Tanti cari saluti a voi e famiglia

Ed è così che una sera all’improvviso ti accorgi di non avere più niente da dire.

Ed è così che saluto questo blog e le sue storie che han segnato il loro tempo.

Tempo che come sempre continuerà a scorrere incurante, inesorabile, annoiato, deludente, acquietante, immodificabile, travolgendo convinzioni e togliendo forza, idee e volontà; con la serenità stravagante della senilità intellettuale.

Statemi bene.


La prima volta

Ricordo la prima volta che la incontrai, sapeva di buono... sì di buono... di buono e di diffidente.

Parlava poco e ascoltava molto, o forse ero io a parlare troppo, credo di averla sommersa di parole, come faccio sempre d’altronde, o meglio, come faccio sempre quando ho qualcosa da dire.

Il vino era rosso e faceva pendant con l’avorio del tovagliolo e inarcando liberava tannini esausti, il sole si stava lentamente nascondendo, il tempo passava veloce, il cuore batteva forte, non ricordo che cosa abbiamo ordinato ma sicuramente era al sangue.

Il primo appuntamento è fatto di curiosità, incredulità e confronto.
Confronto con quello che immaginavi, con quello che non immaginavi, con quello che cercavi e quello che non cercavi più.

Il secondo appuntamento è fatto di aspettativa, di passione e di saliva.

L’ultimo appuntamento è fatto di freddo, buio, distanza, silenzio, rancore e di un lentissimo  bisogno di fare presto.

In mezzo a queste parentesi c’è la vita.
In mezzo succede.
In mezzo autoreggenti e perizoma, complicità e insieme.
In mezzo lampi di gioia e schizzi di tutto su lenzuola sgualcite.
In mezzo c’è anche il futuro, il mio il tuo il suo, quello che lì accade ti seguirà per sempre.
A volte ti inseguirà.

Ricordo la prima volta che l’ho baciata, sapeva di buono, sì di buono... di buono e di diffidente, ed era solo un bacio che si lasciò rubare, senza troppa resistenza a dire il vero.

Ricordo che iniziò così, tra sguardi intensi e congetture, caos e mani sfiorate, alcuni pensieri trattenuti ed altri gettati tra le fiamme del nostro discorrere, fantasmi, entusiasmo, brividi, fatica, passione e passioni, io e lei.

Ed infine ricordo di ricordare, lo faccio ogni giorno, sì ogni giorno da quel sempre che fu quella prima ed unica vera volta.

Umane relazioni



Lui cerca Lei, la trova, la perde, la ricerca, la ritrova, non è più la stessa.
Lei cerca Lui, lo trova, lo perde, lo ricerca, lo ritrova, non è più lo stesso.

“Ma perché sei cambiato?”
“Ma perché sei cambiata?”

In realtà nessuno è cambiato, son solo ritornati se stessi, quelli di sempre, quelli di prima.

“Prima di chè?”
“No prima di chè, prima di chi!!”
“Prima di chi??!!”
“Si prima di te!!!”

È qui il punto, è nel “prima di te”.

Il prima di te è rassicurante, equilibrato se volete, banale a tratti, emozionante alle volte e incompleto quel tanto che basta.
Il prima di te si porta dietro quell’eterno senso di incompiuto che ci spinge a cercare, a cercare l’altra, a cercare la felicità, a cercare il dopo.

È un po’ come la Vigilia, il Natale e il Santo Stefano, una continua successione di vorrei tornare un giorno indietro per arrivare di nuovo. 
Pensate che casino per Babbo Natale.

Son così pure i diciotto, i trenta, i quaranta e i quarantacinque, vorresti raggiungerli  il prima possibile, viverli di corsa, fermarsi per sempre, tornare al via.

L’uomo e la donna sono dei perenni insoddisfatti, dei traballanti, un po’ come i mobili dell’Ikea, sembra tutto a posto ma alla fine avanza un pezzo, e vorresti restituirlo... ma  non sai bene a chi.

Poi c’è Eros che confonde, il rosso delle labbra, il calore della pelle, il nero dei capelli,   il persistere di un profumo, il silenzio di uno sguardo, l’arroganza del piacere, l’umido suadente di un bacio rubato, tutte droghe naturali che prima alimentano la passione, poi sublimano il ricordo, e infine si nascondono nelle pieghe inverosimili di un post coito vissuto comunque e sempre in solitudine.

