Il bravo ragazzo dal cuore spezzato che vorrebbe diventare maledetto...

Questo è un esperimento, è uno scritto su commissione, è la prima volta che lo faccio, non so se sono capace, però “F” mi ha chiesto qualche giorno fa: “…ora però devi parlare del bravo ragazzo dal cuore spezzato che diventa un maledetto!”.

Perché l’abbia chiesto a me lo ignoro, io non ho competenza in materia, non sono mica diventato un maledetto, sono un bravo ragazzo, un po’ usato forse, ma bravo, mi hanno pure regalato una medaglietta con su inciso “Bravo Ragazzo”, e si sa scripta manent…. Però l’ha chiesto a me, e  visto che non mi tiro mai indietro provo a fare un due tre ragionamenti.
Il tema è spinoso perché si rischia di cadere nel parlare troppo dell’una o dell’altra cosa, troppo del bravo ragazzo e delle sue caratteristiche o troppo del cuore che si spezza, perdendo di vista il punto focale: “il bravo ragazzo può diventare maledetto?”.

Io voglio partire da un assunto, perché mi piace avere dei punti fermi, almeno in teoria : bravi si nasce, cattivi pure, i cambiamenti sono apparenti e dettati dalla convenienza o dalla difficoltà del momento.
Il più flessibile dei due è certo il maledetto, è quello “più disposto” a fingere di cambiare per ottenere ciò che vuole, il maledetto sa essere romantico, rude, scostante, presente, sfuggente, fuggitivo, difensore degli oppressi, poeta, esperto di calcio, un modaiolo con i jeans biodegradabili e la spilletta di Greenpeace, si trova a suo agio in società come in terza classe nella metropolitana di Napoli, sempre un po’ snob, aristocraticamente snob ma con il capello lungo, che si vede che ha sofferto dalla cicatrice che ha sullo zigomo sinistro, appena appena sottolineata da un velo di fondotinta, un passato da sportivo di successo ora seniores nella locale squadra di qualsivoglia sport.

Al maledetto il cuore non si spezza, è flessibile, al massimo si piega: “…quella donna (mai ragazza, sempre donna – nda) mi ha piegato il cuore…” . Questo è il suo vantaggio, cuore flessibile che si adatta alla situazione, volto sempre sofferente con una velatura di mistero e l’ironia tagliente di chi lascia le battute sempre a metà ma tutti ridono ugualmente.
Quindi diventare così partendo da tutt’altro è cosa niente affatto semplice.

Sì perché il bravo ragazzo è invece rigido. Lui fa le cose per bene, dice per favore-grazie-prego, sorride educatamente, dice “scusi signorina”, buongiorno e buonasera, “posso entrare?”, “disturbo?”, offre la cena, il caffè, l’aperitivo, il long-drink, sì lo so che questo spesso lo fa pure il maledetto, ma il bravo ragazzo lo fa anche dopo che la lei di turno “gliel’ha data”, il maledetto solo prima. No non sono un qualunquista, fate una statistica, al massimo dopo la terza volta il maledetto ha dimenticato a casa il portafogli. Altra differenza abissale è il “ti amo”, il bravo ragazzo dice “ti amo” dopo il primo bacio con la lingua, spesso anche dopo il primo bacio sulla guancia, e lo dice convinto, il maledetto invece dice “ti amerei, ma…”, e lo dice l’ultima volta che vede una donna, quando deve spiegare che le vuole troppo bene per restare con lei, lei che merita molto di più… (il maledetto questo l’ha imparato dalle donne, prima dicono sta minchiata poi passano al silenzio chiarificatore, ma questa è un’altra storia…). Ecco allora che quando una storia finisce il maledetto-flessibile in questo modo lascia sempre una porta aperta, un pertugio da cui eventualmente riaffacciarsi, il bravo ragazzo rigido invece, avendo dato tutto l’assoluto che aveva nei primi cinque minuti, si auto-squalifica da solo. Ma la differenza prima è che il maledetto spezza, il bravo ragazzo si fa spezzare.
Ed ecco allora che arriviamo al secondo elemento: il cuore spezzato. Il cuore spezzato è una roba grave,  si perché fa sofferenza vera, fa insonnia, fa tachicardia, fa Xanax, fa telefonate patetiche che riascoltate a mente fredda farebbero venir voglia di tentare il suicidio per la vergogna, fa crisi di gelosia convulsa con spasmo addominale, fa errore continuo, fa fuggire l’80% delle persone che stanno attorno (l’altro 20% dice sempre di sì ma non ascolta una parola di ciò che il cuore spezzato dice), fa melodramma, e tutto quello che può venirvi in mente.

