ragazza con i ricci castani, gli occhiali fashion, i jeans stretti, le labbra delicate, le mani curate.

Nel 1975 io avevo due anni, lei forse non era stata ancora nemmeno immaginata, the train relax. 

Il treno in effetti mi ha sempre conciliato il sonno, peccato per i “seggiolini” molto scomodi del tempo.


Chissà se Erika rientrerà a casa, io le consiglierei di farlo, magari poi parlano e si sistema, è giovane e speranzosa, piercing a parte pare pure tradizionale, la incontrassi all’uscita le direi: “vai e bacialo, poi magari litigate domani, manco morta domani, a casa no domani, può pure schiattare domani”, e se avessi con me un maritozzo gliene darei un pezzetto, quello con più zucchero, e controllerei il colore delle guance, virassero al rosso sarei certo… Erika sarebbe ritornata a casa.




Storie inventate per il caso sbagliato

Che freddo che faceva quella sera, era ottobre e sembrava inverno, era il mare e sembrava domenica, era finto sembrava bello. 
L'uomo era confuso, la donna decisa, uscirono così quasi per caso, come quasi per caso si conobbero,,, amici di amiche di amici,,, che lui aveva detto a lei che dicesse a loro che forse sì, no anzi no no non lo diciamo a nessuno che non si sa mai che poi pensano ahh... e invece ehh... sì insomma uscirono... così senza virgole né punti né punti e virgola... solo la storia di un rubinetto rotto a fare da sfondo al loro incontro.... sì insomma un groviglio di vite all'improvviso che si sono incrociate per sbaglio.

La tagliata al sangue era dura, le patate al forno assenti, ma la colpa non era di lui, e nemmeno di lei, la cameriera russa ante sanzioni l'Italiano non lo capiva.
L'uomo manco se ne accorse a dire il vero, oltre ad essere confuso era distratto, non pensava al cibo, pensava a lei; non pensava al vino, pensava a lei; non pensava al rubinetto rotto, pensava a lei; non pensava al freddo, pensava a lei.
Che poi direte voi che state leggendo questa storia senza capo né coda: "io qui non ci sto a capire un cazzo", e avete ragione, non capisco nemmeno io che sono il narratore, ma non preoccupatevi e provate a seguirmi ugualmente! 

La sera filò liscia… adagiata su un fiume di parole e sorrisi, di sguardi e pensieri, di curiosità e illusioni, di confessioni e segreti, di "ma che ci faccio qui" che scivolarono via in mezzo a qualche "però è bella però". 
Si raccontarono di tutto, si raccontarono un sacco, forse si raccontarono pure troppo, lui di più, lei di meno, ma in fondo è sempre così, c'è sempre un di più e sempre un di meno in tutte le cose, non è grave è un fatto.

Lei sfoggiava belle gambe ed occhi intensi e non riusciva a nascondere quell'inquieta e fascinosa serenità. che l'avrebbe accompagnata anche nelle settimane a venire.
Lui indossava jeans stretti ed un espressione allegra che credeva di aver smarrito nel 1947, non riusciva a nascondere quella pancia pronunciata che lo avrebbe accompagnato anche negli anni a venire.
Erano una coppia parecchio mal assortita (questo però allora ancora non si sapeva), qualcuno sbagliando disse bella., la cameriera disse "vrei desert", non era russa, era rumena.

Poi due passi a seguire, il profumo del mare, il ticchettio di tacchi veloci, quel velo di leggero imbarazzo sciolto solo dal sangiovese che sì è buono però infiamma, la voglia di avere voglia, le mani che vorrebbero sfiorarsi "ma no aspetta ancora un attimo va che non siamo mica sicure sia cerebralmente igienico", le labbra che vorrebbero smettere di parlare per cercare furtivamente anche solo un istante di umidiccia felicità, ecco credo (e lo dico da narratore) che quei dieci minuti lì che seguono la prima cena della prima sera del primo giorno dell'inizio della fine, siano quanto di più bello possa capitare ad uno uomo e ad una donna.
Se la tagliata non fa proprio ribrezzo quei dieci minuti lì, possono far cadere almeno l'85% delle barriere e dei preconcetti atavici insiti nell'animo di un essere normodotato di sesso M o sesso F (buttare così delle frasi finto erudite a cazzo fa un certo effetto sul lettore medio - nda), e così accadde anche per loro e sarebbe stato pure fantastico, credo sempre io, se non fosse mancato quel 15% che serviva per fare l'intero.

Ecco sì l'intero, evidentemente non basta un bicchiere di vino a martedì alterni per fare l'intero, serve altro, servirebbero almeno un giovedì ogni due, un venerdì ogni tre, un sabato, un pomeriggio, una mattina, la domenica, la notte, un cuscino, un week end fuori porta-fuori mano-fuori di testa, gennaio-febbraio-estate-primavera-ferie.... la passione, ah sì la passione quella win-win, quella vera, quella che parte dall'ipotalamo, raggiunge il ventricolo destro e straborda nella pancia dell'altro, quella che spesso "conduce a soddisfare le proprie voglie, senza curarsi se il concupito ha il cuore libero o pure ha moglie".
Si la voglia, la voglia di aversi voglia, come in quel parcheggio in macchina alla fine di ogni volta ma moltiplicato per 365 ore e 24 giorni. e sborantamila minuti. 
Ecco è anche così che si fa l'intero., è anche quello che è mancato davvero.

Quei due lì io li incontrai sulla collina, fu allora che mi raccontarono la loro dis-avventura, tirava vento e faceva di nuovo freddo ed un fuocherello a legna tutto fumo e niente calore stava contrastando il nulla, tutto quasi chiuso perché tutto troppo tardi (era un segno sì), una golf cart verde pisello scuro solcava viuzze medioevali, era romantico.
Lui sorrideva e lei pensava... ad altro? A questo o a quello? Non si sa e non importa nemmeno saperlo ora… 
Sorseggiavano gin tonic e sangiovese (sempre il solito sangiovese, cheppalle in effetti🤣) mi dissero che sarebbero andati via di lì a poco perché avevano urgenza che il dopo fosse fantastico il prima possibile.
Sarebbe stato uno degli ultimi dopo.
Fantastico lo fu … … ma non abbastanza.