Gli amanti a ferragosto

Gli amanti a ferragosto dici? E perché non mi chiedi degli effetti di una variazione delle rimanenze sul circolante? Sarei più preciso, più tecnico, più certo, ma se proprio insisti proviamo a (s)ragionare un attimo di questa cosa degli amanti, sarò breve però, devo andare a cena, per una volta che mi aspettano non voglio fare tardi.

Prima capiamo di cosa stiamo parlando, gli amanti non sono tutti uguali, abbiamo diverse tipologie di coppie clandestine, ognuna con caratteristiche diverse…. ci sono gli amanti ambo-impegnati, gli amanti uno single e l’altro no e gli amanti ambo-single, quest’ultima evoluzione patologica dei malati di coppia.

Partiamo dai primi, gli amanti bi-impegnati… questi a ferragosto soffrono, o almeno soffricchiano, certamente cercano di farlo credere, sono quelli che tra un gavettone e una piadina sparano messaggini telegrafici “ti penso”, “vorrei essere con te”, “scappiamo”, “ahhh”, “ohhh”, “quando ci vediamo?”, “mi manchi”, “l’anno prossimo vedrai! - cosa vedrò? - vedrai!”. Sono quelli che la trasgressione aiuta la coppia, quella vera, sono quelli che si promettono tutto ma con moderazione, sono i coltivatori di aspettative modeste, si esaltano in auto, in albergo, in pausa pranzo, il mercoledì e il venerdì, e si tranquillizzano nei week end e nelle feste comandate, e ferragosto è festa comandata, solo fa più caldo. Si raccontano a vicenda di passare questa ricorrenza in luoghi tristi, ameni, circondati da noia e ripetitività, narrano di pranzi stantii e molto costosi, di bambini urlanti e “mai più”, spacciano sofferenza e foto dove loro appaiono raramente, selfie di gruppo, piani lunghi, sabbia e palloni da beach. Più che padri o madri di famiglia sembrano agenti della CIA infiltrati in quadretti familiari precostituiti, poi appena tramonta la festa, si normalizza la giornata, ci si rinfresca sotto la doccia, dimenticano tutto, silenziano cellulari e traffico dati, e si abbandonano al per sempre. Quello vero, quello che dura.

I secondi invece, I single alternati, si rodono. Soprattutto il single dei due, la lei (o il lui) che si trova in questa condizione può fare due cose: 

a) svegliarsi prestissimo, alzarsi tardi, strafogarsi  di pancake alla nutella tocciati nella birra, uscire a ridosso del mezzogiorno passeggiando per la città deserta, portare a spasso il cane anche se il cane non ce l’ha, sudare, ripromettersi “mai più!”, piangere, dire un sacco di parolacce, litigare con la barista del Centrale perché  non è possibile chiudere alle 13.30 il giorno di ferragosto, rientrare a casa e sbronzarsi con il Vov.

b) svegliarsi prestissimo, alzarsi prestissimo, partire insieme a gruppi improbabili di amici inventati per faticosissime giornate fuori porta, pic-nic o pranzi di pesce surgelato sulla spiaggia, tornei di racchettone, tornei di gavettoni, tornei di marrafone, tornei di chi rutta più forte, il gioco della bottiglia, galloni di spritz, balli a-sincroni come fossero posseduti dal demonio, canzoni anni 80-90 con innesti improvvisi di pop contemporaneo, risate forzate, decine di “è fortissimo ragazzi, che figata, bellissimo, questa è vita”. Poi alla prima pipì, quando raggiungono il bagno, di fronte a se stessi riflessi sullo specchio, li vedi barcollare, una lacrima scende annegata nel sudore, una rapida occhiata di auto compatimento è un “mai più, mai più”.

Entrambi gli scenari si chiudono con il cicalino di Telegram alle 01.30, “mi sei mancato(a) come l’aria oggi”, che fa ripiombare tutto nella desolata ma rassicurante routine del post-ferragosto. Si sublima così l’essenza di quasi coppia nel déjà vu dell’eterno (finché dura) ritorno.