Quindi bravo ragazzo rigido con cuore spezzato ad un certo punto, solitamente dopo un periodo di tempo variabile che verosimilmente è pari a quanto è durata la storia che ha prodotto il disastro, decide che è ora di basta. E dice: “Ah sì!!!” – dice proprio così: “Ah sì!!” – “Ah sì, bene, adesso basta! Adesso si cambia, ora esco e poi zac… se è capace lei sono capace anch’io”, che lo sa perfettamente che non è vero ma ci crede un casino, ci crede come quando dice “ti amo”, e allora inizia la sua improbabile collezione. La partenza è sempre ambiziosa, si lancia sulla strafiga di turno, che irrimediabilmente lo snobba, dopo tre tentativi falliti si lancia sulla normale (single o non single non importa) che da un po’ di corda, perché “lo spezzato” (chiamiamolo così per semplicità) si impegna, vuole raggiungere l’obiettivo, è attento, e la ragazza abbozza, le piace farsi corteggiare con tanta insistenza, lo annusa e cerca di capire, al che possono succedere due cose: ci sta, non ci sta. Se ci sta, “lo spezzato” ha un bisogno impellente di raccontarlo a tutti: “Hai visto è? Sono capace anch’io, e lei… poverina… mi spiace, mi ha solo incontrato sulla sua strada…”. Se non ci sta scende ancora di uno scalino, un mio vecchio amico diceva: “il leone colpisce la gazzella zoppa quando ha fame..”, lo so che il paragone è azzardato e potrebbe aumentare il disprezzo che le donne stanno iniziando a provare per questa storia, ma chi me lo raccontava era un maledetto vero, forse un po’ troppo maledetto ma la sapeva lunga. Quindi dicevo scende di uno scalino e non scarta più nulla: “spezzato razzolatore folle con la testa sempre e comunque da un’altra parte”.
Poi irrimediabilmente capita un fatto, un fatto grave, nel suo continuo e spericolato razzolare “lo spezzato” ad un certo punto inciampa in una ragazza che… che… che ad un certo punto lo bacia, ma lo bacia  guardandolo negli occhi, con una certa intensità,  e lui all’improvviso, cianotico e  balbettante, inizia con: “Grazie, posso offrirti qualcosa da bere? Hai caldo? Hai freddo? Andiamo a cena, ti passo a prendere alle 19.00? Alle 20.00? Alle 21.00? Dimmi tu, quando vuoi. Hai visto quel pulloverino in vetrina, ti piace, posso regalartene tre? Sei bella sai? Molto. Sei dolcissima sai? Molto. Sei un casino sai? Molto”.

Nooo, di nuovo, dopo averla riaccompagnata a casa, la prima sera, con lei che non gliel’ha ancora data, lui le scrive prima di addormentarsi un: “Ti amo sai?! Molto”, ed è finita, “lo spezzato” inizia il nuovo circolo vizioso, fatto di rigidità e cecità, con il suo cuore che si appresta a rimediare una nuova profondo crepa.
Ecco “F”, spero di averti risposto, e comunque per fortuna che io mi sono innamorato solo due volte per ora… perché lo sai che io sono bravo, me l’hanno detto, e questa sarebbe la mia fine. Forse…