L’uomo e la donna sono come le nocciole e l’olio di palma, insieme fanno male ma senza non sarebbe Nutella.

L’uomo e la donna sono serio e buffo e non necessariamente in quest’ordine.
Sono i bigliettini scambiati tra i banchi di scuola, poi nascosti dentro l’auto, poi dematerializzati in sborantamila sms, poi sepolti nello scomparto segreto di uno scrittoio Inglese da viaggio.

L’uomo e la donna si cercano con la stessa facilità con cui si perdono, cazzo... ma un navigatore no?

“Ti amo”
“Anch’io”
“Solo?”
“Solo cosa?”
“Solo anch’io?”
“E cosa vorresti di più?”
“Vorrei ti amo senza anch’io!”
“È va beh, ma cosa cambia?”
“Cambia tutto!”
“Ma va..”
“Arido”
“Fissata”
“Stronzo”
“Permalosa”
“Patetico”
“Anche tu!”
“Anche tu cosa?”
“Anche tu io ti amo”
“Sei sicuro?”
“No”
“Mi sposo con un’altro”
“Va bene, pure io!”
“E con chi?”
“Con un’altra”
“E mi inviti al matrimonio?”
“No”
“Perché?”
“Perché ti amo”












Bologna-martedì-18.04

Sono attimi rubati al quotidiano, pezzetti, robe così, ti ritagli un piccolo spazio, riordini i pensieri e le sensazioni, calici profumati, “genti” di fretta, ragazze dalle lunghe gambe, un sangiovese, le vetrine, i discorsi di giovani a fianco che travalicano il confine della privacy, la loro, non la tua.

Ci sono situazioni, città, vie, pertugi, che parlano al tempo che passa e che a volte ritorna, è curioso osservare ciò che ci sta attorno, a volte è un rivivere, altre volte un vivrei, spesso un vivrò, anche solo sognato.

Bologna il martedì alle 18.04 è viva, veloce, confusa, colorata, varia, tiepida, accesa.

Bla, blablabla, bla bla, qualcuno dice così, in realtà l’essere bisognerebbe prima capirlo e poi giudicarlo, oppure banalmente fregarsene senza commenti, non serve.

Giocare con le frasi e le parole per raccontare a se stessi e al mondo che cosa succede nel microcosmo di una via antica del centro storico è un gioco rilassante.

Attardarsi tra tortellini e salumi, luci e lustrini, osterie e panettoni artigianali, dopo una giornata di lavoro è dolce, dolce e leggermente malinconico, che poi l’uno è parte dell’altro.

Descrivere i sapori e le sensazioni e gli attimi non è mica facile, la grammatica e la sintassi non sono matite, l’unica cosa è gettare appunti, per descrivere che succede.

Ecco, tutto qua.

I sogni

“E i sogni?”

“Beh sai il tempo è passato, il sole, poi la pioggia e il vento, le cose della vita che ti inseguono e ti precedono, i rompicoglioni, il traffico, l’uguale sempre uguale e la consapevolezza che continuerà così e forse anche peggio, eh sai... non sogno più.”

“Sarà che dormi poco?”

“Dici? Non so... forse dormo troppo, o forse ho perso l’attimo, mi han perfino rapito le emozioni, si son perse tra i giorni e gli errori, le occasioni andate e quelle assassinate, son state schiacciate da responsabilità bambine e doveri ancestrali che mi han tolto via via pure il sapore che è scappato deluso e rassegnato.”

“Ance-chè???”

“Ancestrali. Perché i sogni han bisogno di libertà e di visione, e la visione non può tremare per il pregiudizio atavico, una visione che trema si spegne e senza visione non sogni, banalmente prosegui nell’attesa”

“Sei leopardesco questa notte?”

“Felino?”

“No Giacomo”



Il nostalgico della porta accanto...

Ho camminato tanto ed ora mi è tutto chiaro, ho trovato la risposta: la nostalgia è solo il giramento di palle che parte quando ci accorgiamo di non avere più vent’anni.

E a vent’anni “il mondo è bello e invitante di colori, e ancora sugli alberi ci sono solo fiori, che prima o poi si dice diverranno pure frutti e allora tu che fai golosamente aspetti...”, ma ad un tratto razionalizzi e consapevolizzi: il tempo è passato.

Eh sì, il tempo è passato e tu rischi di restare digiuno, gli attimi diventano sempre più preziosi e ti diventa all’improvviso evidente che sprecarli fa dimagrire, metaforicamente s’intende.