Infine ci sono gli amanti ambo-single. Qui lo stereotipo non regge, possono esserci mille diverse ragioni per questo particolare status di quasi coppia, non saprei categorizzare, non c’è un ferragosto tipo, ci sono ferragosti dipende. Dipende dal momento, dal tempo, dagli impegni, dalla voglia, dal caso, dal lavoro, dal bisogno di trombare, dalla fame, dalle ferie, dagli amici, dall’età, dalle alternative, dalla casa con l’aria condizionata, dal che cosa si farà il 16, dalla crisi economica. Gli amanti ambo single sono degli insoddisfatti a rotazione, quindi se l’insoddisfazione ruota a ferragosto beh sarà un ferragosto di merda, se invece arriva una botta di culo sarà un successo. Il ferragosto, così come Santo Stefano e la Pasquetta, sono potenzialmente ottimi per far scoppiare le coppie di amanti ambo single, tentativi di amici di far conoscere “il vero amore”, le cene, la cioccolata di Pasqua, il panettone, i gruppi sulla spiaggia, i turisti, Il CrossFit sul lungomare, le piscine di gruppo con l’idromassaggio, insomma le tentazioni corrono sul filo delle emozioni più o meno forti e delle carenze più o meno latenti, il tutto amplificato dal quasi festivo, dalla rottura della routine.

Quindi, amica mia, se vuoi un’analisi più approfondita devi darmi elementi più circostanziati, fermo restando che se a parità di fatturato il magazzino aumenta il fabbisogno di circolante cresce, e sappi che non è bello. Ora chiudo e vado a cena, spero di esserti stato utile!


Il lungo mare, i panini, il corsivo

Che poi sta cosa di parlare in corsivo ci sta sfuggendo di mano, è davvero odiosa, lagnosa,, antipatica, sì, ma nonostante questo sta dilagando, è la nuova variante omricoen 69, la mascherina non serve., la settima dose neppure.

Secondo me i primi a parlare in corsivo sono stati i riminesi, per via dell’accento, a loro viene naturale, ce l’hanno nel dna però… mica si sforzano, e su di loro non è nemmeno brutta, anzi..

Ricordo Massimo, non era proprio di Rimini ma di Torre Pedrera, faceva il fornaio, anzi i suoi genitori facevano i panettieri lui faceva parte della famiglia, erano i fornai ufficiali dell’hotel Graziella, fronte strada-fronte spiaggia-fronte mare, una posizione invidiabile devo dire, per l’hotel intendo, dove stava il forno non l’ho mai saputo. Massimo l’ho conosciuto alle Terme, a Riolo, credo trentanove anni fa, aveva un sacco di macchinine, stava in albergo da me, sudava un sacco e questo non si abbinava con la terapia idropinica, ma a nove anni te ne freghi e sudi ugualmente. La cadenza riminese l’ho notata per la prima volta allora.. Non l’ho più rivisto, non ricordo nemmeno il cognome e non so nemmeno se il forno è ancora operativo. L’hotel Graziella invece sì, la pensione Lea invece no, Riolo-Rimini, il centro della Romagna negli anni 80. Sono cose che restano.

Il signore sui sessanta con la camicia bianca, una figlia a Londra, il blazer blu, il jeans DD, il pull aragosta adagiato sulle spalle, i capelli lunghi e brizzolati, sfoggia una quarantottenne bionda mesciata, gambe lunghe e salopette cortissima, abbronzatura ambrata e labbra stranamente naturali, le tette non so, non era chiaro. Sono innamorati, almeno lui, glielo ha detto passando di fianco a me: “quando mi sono innamorato di te era giovedì…”, lei ha sorriso, probabilmente lo ricordava, o forse è stato un sorriso di circostanza che dire “giovedì quando?” sembrava brutto. Leggevo poco fa che innamorarsi d’estate non è opportuno, meglio ottobre, potevo approfondire: “giovedì 21 ottobre?”, ma mi è parso indiscreto e li ho lasciati alla loro passeggiata post-cena, non volevo rovinare il momento. 

Il carretto “Panine, bibite e piadina” ha un fascino tutto suo, lungomare, zona passeggio, Franco spaccia prosciutto e scquacquerone e sua nipote mangia hot-dog a nastro, quattordici anni, senape e maionese come non ci fosse un domani, il 10% del MOL della serata se ne va in salse ingurgitate dalle ragazzina, ma si vede che Franco è contento ugualmente, chissà se i panini li compra al forno di Massimo.

Due adolescenti stanno cercando di cambiarsi il costume per strada senza dare nell’occhio, uscite dalla spiaggia si stanno riorganizzando per la serata,, pure loro con la salopette, saranno mica parenti della mesciata? Hanno due bici e un sacco di energia, faticano a trattenere l’adrenalina che precede l’incontro con la movida di metà luglio, una delle due deve assolutamente vedere Enrico, fa il barman al Torquaise, se lo saluta in corsivo la ucciderà, dovrei metterla in guardia. 

Una ragazzina sui diciannove sta in posa sciantosa mentre l’amica la fotografa, fa la vamp di fronte ad una siepe, micro-abitino aragosta (sarà mica il colore dell’estate ‘22?), l’amica è praticamente accosciata/sdraiata fra due auto per cercare di cogliere la sfumatura migliore dal bassissimo all’alto che slancia, nel frattempo il loro accompagnatore ebete cerca di far funzionare il parchimetro: “amo mi fotografi la targa che non me la ricordo e mi mandi un messag?”, l’auto era a ventiquattro centimetri da lui, c’è qualcosa nel mondo che non funziona.