L'epopea del bravo ragazzo e il bastardo maledetto


Non va più… il bravo ragazzo non va più…  probabilmente non è mai andato,  anzi togliamo pure probabilmente:  il bravo ragazzo non è mai andato. 
Sì… le mamme c’hanno provato e ci provano a cercare di venderlo come occasione da non perdere, sia le mamme dei presunti “bravi ragazzi” che le mamme delle presunte “aspiranti fidanzate di bravi ragazze”, tutte coalizzate per favorire il maritazzo, con le mamme di lui a spiegare: “Guarda che è un’ occasione, tu sei un po’ semplice, se non la prendi al volo mica ti ricapita, non fare lo scemo, devi dire sì” e le mamme di lei a insistere: “Guarda che è un’occasione, lui è un po’ semplice, se tu non fossi mia figlia ti direi che sei un po’ zoccola, però fidati, non lo lasciar scappare, che tanto poi fai quello che ti pare dopo il secondo figlio…”.  E si badi…  molte storie si sono pure formalizzate in fidanzamenti ufficiali, qualcun’altra è servita a far recuperare la storia precedente, qualcuna ha partorito pure matrimonio e figli,  mica per l’intervento delle mamme no...  è chiaro, ma perché lei (lei… la parte femmina della futura coppia) una sera che era triste e sconsolata e disperata,  perché l’altro, il maledetto-bastardo-figlio di brava donna-con il male di vivere che gli scorre nelle vene ha preferito uscire con la sua migliore amica (sua di lei intendo…), ecco una sera di quelle, dopo aver detto in bagno, piangendo e guardandosi allo specchio: “basta, adesso basta, vado con il primo che capita”, che non è una novità in assoluto ma in quella situazione fa atmosfera, ecco dopo aver detto questo, ha incontrato fuori dalla porta di casa il “bravo ragazzo”.
Il bravo ragazzo c’ha normalmente l’impermeabile. Beige. E la sciarpa… grigia. E le scarpe con la suola di gomma che così non scivola pure se c’è ghiaccio, e il fazzoletto di cotone nella tasca del jeans a vita alta, e la riga da una parte, oppure il gel sul capello corto senza eccessi. E lo sguardo buono, e la voce bassa, pacata, modesta, non invadente.  E quando il bravo ragazzo vede la ragazza “lacrimante”, le offre il suo fazzoletto per consentirle di asciugarsi le lacrime, e aggiunge: “Fa freddo, non è bello piangere per strada, andiamo a prendere un the così mi racconti cos’è successo ché non lo sopporto di vederti in questo stato…”, e lo dice delicatamente, in un buon Italiano, sintassi genuina ma discretamente forbita, rassicurante.

La ragazza sulle prime si lascia pure avvolgere da questo inaspettato tocco di dolcezza, sincero eh… attenzione! Mica un paraculo maledetto,  semplicemente e sinceramente preoccupato di quelle lacrime.  E oltre a farsi avvolgere si crogiola pure, sì, delicatamente crogiolata, che sarà  un po’ il the caldo, un po’ le lacrime amare, un po’ la zoccola della sua ex migliore amica, che normalmente, subito dopo, si lascia pure andare in un: “sai che si sta molto bene con te? Sai che è stata una fortuna averti incontrato proprio oggi? Sai che non mi era mai capitato di provare una sensazione del genere”.
Ecco a questa frase, “…non mi era mai capitato di provare una sensazione del genere…”, il bravo ragazzo perde ogni tipo di razionalità. Ci crede, ci crede davvero il poveretto, perché il bravo ragazzo è sincero, se lui dice una cosa la dice perché la pensa, se lui fa una cosa la fa perché la vuole davvero, e poi ha voglia di sentirselo dire, ha voglia di sentirsi dire “..non mi era mai capitato…” da una splendida ragazza mora con gli occhi vissuti e le labbra carnose, ha voglia di pensare: “ecco me l’avevano detto che quando meno te l’aspetti arriva…”, ha voglia di pensarci e di crederci. Il bravo ragazzo è semplice, l’abbiamo già detto, e in quanto semplice crede, crede nella giustizia del mondo, nel bene per il bene, nell’amore per l’amore… (ah crede nell’amore il tapino!!) e nei miracoli. Sì, crede nei miracoli… San Bravo Ragazzo.  