E allora acceleri, in maniera nevrotica e irregolare, cercando di assecondare il tuo metabolismo altalenante, provi a ripartire da dove hai lasciato ritracciando i passi fatti nella convinzione di riuscire ad evitare gli errori e recuperare il tempo perso.

Ma non ce la si fa, ed è questa evidenza che produce nostalgia, e la nostalgia attiva la produzione di dopamina, e l’accelerazione cardiaca originata dalla dopamina fa sognare.
Sì sì sognare. 
Sognare di notte e un po’ anche di giorno.

C’è qualche base scientifica in quello che sto  scrivendo: assolutamente no, solo evidenza empirica ed elaborazioni novembrine.

L’evidenza la troviamo negli amori bruciati sull’allarme dei quaranta, la troviamo negli amori reload degli amanti irregolari, la si scorge nell’insoddisfazione motivata delle coppie stanche e negli amplessi apocalittici al termine dei quali s’invoca mentalmente la sempiterna botola.
“Apriti botola, ti prego apriti”.

La nostalgia è marrone come la sabbia, grigia come la nebbia, gialla come il sole a primavera, rossa come le fragole, fredda come le lenzuola di un letto sfatto in un appartamento al mare fuori stagione.

Voglia di ritornare ai venti e alla potenza sconfinata dell’aspettativa indomita che si credeva eterna.

I nostalgici non sono tutti uguali, proprio come non erano uguali tutti i ventenni.
Conosco nostalgici tristi, altri felici, pochi soddisfatti, tutti persi nel passato convinti di poter trovare lì il loro futuro.
Illusi.

Il nostalgico vero diventa egoista e pure un po’ cinico: “la nostalgia è mia e la gestisco io, tu spostati giovinastro”.

Ma la nostalgia è sempre single? No, no, si può essere dei nostalgici anche in coppia. Quasi sempre c’è una correlazione negativa però, come lo spread e i Btp: se il primo scende il secondo sale, e viceversa. Questo nella coppia si traduce in “io vorrei che lei fosse” e “ io vorrei che lui diventasse”, di nuovo passato e futuro in un opposto gioco delle parti.

Vent’anni... la sfortuna è continuare a sentirseli. 
Sì perché vent’anni sono un po’ come andare in bici, una volta imparato ne sarai capace per sempre, chi dice il contrario semplicemente non ha voglia di pedalare.

E perché tutto questo? Perché è l’ormone che fa casino, ne son certo. Colpa del testosterone, che da all’uomo quest’illusione di potenza perpetua e alle donne fa crescere i peli.
E se ci sono nostalgici anche dei peli, allora li non se ne esce più.







Vorrei? Potrei? Dovrei? Perché?

Sera.. quasi notte, 45 anni.. quasi grande, ti dicono che devi mettere la testa a posto, ma tu ti chiedi: “a posto dove esattamente?”, e un’idea ce l’avresti pure, ma spesso non si può. 

È incredibile come gli anni che passano si colorino quasi sempre di cliché, travolti dal luogo comune che ci vorrebbe obbligati a fare quello che si deve proprio quando si è raggiunta la maturità per fare quello che ci va.
Passi una vita a dipendere dalle convenzioni e dalle convinzioni, e proprio quando hai il potere di affrancartene, zac, “la testa a posto, la testa a posto”.

Sfido io che poi si diventa vecchi.

Il dovere, il senso del dovere.... da bambino devi perché “sei piccolo e devi diventare grande”, da adolescente devi perché sei “già grande” ma devi diventare ancora più grande, da adulto devi perché “ormai sei diventato grande”... ma da grande?? Da grande vero, che cosa devi diventare cosa?

Capita ad un certo punto che si confonda il devo con il dovrebbe, il voglio con il vorrebbero, l’io con il noi. 
Piani diversi, un po’ come la moglie e la Donna della propria vita, a volte coincidono, ma non necessariamente.

Tu che leggi, sì proprio tu, pensati bambino, giurami che non ti sei mai “innamorato” di quella del primo banco solo perché era la più carina per i tuoi amici? E dimmi, se hai il coraggio dello sporco mentitore, che alle medie ti sei messo con Alice solo perché piaceva a te e non anche ai tuoi amici?! 
E confessa infine la verità: solo ventenne ti sei affrancato e hai scelto Giulia pure se ai tuoi amici stava parecchio sulle balle, poi a ventuno l’hai mollata per Nicole non appena ti sei accorto che forse i tuoi amici un po’ di ragione ce l’avevano, ma questa è un’altra storia e andiamo avanti.