Un bimbotta si avvicina al carretto dei panini, si chiama Giulio, non ha fame, vuole vedere da vicino la nipote di Franco, è affascinato dalla maestria con cui spalma la senape sul panino e rapito dalle guance paffute di lei. Vorrebbe salutarla, chiederle: “ciao come ti chiami?”, ma non ne ha il coraggio. Servirebbe Emanuele, lui si che riuscirebbe a rompere gli indugi, Ema (così lo chiamano gli amici) ha la faccia tosta del futuro playboy, tutto racchettone e parlantina, le direbbe: “Hei ciao, il mio amico vorrebbe sapere come ti chiami, se me lo dici fermo trentadue persone e ti vendo ventotto piadine al salame!”.

Sarebbe un errore, finirebbe che ad uscire con la ragazzina degli hot-dog sarebbe Ema, e a Giulio non resterebbe che aiutare Franco a farcire baguette, è la dura legge della vita, i timidi (soprattutto d’estate e soprattutto se si chiamano Giulio) sono destinati a soffrire.

S’è fatta una certa, vado, magari domani ripasso e vedo com’è finita coi panini, a sto punto sono curioso.




Il bimbotto, il baule, il vermut. Storie di vita vissuta.

Che poi non te lo immagini un mercato del pesce così, banchi chiusi, l’odore che persiste ma senza eccessi, minigonne e tacchi al posto dei cefali, un vociare giovane che dalla piazzetta a fianco sovrasta una musica vintage con venature di démodé, il conetto del fritto, il Banco stranamente semivuoto, Filippo che pare ormai irrimediabilmente orientato al vino bianco quasi da non riconoscerlo più.

La coppia seduta sul trespolo lo guardava con sospetto, non si capisce se per il Caprettone, per la scarpa rossa o per il fatto di essere solo, ma lui pareva fregarsene, abituato “all’autonomia” si dava arie da uomo vissuto, un misto tra un agente segreto in trasferta è un critico culinario della guida Michelin. 

Tre tavoli a destra stavano una ragazza mora con gli occhi tristi ed un ragazzo calvo con l’espressione torva, non parlavano, non mangiavano, torturavano il tonno tataki rigirandolo nel piatto, vittime probabilmente del voler essere altrove, un male comune nella  postmodernità, si vorrebbe quasi sempre (e sottolineo quasi) essere altrove, non fosse stato vietato all’Interno lui avrebbe acceso la pipa, lei invece se ne andò in bagno, ritornò dopo ventisette minuti, lui era all’amaro, se ne andarono, tre euro di mancia, il bagno era pulito.

Fuori faceva caldo, oddio caldo, forse faceva solo tiepido, tipo Saint Tropez dopo il 10 ottobre, che direte voi: “ah sei andato a Sant Tropez dopo il 10 ottobre?” No, non sono mai andato nemmeno a giugno, però faceva bello scriverlo a questo punto, e comunque faceva tiepido, ma la mostra fotografica di Pasolini “Folgorazioni figurative” che doveva essere a 50 metri dall’incrocio tra Ugo Bassi e Piazza Maggiore….. il FIlippo non la trovò mai. Fotografò tuttavia il cartellone pubblicitario che l’annunciava, gesto estremo per fissare l’attimo.

Un signore e una signora, distinti, abbronzati, forse liberi professionisti, forse lei medico dermatologo e lui avvocato tributarista, fissavano la vetrina e: “mmm sì..” - “beh…” - “ma dici che…” - “no, lì no…” - “il prezzo?” - “non so, forse 25k” (k pronunciato k, perché fa figo non per altro). L’oggetto del loro desiderio era un baule LV sormontato da due bottiglie liberty, o magari erano proprio le bottiglie ad essere nel mirino, non lo sapremo mai, i due proseguirono lasciandosi alle spalle un alone mistico di Narciso Rodriguez..

Filippo era stanco ma non abbastanza per andare a dormire, pensieri pesanti lo preoccupavano: “ma il mascarpone meglio con il cioccolato fuso o a gocce?’”, “dovrei? non dovrei? ma se posso…”, “Jung o Freud?”, “le ciglia vanno infoltite a ciuffi o con la striscia?”, “che ci faccio qui?”.

Ecco l’ultima era la domanda più insidiosa., “che ci faccio qui?”.