Ecco allora per un attimo ritorniamo invece al maledetto in compagnia della migliore amica, che lui al contrario del bravo ragazzo “va sempre”, il bravo ragazzo non va, il maledetto va sempre, ripetuto due volte per dare enfasi.  Il maledetto di solito appena ha finito di occuparsi dell’amica la scarica, non la scarica nel senso de  “la molla”, la scarica nel senso di la porta sotto casa e la fa scendere, oppure se era in casa di lei è lui ad allontanarsi con finto e struggente dolore, dicendo in entrambi i casi una frase che fa più o meno così: “…bene, sono stato bene stasera, come non mi succedeva da troppo-tanto-tantissimo tempo… però… sai… è terribile, è  terribile… è dura…”, e lei: “Dimmi, cosa è dura? Sono qui per ascoltarti…”, e lui: “Guarda no, non potresti capire adesso, non voglio rovinare questa splendida serata…. sei troppo speciale… sei troppo unica… sei troppo importante, non voglio rovinare tutto…. ne parleremo… ora vai, vai e pensa a me, io resterò un po’ solo… ho bisogno di pensare…”, e lei: “capisco a domani… amor… scusa, dicevo solo… a domani…”, e lui: “…ti chiamo, notte…”.
Appena lei è scesa (o lui è uscito), scatta il messaggio maledetto all’altra (l’amica del the con il bravo ragazzo): “…ho provato a fare a meno di te, non ci riesco, lo so che è troppo tardi, però è giusto che io te lo dica…”.

Il bravo ragazzo è già morto. Affogato nel the. Il bravo ragazzo il giorno dopo scrive a lei: “Come stai? Passata?”, e lei risponde all’altro: “Stasera ci sono, passi da me?”. Il bravo ragazzo dopo un po’ insiste: “So che stai lavorando e sei impegnata, però volevo solo dirti che ti penso”, e lei risponde all’altro: “Stasera ti rovino, dovrai implorarmi di smettere”. Il bravo ragazzo in pausa pranzo, dopo sei ore di mancate risposte: “Ehi, tutto bene? Io sono qui… se vuoi, ti ascolto”, e lei risponde, mentre è già in macchina con il maledetto: “Ciao, oggi giornata difficile, sto pensando, sei davvero dolce, però ora ho bisogno di stare un po’ sola, devo ricaricarmi, ci sentiamo nei prossimi giorni, ti chiamo io, grazie eh? Grazie davvero”. E il bravo ragazzo: “Quando vuoi, capisco, è dura, tu sappi però che io ci sono”.
Il bravo ragazzo indossa l’impermeabile beige e scende al bar di sotto a mangiare un panino, lei invece toglie l’impermeabile e sale in casa di lui (il maledetto)… non ha fame…

I bravi ragazzi non vanno più….

Voglia e bisogno...

Lo spunto per scrivere questo racconto mi è venuto qualche giorno fa, vado solo ora che ho anche la febbre e forse sono in delirio perché prima non ho avuto tempo, non pensate a qualche arcana ragione per cui ho atteso il momento giusto, era giusto anche qualche giorno fa.

A interrogarmi su quanto seguirà mi ha convinto una mia amica on-line, che qualche volta sono riuscito ad incontrare pure dal vero, la quale dopo aver  letto il mio post su FB in cui dicevo che tra voglia e bisogno c’è un abisso,  mi ha scritto più o meno così: “sto cercando di ubriacarmi, mi serve del vino…”. In realtà secondo me lei non voleva ubriacarsi per questa cosa, ma dato che io sono un egocentrico che si crede motore dell’universo, sono abituato a millantare, che ai fini della storia fa molta più scena.... sì perché ti da un’aria da protagonista che alla fine sta sempre bene.
Ecco però che si deve fare una premessa, sì perché credo che il messaggio non sia passato come io lo intendevo, prima di tutto si deve capire bene che cos’è “bisogno” e che cos’è ”voglia” e per farlo mi servirò di quanto mi disse molto tempo fa un'altra mia amica con i tacchi: “Non ho voglia di vederti… ne ho proprio bisogno!”. E forse ci sarebbero voluti anche due punti esclamativi anziché uno per dare più enfasi.