Ecco... a quaranta-quarantatré-quarantacinque anni invece si dovrebbe poter scegliere. 
Sì sì, si dovrebbe poter scegliere, potresti e dovresti decidere di fare tutto quello che ti pare purché sia economicamente sostenibile e non delittuoso e rispettoso di chi ami (non di tutti, di chi ami ho detto).
Avresti la saggezza pure per fare il cazzone, saresti nella condizione di poter essere egoisticamente in carriera o irresponsabilmente innamorato della persona sbagliata nel momento sbagliato e nel posto sbagliato.
Potresti vivere di priorità, e la tua priorità potrebbe essere anche il dovere sia chiaro, perché il mio non è un invito alla dissolutezza, anzi, ma solo un auspicio di volontà.

E allora perché tutta questa insoddisfazione più o meno latente che attanaglia l’età fantastica? 
Che sia la crisi? L’alopecia? La prostata? 
O la convinzione che il tempo sia stato perso, che il treno sia passato, che davvero non ci siano più le mezze stagioni?
L’insoddisfazione “è” perché ci si lascia invecchiare con la scusa (LA SCUSA) del devo, perché il comodo prende il posto del sogno, le priorità son dettate dalla paura e non dalla volontà.

Luoghi comuni anche questi? Un po’ sì, ma se ci fermiamo un attimo a riflettere, forse ci renderemo conto che così comuni poi non lo sono, son solo ovvietà trascurate.







Franco e Carla

Bologna a fine aprile diventa sexy ed avvolgente, soprattutto durante l’ora del passeggio e dell’aperitivo, sexy come le donne arroganti che si lasciano osservare mentre ancheggiano sotto i portici, stanche di un inverno troppo lungo; ed è avvolgente come gli sguardi finto-disinteressati di giovani quarantacinquenni alla ricerca del testosterone perduto.

Tutto diventa un gioco di allusioni ed illusioni, di “mi scusi permesso”, di profumi dolci, di fughe in avanti e improvvise retromarce in Galleria, di viuzze e di primi tavolini all’aperto.

Una cioccolata in tazza con la panna in tutto questo non c’azzecca nulla, non è sexy, non è avvolgente, ma è solo calda.

Carla lo ascolta mentre lui racconta, lo guarda, è stordita dalla marea di parole che Franco lancia in successione, gli guarda le mani che gesticolano senza sosta,  si chiede come faccia a prendersi tanto sul serio, è combattuta tra la sensazione di conoscerlo da sempre e la realtà del perfetto sconosciuto.
È attratta da lui, pur essendone quasi infastidita, cerca di inserirsi nella conversazione che sempre di più trasmigra in un comizio, un comizio a bassa voce, si perché il tono è insolitamente delicato “per uno così“.

 “… uno così, ma che ci faccio qui con uno così? Questo dovrei chiedermi e non perché la barba è brizzolata e il capello nero”.

Ti stai annoiando?”

“No, perché? Ti ho dato questa impressione?“

“No, ma volevo esserne sicuro“

“Ma pure fosse? Non ti avrei mai detto la verità!“

“Oh certo che lo avresti fatto, sei diretta, non menti, non ne sei capace“

“E che ne sai?“

“Lo so. Ti ho osservata con molta attenzione mentre parlavo.
Sai che ti sta molto bene quel modo buffo che hai di arricciare il naso quando non sei d’accordo con quello che senti?
Ma domani mattina a che ora inizi al lavoro?
Ragazzo scusa, potresti portarmi il conto. Grazie.“

 “Posso una domanda indiscreta? Ma davvero tu non ti rilassi mai?  Guarda che non è grave pensare e dire una sola cosa per volta favorendo il confronto, potresti ingenerare nel tuo interlocutore il fantastico dubbio che tu sia interessato ad ascoltare anche il suo parere!“

“Vedi?”

“Vedi cosa?”

“Il naso, hai arricciato il naso.
Allora domani mattina vieni con me, partiamo presto, ce ne andiamo a raccogliere tre conchiglie al mare, mezz’ora, la spiaggia-la sabbia-i gabbiani-un caffè-l’alba, porta gli occhiali da sole e lascerò parlare solo te. Promesso.”