Dall’angolo sulla destra del Tabacchi sbucò un bimbetto, era solo nonostante l’ora tarda, guardò FIlippo con fare tra l’interrogativo e il giudicante: “Che ci fai qui dici? Ci fai che ti va, ci fai che hai pensato questa fosse la cosa meno noiosa di una serata noiosa che hai deciso di fare, ci fai che l’abitudine ti rassicura nonostante tu sia innamorato dell’imprevisto, ci fai che forse avevi fame, ci fai che perché non qui? Vedi FIlippo quante risposte per la stessa domanda?”

Il bimbotto girò sulla sinistra e scomparve. Filippo basito si fermò un attimo, controllò di non essersi addormentato con le scarpe sul divano ed essere preda di sogni alcolici, stava quasi per entrare a comprare il baule ma si ricordò giusto in tempo di non avere 25k nel portafogli, perciò desistette.

Una musica dolce accarezzava i giovani seduti ai tavolini del “Café de Paris”, due di loro si baciavano a bestia, altri due si guardavano, un gruppetto da quattro stava organizzando un’orgia per il dopo cena, nel tavolino rotondo di fianco ad una lampada rococò il bimbotto degustava vermut rosso, guardò FIlippo che passava li a fianco, un cenno di saluto, in alto il bicchiere e: “ciao Filippo, ricordati di vivere…. ma soprattutto ricordati di offrirmi il vermut”..

“Certamente” - rispose Filippo - “ca va sans dire”.




L’aglio nel ragù

Ma Giorgio, vi ricordate di lui? Se ne scriveva qui qualche giorno fa…. ecco Giorgio… si proprio lui… chi è davvero Giorgio, ammesso che esista?

Bene, proviamo a raccontare un altro pezzetto….

Quel giorno tirava vento, ma proprio un vento della madonna, una roba assurda, una roba tipo… sì insomma tipo oggi. 

Il nostro stava sorseggiando un vinello fresco e degustava delicati stuzzichini…. anche se sarebbe stato molto più corretto scrivere “beveva vino, mangiava tramezzini e panini al salame come non ci fosse un domani visto che non toccava praticamente cibo da due giorni”, però avrebbe fatto molto meno narrazione e molto più uomo qualunque… e il profilo di Giorgio ne avrebbe risentito, quindi sorseggiava e degustava, punto.

E fu allora che ricevette un messaggio: “se fossimo lineari, ci saremmo vicendevolmente annoiati🤷‍♀️“.

Fu esitazione, direi dubbio, certamente sorpresa, non pensò ad un errore perché sapeva che il mittente non sbagliava mai, quindi rilesse, ordinò un altro bicchiere e due noccioline, ché le noccioline con i tramezzini sono la morte sua… ed aggiunse “ce l’hai un po’ di parmigiano per favore?!”, ché pure il parmigiano ha il suo perché..

Lineare Giorgio effettivamente non lo era stato mai, grassoccio sì, abbronzato a volte, serio abbastanza, di buon gusto pure, educato anche, fedele absolutely, ma lineare in effetti no, proprio non era una delle sue qualità, e nemmeno uno dei suoi tanti difetti. Nonostante questo fu sorpreso di ricevere quel messaggio, alle 11.00 di un sabato qualunque di un aprile qualunque tipo oggi, Quindi pensò.

Il messaggio proveniva da Ancilla, classe 1979, “lavoratrice indefessa e sposa amorevole”, intelligente e profonda con risacche di non detto, amica fraterna di Giorgio da una vita, anche se da sei anni né si vedevano né si sentivano, forse problemi di linea telefonica e traffico dati, un classico di questi tempi. 

“Dove sei? Mi raggiungi?” fu la risposta.

“Arrivo” 

“Arrivi dove? Se non sai nemmeno dove ho parcheggiato l’auto!”

“Inviami la posizione”

“Come facevi tu di solito?”

“No quella vera stavolta, ho un problema, voglio parlartene”.

Ancilla aveva un problema e dopo sei anni, per risolverlo o anche solo per sfogarsi, voleva raccontarlo a Giorgio.

Raccontarlo a lui? Lui che di problemi ne aveva almeno 36 quel giorno? Lui che 16 finti, 8 risolvibili, 4 no, 3 forse, 2 erano altrui, 1 se lo era dimenticato, 1 era amletico e per l’ultimo infine serviva la Sambuca. 

“Manno cheppalle, e io che pensavo mi scrivesse per chiedermi di sposarla…”, pensò, ma poi “Posizione inviata”.

Ancilla arrivò alle 12.15, Giorgio aveva solo pochi minuti che alle 13 suonava la campanella del fine turno alla “fratelli Rosselli” di Boncellino a Mare e doveva andare a prendere il figlio di Elena, glielo aveva promesso, terminava di lavorare proprio a quell’ora e la sua auto era stata sequestrata per via di quella storia della guida in stato di ebrezza. “Concilia?”, e il giovane aveva conciliato, ma non servì a evitargli il ritiro della patente, ed ecco che per Giorgio si era materializzato il 37esimo problema, catalogabile tra i facilmente risolvibili certo, ma pur sempre un problema.

