L’omino che osava sperare bevendo caffè

Uscì di corsa, un espresso al volo e subito fuori, l’aforisma legnoso accalamitato sulla parete dietro la macchina del caffè (una Regina a tre gruppi) lo aveva scosso, doveva osare, doveva osare per continuare a sperare, quindi via ad osare come non ci fosse un domani, per sperare già da dopo domani.

Ma nella foga del momento non aveva considerato un due tre robe, un paio di dettagli, tipo osare cosa? Per sperare chi? O come? O quando?

“Come hai osato?!” fu il primo pensiero che lo assalì fatti trentaquattro passi, “come hai osato osare?!” Il secondo.

Gli aforismi sono belli, li adatti ad ogni situazione che stai vivendo in ogni momento in cui la vivi, arrivi perfino a credere che siano stati scritti per te, quando in realtà chissà cosa davvero pensava l’autore, e soprattutto chissà se pensava davvero. 

Quale speranza nutriva colui che ha ispirato la barista poeta che appiccia le lettere? Una nuova vita? Un nuovo amore? Un milione di euro? Un gelato al cioccolato?

Qual era il suo azzardo? Cosa avrà osato per sentirsi così fiducioso? Sprezzante del pericolo ha salvato il figlio del suo capo da un palazzo in fiamme? Ha comprato ventitremilaseicento Gratta e Vinci? Ha dichiarato “a te ti amo davvero”? Ha detto “il tuo pistacchio mi fa schifo ce l’hai il cioccolato”? O semplicemente è stato un incosciente?

La speranza è una molla, spesso fine a se stessa, una molla che ci aiuta ad andare avanti, alla continua ricerca dell’obiettivo, come l’asino che insegue la carota appesa sopra la propria testa per far funzionare la macina.

Ritornando al nostro amico però, ché poi divagare distrae, quel giorno osò solo  “di dire la verità”, il suo azzardo fu la sincerità, cuore e  fegato in mano, che come immagine mi rendo conto non è proprio il massimo, ma così fece. Decise di dire tutto quello che poteva stare in un numero di righe sufficienti a far capire senza annoiare, usò parole forti, non per impressionare, non ne aveva alcun bisogno, ma solo per sentirsi egoista, sì egoista, non pensò alle conseguenze ma si limitò a crogiolarsi per un attimo nel piacere che viene dal liberare pensieri tanto forti. Colorò e profumò il suo desiderio, lo fece a rate, per far capire quanto fosse prezioso (non poteva permetterselo tutto in un colpo), dolce, duro, raro, intenso, speciale, lontano, passato… bello…. ohhh sì…. semplicemente bello, perché bello con il giusto accento racconta più di ogni altra parola. Tutto questo portò speranza? No, portò un po’ di pace temporanea, quella pace che assale quando ci si accorge di aver detto quello che c’era da dire, altrimenti sarebbe solo un “è tutto uguale”,  quando in realtà di uguale a quella roba lì non c’è mai stato davvero nulla.

“Scusi oggi prendo un cappuccino, mi siedo fuori, di fianco alle rose. Grazie…”