Credo non ci sia un luogo preciso in cui l’attrazione nasce, dentro di noi intendo, nel cuore, nella testa, nella pancia, nelle mani, non lo so.
Capita così, quasi sempre all’improvviso, anche quando ci si conosce da una vita, all’improvviso qualcosa succede e l’interesse dell’uno per l’altra aumenta di livello, upgrade si dice no?
C’è chi sente la vocina, chi le farfalle, chi la voglia di rivedersi entro cinque minuti successivi, un tempo la passione si vestiva da gettone della Sip e si trasformava in necessità di trovare urgentemente un telefono pubblico, anche solo per uno squillo, quasi un antenato del poke (che poi che cos’è questo Poke non lo si è mai capito fino in fondo).
E l’attrazione è pericolosa alle volte, con o senza vestiti, ed è tanto più pericolosa quanto più persiste, si narra di attratti che lo sono stati per sempre, incapaci di separarsi davvero, attratti anche quando le loro vite hanno svoltato verso altro ed altri, attratti informali che superano il tempo spesso distruggendolo.

Non so se Franco e Carla saranno mai degli attratti persistenti, lei però moriva dalla voglia di baciarlo… con tanta lingua.

Parole, parole, parole

Ma è possibile raccontare una storia lunga lunga usando parole sparse apparentemente senza nessun filo logico lasciando che ognuno dia il senso che vuole? Riconoscendosi e perdendosi nel pensare al racconto che potrebbe essere, essere stato o che sarà?

Esperimentiamo.

Mare, palazzo e finestre, freddo freddo quasi gelato, anni, il gabbiano, brividi, la punta, il tempo, eri giovane e lo sarai per sempre, sorrisi pieni di lacrime, e il caminetto, la sera, la notte, messaggi e massaggi.

Abbaglianti, le coincidenze, il numero che viene subito dopo il sedici e un attimo prima del diciotto, il letto del mio nonno, 
il vento e la neve, e ogni cosa parla, i silenzi, primavera-estate-autunno-inverno, il natale che è sempre un po’ meno Natale,
la bici rubata, il caffè ☕️, le telefonate, i sogni, la paura, sole-cuore-amore, Anna Oxa, dobermann, brividi, brivido, pensare e non pensare, il lavoro, la via Emilia, la Fiesta, le Fiesta, le feste, la pizza, le fragole, le fughe in avanti indietro e di lato, le rincorse, le corse.

Il brivido. Il diesel. L’automobile. La mia. La tua. La sua.
Il futuro? Il passato? Il presente? Ieri oggi e Maurizio Costanzo?
Il vino e i suoi tannini, la birra e i suoi luppoli, l’acqua, l’Oriani e la corriera. 

Sentimenti dal sen fuggiti e nel sen rientrati.
Io, lei, lui, lei, io, noi, gli altri, tutti, troppi, nessuno, troppo tardi e troppo presto. 
Le galline, il gallo, il blues.
Il brivido che trapassa.
Il ponte, la rosa, le risa, le sorprese, il raffreddore.
La maionese, le fideiussioni, la nutella e la cipolla, il senso e il non senso.
Il brivido che resta.
Papà ti voglio bene.
Freddo, il mare, il gabbiano, la rotonda.

Ecco, dietro ad ogni parola un mondo, ad ognuno il suo a me il mio.







Amore... dormi?!

  • Amore?
  • Sì?
  • Dormi?
  • No
  • Perché?
  • Perché mi hai svegliato
  • Ah.. e mi pensi?
  • No
  • Perché?
  • Dormivo
  • Ah.. e ora?
  • Ora cosa?
  • Mi pensi?
  • Sì 
  • E cosa pensi?
  • Ma sono le 3 e 27 di notte!
  • E allora?
  • Allora perché non provi a dormire pure tu?
  • Ho voglia di fare l’amore...
  • Con chi?
  • Come con chi?!?! Con te!! 😡
  • Adesso?
  • Sì 
  • Ah... ma... 
  • Ecco vedi, hai un’altra!
  • Ma un’altra chi?! Sono le 3 e 28!!
  • E che importa, non puoi avere un’altra alle 3 e 28?
  • Va bene... facciamo l’amore
  • No
  • E perché?
  • Perché non mi va più
  • Ah... però io non ti capisco.. davvero
  • Come si chiama?
  • Ma come si chiama chi?
  • L’altra!
  • Ma sei fuori?!? Ma l’altra chi?!?!
  • Chiara?
  • ... 🤨
  • Non fare quella faccia. Agata?
  • Ma basta!!
  • No basta lo dico io! Lucilla? È lei, è sicuramente lei, quella gran zoccola di Lucilla!
  • Sì, allora sì, è lei!!
  • Vedi, avevo ragione.
  • Bene
  • Ecco
  • Ecco cosa?
  • Ecco domani ti lascio
  • E adesso?
  • Adesso dormo, ma prima chiamo Luca.
  • Luca? Luca chi?
  • Il mio amante
  • Hai un amante?
  • E da quando?
  • Da quando tu mi tradisci con Lucilla. 
  • ... ... ... scherzi?
  • No
  • Io sì
  • Ah.