“Avevo voglia di vederti”

“Ma non hai detto che avevi un problema?”

“Appunto, non ti sembra un problema questo?”

“Beh effettivamente sì, ma come posso risolverlo?”

“Non puoi”

“Quindi?”

“Offri un bicchiere pure a me?”

“Non lo so..”

“Un bianco per favore, grazie, paga lui”

“Ma sono passati sei anni?”

“E allora?”

“Beh in effetti…”

Il vento non accennava a diminuire, est-sud-est, 48km orari, la polvere si lasciava trasportare nel vino e sul panino al salame, ecco il 38esimo problema….

“Perché avevi voglia di vedermi oggi?”

“Così”

“Così non è una risposta”

“Vuoi che menta?”

“Sì”

“Perché oggi è maggio, e a maggio il mondo è bello e pieno di colori e ancora sugli alberi ci sono solo fiori”

“Oggi è aprile”

“È vero, ma mi hai chiesto di mentire”

Ad Ancilla la logica non aveva mai fatto difetto.

“È tardi sai, devo andare, mi aspetta il figlio di Elena, sai la patente…”

“Mi è piaciuto sai?”

“Rivedermi?”

“No, il vino. Ti chiamo in settimana, ne voglio un altro bicchiere”

Giorgio salì in auto, non tirava più vento, era ancora aprile, due passi da un anno in più, Elena chiamò: “tutto bene con Enzo, sei già lì?!”

“Sto andando, stai serena, ha 27 anni, credo non corra il rischio di essere rapito all’uscita dal lavoro”

“Hai ragione, ti fermi a pranzo da noi?”

“Dipende”

“Da cosa?”

“Hai messo l’aglio nel ragù?!”


Racconti di una sera a cavallo tra due stagioni


Polpettine di coda di rospo in salsa di carote profumata allo zenzero, patate gentili delicatamente arrostite, una ribolla gialla 2020 Collio, un gruppettino silenzioso ed agée lato sud est della sala da pranzo, una coppia clandestina (che si capiva chiaramente dalla gonna di lei e dalla posizione della gamba tesa e pronta allo scatto di lui) nel tavolo rotondo vista ingresso lato toilette, candele qua e là, una lampada ad incandescenza, musica jazz soffusa tutta tromba e jam session a fare da colonna sonora, ed ecco descritta la soirée di Giorgio.

"Il Pesce Innamorato", così si chiamava il locale, fuori mano, fuori stagione, fuori porta, fuori tempo, vista alberghi che solo dopo vista mare, Giorgio lo frequentava di tanto in quanto, quella sera era venerdì, lui era solo, gli altri apparentemente no. 

Sofia, la cameriera con le tette grosse e lo sguardo gentile di chi conosce i congiuntivi, si avvicinò discreta come al solito, il sorriso delicato di chi ricorda i dettagli e: "una lacrima ghiaccio e mosca?" - "certo Sofia, grazie". Il rapporto tra Giorgio e la Sambuca è sempre stato enigmatico, nessuno che abbia mai capito cosa ci trovasse davvero, il profumo di Anice lo infastidiva., e secondo me il profumo di Giorgio infastidiva la Sambuca.

Fu proprio sorseggiando la Molinari che si accorse di lei, alta, jeans blu aderente ma con stile, cardigan color champagne ambrato, sotto seta blu, capello lungo castano avvolgente, mani ben curate, sguardo rapido, un anello platino sull'indice della sinistra, un velo di tristezza, lo stivaletto tacco dieci, le gambe lunghe, il conto da pagare, la carta di credito, la porta che si apre, lei che esce, pluff, finito.

"Ma dove se ne stava seduta? E da quanto poi? E checcazzo era sola!", sono queste le due domande tipo e l'esclamazione standard che l'avventore medio di un ordinario venerdì sera si fa in queste occasioni, Giorgio invece restò in silenzio, chiese il conto, indugiò per un attimo ancora su di lei che si stava allontanando senza fretta, salutò Sofia ed uscì pure lui.

Sul tratto di spiaggia libera zona molo di fronte all'ancora quella sera avrebbero bruciato la fogheraccia, la sera prima della festa del papà, a cavallo tra due stagioni. Giorgio aveva deciso di andare, poco importa se non aveva la scarpa da sabbia e l'aplomb del lupo di mare a riposo, a lui il fuoco piaceva, piaceva da sempre, amava tutto quel bruciare di passioni, di emozioni, di rabbia, di sogni, di tempo, tra fiamme che fanno l'amore partorendo scintille e regalando calore. 