Ora non voglio raccontare di quella storia ché non ha senso né raccontarla e né tantomeno farlo adesso, però se rileggerete la frase tutta di un fiato, senza pausa sui puntini che servono solo per un fine estetico letterario, bè ecco vi renderete conto della enorme differenza. Si capisce subito  che cos’è bisogno e che cos’è voglia.
E si capisce subito che non è: “ho bisogno che mi vai a comprare il detersivo al Conad perché c’è l’offerta e io ho la macchina dal gommista”, è qualcosa di molto diverso. E’ piuttosto: “ho bisogno che mi fai entrare aria nei polmoni perché altrimenti non riesco più a respirare e sai che se non respiro non sto affatto bene? E sai che l’aria come la fai entrare tu non la fa entrare nessuno? Anzi sai che  nessuno la fa entrare?”. Ecco il detersivo in offerta è importante ma l’ossigeno di più. E non fermatevi a riflettere sul è vero o non è vero, non è importante questo, è il concetto quello che conta.

Poi c’è la voglia. La voglia nel rapporto uomo donna può assumere diverse sfaccettature, ad esempio una potrebbe essere: “ho voglia di trombare oggi pomeriggio”, e questo solitamente lo dice l’uomo,  anche se non sempre e soprattutto sempre di meno, e sarebbe bene aggiungesse pure “con te”, perché altrimenti il desiderio avrebbe tutto un altro sapore. E non dico che sia brutto avere voglia di passare una piacevole mezz’ora in compagnia della propria ragazza  per condividere le vette sublimi del piacere terreno (mi sento vivo quando mi lascio andare a questi azzardi poetici! E in prima battuta avevo scritto compagna ma da quando ha vinto Renzi è meglio non esagerare, poi avevo scritto anche un'ora ma è meglio non creare troppa aspettativa che poi c'è da far brutta figura ). No non è brutto aver questo tipo di voglia, se però con il tono della frase di prima qualcuno vi dicesse: “ho assolutamente bisogno di trombare con te questa mattina!” e  ve lo dicesse mentre siete in ufficio, oppure in fila al Conad alla ricerca del  detersivo, o dal gommista, o sotto ad un albero del viale della stazione, o in uno scantinato pieno di scatoloni polverosi e pure un po’ sudaticci, bè si capisce subito che è tutta un’altra cosa. Se poi ve lo dice il gommista è diverso ancora.
La voglia è anche: “ho voglia di vederti sai? Sono già tre ore piene che non ci incontriamo, cosa dici vengo?”, è bello certo, è molto bello, anche se la chiamata arriva mentre siete in fila alla cassa a pagare il detersivo. Ma vi immaginate che cosa significa invece: “ho bisogno di vederti subito, anzi avrei avuto bisogno di vederti già mezz’ora fa, non pensare ti chieda se posso venire perché sono già arrivato”? Daiiii la differenza è abissale, non c’è storia, neanche se lui o lei arrivano e dalla foga fanno cadere il fustino.

Ecco credo non sia necessario spiegare oltre, credo che questi tre quattro banalissimi esempi rendano l’idea, se proprio non fosse chiaro provate a pensare al post, non post su FB,  il post nel senso di dopo, il post bisogno, quando successo il fatto vi accorgerete che la voglia è passata dopo la soddisfazione, almeno per un po’, mentre il bisogno resta, forse anche troppo.
Poi se domani riceverete un messaggio con su-scritto: “ho voglia di trombare con te”, ecco non state a litigare per colpa mia, c’è un abisso è vero, però poi non si può avere sempre tutto dalla vita!!!

Statistiche

Un'amica mi ha chiesto: "quale il racconto che hai scritto che ti piace di meno e quello che ti piace di più?".
Il più vero e profetico "il signor tentenna".
La cazzata più colossale "i fidanzati sul divano".

L'amore è eterno finchè dura...

“L’amore è eterno… finchè dura…”

Sì, lo so,  il titolo non è originale, l’hanno già usato, anzi direi già abusato, però che volete… è martedì, è novembre e fuori fa umido…
Se di sta cosa ne parlassi con Luì mi direbbe: “Se è amore dura, eterno è un casino di tempo, però se è amore dura, se non dura non è amore!”. E alla mia obiezione: “Luì, non ne conosco uno che abbia durato in eterno…”, Luì risponderebbe: “Due, se te ne porto due ho ragione, ne bastano due, li conosco, farei un po’ fatica a convincerli che li devo portare da te per una verifica, ma esistono, fidati di me”.