SOGNI

Mercoledì.
Il mercoledì è una sera perfetta per sognare, dico sognare davvero, quel sognare agitato che arriva all’improvviso, quel sognare di notte, il sogno inconscio, e anche un po’ incosciente, quello rem, quei sogni figli del tempo e del sonno e anche un po’ figli di buona donna.

E non un “i have a dream” buono per le illusioni, no, no, dico proprio un sogno incontrollato e fine a se stesso.
O fine a non so bene che cosa.

Il mercoledì i sogni sembran più veri, hanno lo stesso sapore acido della realtà.

Mi capita spesso di sognare in questo giorno che ha segnato il mio tempo, un sacco di cose succedono, succedevano e succederanno il mercoledì.
Coincidenze? Non so, credo piuttosto sincronicità, giusto per citare uno Jung qualsiasi.

La notte amplifica le emozioni, sarà che il buio e il silenzio lasciano entrare il vero, e il vero agita, spiazza e mette a nudo.

E io credo che i sogni altro non siano che emozioni fuggite dal nascondiglio in cui sono state rinchiuse.
Ed è per questo che ci accorgiamo di loro solo nel durante per poi volercene  inconsapevolmente dimenticare subito dopo.  

Proprio come i sogni.

Perché è così che accade, nel mentre sembra tutto vero poi ti svegli e puff, tutto svanito. 

Due sono le possibilità perché questo non sia: raccontarne immediatamente o prendere nota. 
Raccontare da consapevolezza, scrivere aiuta a trasformare il verosimile in mito.

Poi il giovedì mattina ti svegli, e pensi, ma il pensare non è nitido, il sogno si confonde mano a mano che i minuti passano, arrivi al lavello e prima di passare il filo interdentale sei già al 50%, il collutorio farà sparire l’altra metà, ti resta solo una sensazione, sai che è successo ma non sai cosa, eppure ti sembrava così vero, quasi fosse realmente accaduto. 

Mah...

E poi l’auto, il caffè, la brioche, i semafori, le rotonde, l’ufficio, il telefono, un susseguirsi di quotidiano che si sublima nello scorrere delle ore, finché non è di nuovo sera, e poi notte, e vorresti ripartire da lì, lì dove avevi lasciato un 24ore prima, ma niente, non ce la si fa perché non ricordi né dove avevi lasciato e né tantomeno cosa, l’ho già detto... e allora, ecco allora non resta che dormirci sopra... magari aspettando il prossimo mercoledì.