Dal muretto lato scogli lo spettacolo era davvero bello, direi incandescente, il crepitio della legna ardente metteva allegria, l'aria sapeva di salsedine arrosto e fragole.  

"Buona la Ribolla?!"

Giorgio ancora una volta si accorse di lei solo quando se la trovò di fianco, stava sorridendo, si sistemò a trentaquattro cm da lui, gomiti sul muretto, viso sulle mani, lo guardava.

"Ciao" - disse Giorgio. "Ciao" disse lei.

A volte ci sono cose che iniziano per caso, proseguono per caso, finiscono in meno di niente, lasciano un retrogusto di cioccolato fondente 70%, e il giorno dopo ci si chiede se sia successo davvero, convincendosi che probabilmente no, non é successo davvero nulla perché nulla mai succede davvero davvero. Tra loro andò così.

Il buffet della colazione era abbondante, i quotidiani pure, Giorgio però si accontentò di un caffè americano, anzi in realtà non so se si accontentò o proprio quello voleva, conoscendolo propendo per la seconda, ed è pure più grave perché dico io: "visto che la paghi approfittane, quando ti ricapitano pancake con sciroppo d'acero e uova al bacon?"

Oreste, il concierge dello Sporting, si avvicinò discreto: "la signora è uscita presto, mi ha pregato di darle questo" - "Grazie Oreste" - "Si figuri".

Giorgio si ritrovò tra le mani un bigliettino color avorio, la carta leggermente ruvida era stata strappata da un taccuino toscano, si capiva dall'odore: "non chiederti perché, non importa, le cose a volte succedono a volte no, ciò che conta è l'intensità. Ciao M."

Non credo che il nostro protagonista sia stato molto d'accordo con sta roba qua, anzi azzarderei senza paura di essere smentito che a lui proprio sia sembrata una stronzata sesquipedale, perché si va bene "le cose succedono", e va bene anche "per caso", e va bene pure che non succedano mai, e figuriamoci se non va benissimo l'intensità, ma tutto sto casino solo per una notte beh... insomma... 

Il bigliettino però all’alba del decimo giorno non l'aveva ancora gettato, anzi lo custodiva gelosamente a mo' di reliquia, di tanto in tanto lo apriva e lo rileggeva... "ciò che conta è l'intensità" Ciao M.". 

Fu la sera del dodicesimo giorno che decise per il distacco definitivo, riportò il bigliettino là dove lo aveva ricevuto, lo riconsegnò ad Oreste perché lo conservasse a futura memoria, non prima però di aver aggiunto un rapido virgolettato: "Minchiate, l'intensità è niente se non le dai il tempo di viverti. L'ho imparato tardi ma l'ho imparato. Ciao G."     

 



  

Gli aggettivi

Non sarà mai tutto perfetto, ma può essere bello, divertente, intenso, colorato, a volte pure triste, fiammante, appassionante, impossibile, coinvolgente, invadente, delicato, ma anche sexy, veloce, lento, improvvisamente noioso, ma pure eccitante, bagnato, caldo, silenzioso, stropicciato come lenzuola dopo l’amore, e perché non anche fragoroso? Poi incomprensibile, confuso e subito dopo splendidamente o paurosamente chiaro, certamente elegante, vero, razionale ed irrazionale allo stesso tempo, umano… sì umano. Quindi complicato, per questo affascinante, perché l’inutile non porta né dubbi né fuochi d’artificio.

Il segreto sta negli aggettivi, sì proprio lì, gli aggettivi, lo sostengo da sempre, tutti quelli che ci stanno, tutti dentro la stessa storia, più sono e più è storia.

Che poi tutti siamo concentrati a definire quello che viviamo, a catalogare, a sostantivare, a questo e quello, al giusto e allo sbagliato, la libertà si e la libertà no, ma perdiamo di vista il senso, lo perdiamo di vista e ce lo lasciamo sfuggire. 

Ed è proprio per evitare di perde il senso che abbiamo bisogno degli aggettivi, ci servono fantastico, troppo, spettacolare, incredibile, suoermegatop, brutto e bruttissimo, terribile, luminosa, fascinosa, Bella al limite della gnoccaggine… vedete come suona diverso?

Una volta “qualificato”, il segreto è correre il rischio, il rischio di vincere o di perdere, tutto insieme, tutto subito, tutto dopo, tutto sempre, ma anche tutto mai ahimè… o ahinoi… o anche solo ahivoi. L’importante però è fare, insistere, provare, e bisogna fare pervicacemente, ostinatamente, follemente, leggermente, insensatamente, senza paura di avere paura, perché tanto quella ci sarà a prescindere, perché solo l’inutile non fa paura.