Se ne parlassi con un mio amico, la cui vera identità  celerò dietro lo pseudonimo di “Mister X” (una gran trovata), mi direbbe:  “L’amore non dura, anzi forse non esiste, le parole non costano niente, te l’ho già detto mille volte, e se mi avessi ascoltato avresti evitato un po’ di guai. Esiste l’innamoramento, esiste la voglia di trasgredire, esiste il lo-voglio-e-me-lo-prendo-poi-me-lo-tengo-per-un-po’-finchè-non-mi-sono-accorta-di-averlo-in pugno-quindi-lo-cestino-con-quattro-cazzate (tutto declinato al femminile così per caso), e in corso d’opera può esser stato pure bello, sembrava quasi sentimento, se non proprio sentimento sembrava… sembrava? Insomma sembrava e basta. Quindi non stare a perdere tempo, non ci pensare nemmeno che non fa costrutto”.
Se ne parlassi con un po’ di amiche che ho conosciuto ultimamente, mi direbbero: “Va bene che non è eterno, ma così mi sembra un po’ troppo rapido. Va bene ti capisco, ma una via di mezzo?!”. E alla mia obiezione: “Non esistono le vie di mezzo”, risponderebbero in modo non proprio gentile che non voglio star qui a ripeterlo che non sta bene.

Insomma, ancora una volta, è una questione di punti di vista. Però io credo che  l’amore eterno esista. Cambia nome, con il tempo e con le situazioni l’amore eterno cambia nome, ecco questo sì, questo succede...
All’inizio è “amore 24ore”, e funziona così: “Ti passo a prendere alle 7.30 così ti accompagno in ufficio?”-“7.30? Ma non è tardi, devo entrare alle 9.00? Non riusciamo a stare insieme nemmeno un attimo!”-“Hai ragione, sono da te alle 5.00, sotto casa! Poi pensavo, pausa pranzo verrei a salutarti, mangiamo qualcosa insieme magari?”-“Sì, va bene, così verso le 18 ci possiamo vedere per l’aperitivo” - “Perfetto, però ti riaccompagno presto, così salgo da te, verso le 18.15 magari, si perché sai… ho un po’ voglia di fare l’amore… sono già passate tre ore dall’ultima volta.. e mi piacerebbe provare  sul divano, in cucina, in bagno, nel sottoscala, in giardino, al parco di fronte casa, in macchina come quando avevamo 18 anni, sull’asse da stiro, sulla lavatrice, anzi prima lavatrice poi asse da stiro, in cambusa…” – “Non abbiamo la cambusa” – “Non c’è problema amore, usiamo quella del vicino”.

“L’amore 24ore” può durare dai sei mesi ai tre anni, poi diventa “amore esco un attimo con Giulio/a”. E’ sempre amore ma  funziona così: “Sei tornato presto oggi tesoro?”-“Sì”- sdleng (rumore di ragazza che viene appoggiata dolcemente sul lato interno della porta di casa)- “Ma che cosa fai, dai…” – slacc (con la c dolce, rumore della gonna che cade sul pavimento dopo lungo lancio) – “Ma, guarda… davvero… amore... ora però te la sei cercata…” – stock – (rumore di ragazzo che rovina a terra sul pavimento di fianco alla gonna e per una serie di combinazioni geometriche non riesce più a muoversi da quella posizione per almeno 13 minuti). “Amore mio, scusa se sono rientrato un po’ prima ma avevo bisogno di te oggi” – “Tesoro” – “Cucciolo… ah dimenticavo, stasera verso le otto vado con Giulio a giocare a calcetto, torno presto” – “Non ti preoccupare piccolo, volevo dirti che anche io vado da Giulia, andiamo a bere una cosa, è da una vita che non ci vediamo”.
“L’amore esco un attimo con Giulia/a” dura dai tre ai sette anni, poi diventa “Amore ma Giulio/a dov’è?”. E’ una fase delicata questa, potrebbe sembrare caotica ma ha una sua logica, preserva e fortifica, funziona più o meno così: “Piccola ma mi ha detto Giulio che non ti faceva così preparata a centrocampo, padronanza della palla, dice che giochi a calcetto meglio di un uomo, che ok, non è femminilissimo ma… caspita!” -  “Dai ma perché tu e Giulia non venite a vedere una partita una sera di queste, che fate sempre a parlare di lavoro, scuola, figli, in quel bar poi, ci credo che lei è depressa, mica puoi farle tu da analista, deve distrarsi, dai venite domani..” – “Ok, però ora andiamo a dormire…” – ah-ah-ah-ohh (rumore di effusioni controllate ma non troppo che fanno tranquillità)seguito da “trrr” – “trrr” (rumore di cellulari che vibrano in sincrono per l’arrivo di  sms il cui testo indicativo è: “Notte calciatrice, a domani. Giulio” – “Notte dottore, a domani. Giulia”.