LO SCOPPIAMENTO DELLA COPPIA CHE SCOPPIA

  • Ciao amore...
  • Ciao
  • Sai... volevo parlarti
  • Dimmi
  • Io... io credo... sì insomma... io credo, anzi sono certa: tu sei cambiato!
  • Eh?
  • Sì non sei più lo stesso
  • E non va bene?
  • No
  • Perché? Tu mi hai detto di cambiare, anzi mi hai fatto cambiare senza dirmelo
  • No ma io volevo solo farti capire
  • E io ho capito
  • Cosa?
  • Che dovevo cambiare
  • Eh no! Dovevi capire senza cambiare
  • Ah! E quindi?
  • Quindi... quindi facciamo che...
  • Che ritorno quello di prima?
  • Prima quando?
  • Prima di te
  • Eh no ma sei scemo?!?!
  • Perché?
  • Quello di prima di me no!
  • E allora prima di quando?
  • Basta, ritorna quello di una volta ma non quello di prima
  • Mmm..
  • Devi essere un po’ di più e un po’ di meno, tipo donna, si ecco tipo una donna!
  • Ah ok
  • Ma mi ascolti?
  • Certo!
  • E cos’ho detto
  • Hai detto “donna”!
  • Non mi ascolti, un tempo lo facevi
  • Lo so, ma da allora sono cambiato
  • Vedi??? Vedi che ho ragione, e sai il grave? Hai cambiato pure me!
  • Ma non volevo cambiarti, voleva farti capire
  • Invece no, tu lo hai fatto perché sei un egoista
  • Io?
  • Si tu 
  • Ah io..
  • Sì 
  • E adesso? Vuoi dirmi che siamo diventati due sconosciuti in sostanza?
  • No io ti conosco bene
  • E io? 
  • Tu no
  • ...
  • Ora cosa fai? Stai zitto?
  • Si, devo capire chi sono diventato così almeno saprò quello che tu già sai
  • Ecco bravo, taci e pensa
  • Va bene
“2 giorni dopo”
  • Amore?
  • Ho pensato io, devi ritornare ad essere te stesso, nulla di più e nulla di meno, quello di sempre, quello che ho conosciuto, quello di cui mi sono innamorata
  • Ah, che bello amore
  • Sì.. è così
  • Ti amo
  • Ah una cosa ancora...
  • Dimmi cara!
  • Giovedì siamo a cena dalla Susy, mi raccomando non fare tardi come tuo solito, e ricorda di comprare il vino non la birra; ah e sabato siamo dai nonni, vestiti bene, indossa la giacca blu, non quella nera che porti sempre; e lunedì non dimenticarti la Virginia, tocca a te portarla a nuoto, e aspettala li, non andare al bar con quei quattro morti di sonno dei tuoi amici, e poi basta...
  • Basta?
  • Si basta con quella barbaccia, è ora di cambiare look... amore mio ciccipucci...

LA MALINCONIA

“Malinconia: stato d'animo di vaga tristezza, spesso alimentato dall'indugio rassegnato o addirittura compiaciuto, nell'ambito di sentimenti d'inquietudine o delusione. Tipico dei romantici”

E lo dice Google mica io.

“...o addirittura compiaciuto..”, è lì che sta il punto, in quell’addirittura compiaciuto che fa tanto Lupin che osserva Fujiko mentre si allontana furtiva (e un po’ zoccola) dopo averlo abbandonato, dopo il colpo, dopo essersi impossessata del bottino, e dopo che non ha nemmeno limonato con lui.

La malinconia è il sentimento dei fuori tempo, quelli che arrivano “troppo prima” o “troppo dopo”, amaramente crogiolati nel proprio sfasamento temporale.
Un po’ come i fidanzati cornuti e contenti, ché c’è qualcun altro che è arrivato dopo e tu ci dovevi pensare prima, ma resterà sempre il retrogusto del primo bacio quella sera di una domenica d’ottobre sopra un’isola deserta, che diventa d’improvviso il metro per misurare tutto il resto. 

La malinconia è la nebbia... perché t’impedisce di definire i contorni.
La malinconia è il mare d’inverno... perché lo sciabordio delle onde, misto a salsedine, pettinato dal vento, fa molto charme e silenzio.
La malinconia è contemporaneamente l’ultimo giorno di scuola ed il primo giorno di lavoro... perché ripensandoci avresti voluto fermarti proprio lì, a metà, un po’ uno e un po’ l’altro, entrambi comunque proiettati al futuro, che si sa, è bello finché non arriva!

“Tipico dei romantici”? 
Allora la malinconia è anche Venere-Giove-Marte e  la Luna, da ponente fin quasi a levante alle 19.45 di un giorno d’agosto.

Ma allora è anche quella volta che... che... che non me lo ricordo, ma dev’essere stato importante se ancora oggi cerco di riviverlo.

La malinconia son le figurine Panini conservate dentro alle scatole delle sorpresine del Mulino Bianco, dopo aver mangiato il Tegolino e bevuto una Cedrata Tassoni guardando Super Quark.

Figlia del tempo (e un po’ anche figlia di mignotta), pericolosa come un’amante single, triste come la domenica pomeriggio a metà novembre, appiccicosa come una Big Babol, fastidiosa come un vicino al primo piano che cammina sui talloni, affascinante come la Borgogna Rossa del 1972, mitologica come un bancario del 1999, la malinconia affloscia gli audaci e ristora i disillusi.


Bene, ora vado a dormire, letto a due piazze, meno di antico e più di vintage, li così, a metà del tutto che è stato e che sarà.