Le storie galleggiano su un mare di gocce di caso, di fortuna, di scelte sbagliate o giuste o niente., galleggiano su fatti accaduti e non accaduti, ma anche su un sacco di parole, dette e non dette, dette troppo, non dette per nulla.

Ci vuole del culo, ma ci vuole pure chi la fortuna la sfida, anche se a volte lo dimentichiamo, così… …. In una sorta di Alzheimer adolescenziale la cui unica cura è l’incoscienza dell’agire.




Il maritozzo, Erika, il piercing

“Un maritozzo con lo zucchero a grani fini” chiese il bambino alla ragazza del forno, gli occhi furbi e curiosi, nella mano destra stretti stretti un euro e venti centesimi… “grazie”, un sorriso, poi tutto in cartella e di corsa lungo il viale verso la scuola. 

Un pezzetto del maritozzo, quello con più zucchero, lo avrebbe dato a Greta durante la ricreazione, impacciato, forse anche appiccicaticcio, fiero della sua generosità fanciullesca, orgoglioso del rossore sulle guance di Greta. 

Gli scappava la pipì ma resistette: “il bagno può attendere di fronte all’amore”.


Erika, così si chiamava la fanciulla col piercing al naso che se ne stava al telefono poco lontano. 

Alta, mora, asciutta, elegante la faccia da brava ragazza che contrastava col tono di voce aggressivo: “no, io a casa non ci torno manco morta, può pure schiattare per quanto mi riguarda”.

Una lacrima inumidiva però il “può pure schiattare”, chiunque fosse il morituro Erika gli voleva bene, la mano sinistra non avrebbe tremato a quel modo mentre gesticolava.


Le All Star nere camminavano veloci ai piedi di quel cappotto altrettanto nero che si lasciava indossare da una giovane tutta concentrazione e i-pods bianchi. 

Che musica ascolta? Dove va a quest’ora? Perché via Azzo Gardino e non altro? Come si chiama? Quanti anni ha? Suo padre? La scuola? È felice? Molto? Soffre di insonnia? Le piace andare al cinema?

Quante storie viaggiano su di un paio di All Star?


Il campanello non funziona, il telefono non funziona, l’appuntamento in clinica è alle 11.00 come si entra? È tardi, ansia ma non troppo, il problema è loro se vogliono vedermi dovranno aprire, ah no, il problema è mio… sono io il visitando.

Si apre il cancelletto, esce un signore con la bici, è gentile, “prego” - “buongiorno” - “grazie” - “si figuri” - “le pare”… terminati i convenevoli entro, è ancora tardi ma “cause di forza maggiore”, un cedimento nel terreno ha interrotto il contatto, il campanello non funziona, il medico dice “prego” - “grazie” - “le pare” - “si figuri” - “si accomodi”, mi accomodo, ancora convenevoli, ancora indagini, ancora tempo.


“Nex time try the train - Relax - 1975” sta scritto sulla stampa appesa alla parete bianco avorio di fianco il ricevimento, ventiquattro centimetri sopra la ragazza con i ricci castani, gli occhiali fashion, i jeans stretti, le labbra delicate, le mani curate.

Nel 1975 io avevo due anni, lei forse non era stata ancora nemmeno immaginata, the train relax. 

Il treno in effetti mi ha sempre conciliato il sonno, peccato per i “seggiolini” molto scomodi del tempo.


Chissà se Erika rientrerà a casa, io le consiglierei di farlo, magari poi parlano e si sistema, è giovane e speranzosa, piercing a parte pare pure tradizionale, la incontrassi all’uscita le direi: “vai e bacialo, poi magari litigate domani, manco morta domani, a casa no domani, può pure schiattare domani”, e se avessi con me un maritozzo gliene darei un pezzetto, quello con più zucchero, e controllerei il colore delle guance, virassero al rosso sarei certo… Erika sarebbe ritornata a casa.




Storie inventate per il caso sbagliato

Che freddo che faceva quella sera, era ottobre e sembrava inverno, era il mare e sembrava domenica, era finto sembrava bello. 
L'uomo era confuso, la donna decisa, uscirono così quasi per caso, come quasi per caso si conobbero,,, amici di amiche di amici,,, che lui aveva detto a lei che dicesse a loro che forse sì, no anzi no no non lo diciamo a nessuno che non si sa mai che poi pensano ahh... e invece ehh... sì insomma uscirono... così senza virgole né punti né punti e virgola... solo la storia di un rubinetto rotto a fare da sfondo al loro incontro.... sì insomma un groviglio di vite all'improvviso che si sono incrociate per sbaglio.

La tagliata al sangue era dura, le patate al forno assenti, ma la colpa non era di lui, e nemmeno di lei, la cameriera russa ante sanzioni l'Italiano non lo capiva.
L'uomo manco se ne accorse a dire il vero, oltre ad essere confuso era distratto, non pensava al cibo, pensava a lei; non pensava al vino, pensava a lei; non pensava al rubinetto rotto, pensava a lei; non pensava al freddo, pensava a lei.
Che poi direte voi che state leggendo questa storia senza capo né coda: "io qui non ci sto a capire un cazzo", e avete ragione, non capisco nemmeno io che sono il narratore, ma non preoccupatevi e provate a seguirmi ugualmente! 

La sera filò liscia… adagiata su un fiume di parole e sorrisi, di sguardi e pensieri, di curiosità e illusioni, di confessioni e segreti, di "ma che ci faccio qui" che scivolarono via in mezzo a qualche "però è bella però". 
Si raccontarono di tutto, si raccontarono un sacco, forse si raccontarono pure troppo, lui di più, lei di meno, ma in fondo è sempre così, c'è sempre un di più e sempre un di meno in tutte le cose, non è grave è un fatto.

Lei sfoggiava belle gambe ed occhi intensi e non riusciva a nascondere quell'inquieta e fascinosa serenità. che l'avrebbe accompagnata anche nelle settimane a venire.
Lui indossava jeans stretti ed un espressione allegra che credeva di aver smarrito nel 1947, non riusciva a nascondere quella pancia pronunciata che lo avrebbe accompagnato anche negli anni a venire.
Erano una coppia parecchio mal assortita (questo però allora ancora non si sapeva), qualcuno sbagliando disse bella., la cameriera disse "vrei desert", non era russa, era rumena.

Poi due passi a seguire, il profumo del mare, il ticchettio di tacchi veloci, quel velo di leggero imbarazzo sciolto solo dal sangiovese che sì è buono però infiamma, la voglia di avere voglia, le mani che vorrebbero sfiorarsi "ma no aspetta ancora un attimo va che non siamo mica sicure sia cerebralmente igienico", le labbra che vorrebbero smettere di parlare per cercare furtivamente anche solo un istante di umidiccia felicità, ecco credo (e lo dico da narratore) che quei dieci minuti lì che seguono la prima cena della prima sera del primo giorno dell'inizio della fine, siano quanto di più bello possa capitare ad uno uomo e ad una donna.
Se la tagliata non fa proprio ribrezzo quei dieci minuti lì, possono far cadere almeno l'85% delle barriere e dei preconcetti atavici insiti nell'animo di un essere normodotato di sesso M o sesso F (buttare così delle frasi finto erudite a cazzo fa un certo effetto sul lettore medio - nda), e così accadde anche per loro e sarebbe stato pure fantastico, credo sempre io, se non fosse mancato quel 15% che serviva per fare l'intero.

Ecco sì l'intero, evidentemente non basta un bicchiere di vino a martedì alterni per fare l'intero, serve altro, servirebbero almeno un giovedì ogni due, un venerdì ogni tre, un sabato, un pomeriggio, una mattina, la domenica, la notte, un cuscino, un week end fuori porta-fuori mano-fuori di testa, gennaio-febbraio-estate-primavera-ferie.... la passione, ah sì la passione quella win-win, quella vera, quella che parte dall'ipotalamo, raggiunge il ventricolo destro e straborda nella pancia dell'altro, quella che spesso "conduce a soddisfare le proprie voglie, senza curarsi se il concupito ha il cuore libero o pure ha moglie".
Si la voglia, la voglia di aversi voglia, come in quel parcheggio in macchina alla fine di ogni volta ma moltiplicato per 365 ore e 24 giorni. e sborantamila minuti. 
Ecco è anche così che si fa l'intero., è anche quello che è mancato davvero.

Quei due lì io li incontrai sulla collina, fu allora che mi raccontarono la loro dis-avventura, tirava vento e faceva di nuovo freddo ed un fuocherello a legna tutto fumo e niente calore stava contrastando il nulla, tutto quasi chiuso perché tutto troppo tardi (era un segno sì), una golf cart verde pisello scuro solcava viuzze medioevali, era romantico.
Lui sorrideva e lei pensava... ad altro? A questo o a quello? Non si sa e non importa nemmeno saperlo ora… 
Sorseggiavano gin tonic e sangiovese (sempre il solito sangiovese, cheppalle in effetti🤣) mi dissero che sarebbero andati via di lì a poco perché avevano urgenza che il dopo fosse fantastico il prima possibile.
Sarebbe stato uno degli ultimi dopo.
Fantastico lo fu … … ma non abbastanza.