“L’amore ma Giulio/a dov’è?” dura di media dai sette ai dodici anni poi diventa “Amore Giulia e Giulio, chi l’avrebbe mai detto!”. Questa è la  fase più bella, quella del ritorno pieno, dell’amore eterno che si sublima, funziona più o meno così: “’Sai ho visto la figlia di Giulia oggi, domani parte, va a trovare la mamma e Giulio, resta con loro fino a Natale” - “Belli, davvero una bella coppia, si sono trovati, avete fatto bene quella sera a venire a vedere la partita!” – “Sì, dai ma noi restiamo i più forti, dodici anni e ancora qui, innamorati come il primo giorno” – “E’ vero, che bello, che dici, perché non ci facciamo una vacanza, da soli io e te!” – smack (rumore di bacio che parte lentamente ma che a tre quarti ha un’accelerazione improvvisa e si trasforma in slinguata doc) – “Hei tesoro, alla tua età ancora, così… così…” – “Sei tu che mi fai sentire così… così…” -  frou-frou (rumore di lenzuola che si alzano e ricadono ai piedi del letto) – “Hei, sei sempre fantastica, è anche per questo che sono così innamorato di te” – “Amore, bella l’idea della vacanza, però non andiamo da Giulio e Giulia, c’hanno invitato ok, ma sono di una noia ultimamente…” – “Non ci penso nemmeno, sole, mare, Sambuca Molinari, io e te. Come sempre”.

Sì… ho deciso... l’amore può essere eterno.... e così dura... anche dopo dodici anni.

La tristezza del felice...

“Pago un Sauvignon rosso..” – “Quattro euro” – “Grazie… buona serata” – “A te… a presto”.

Aperitivo post ufficio, leggermente forte,  anzi decisamente forte, forte dopo una giornata dura, anzi decisamente dura.
Esco dal locale, la scarpa in cuoio sull’asfalto viscido è molto pericolosa, ho rischiato di schiantarmi a terra almeno dieci volte oggi, scivolata plastica con aria disinvolta, ci mancava solo una “trullallero trallalà” per fingere indifferenza.

Tre gradini, due passi, incontro Fox, un’amica che avevo conosciuto tempo fa con Master….
“Ciao Luì! E’ da tanto!!”

“Ciao Fox, sì è da tanto”
“Hei sei triste? Cos’è quella faccia?”

“Ma no dai, tutto bene, forse la pioggia… e poi ho appena bevuto un calice di sauvignon, il rosso di solito mi commuove, forse è questo!”
“Sìì, certo, il rosso… Ho letto da qualche parte una cosa che dice più o meno che non c’è niente di peggio della tristezza di un felice, sì perché te ne accorgi subito, salta agli occhi. E il tuo sorriso addormentato è chiaro sintomo di questo: sei un felice intristito. Non ti vedo da un mese e me ne sono accorta subito, sarà che ti conosco bene o sarà che sei discretamente espressivo…. ma…  me lo dici perché?”

La tristezza del felice. Che roba è?  E’ una contraddizione in termini? Oppure una malattia? Ci penso… un attimo… ho deciso… è una malattia. Sì, una malattia, una di quelle che non si curano neanche con l’antibiotico, ti prende così, un po’ alla volta, di solito inizia al mattino presto, poi si acutizza in pausa pranzo, e poi alle cinque del pomeriggio, l’ora della febbre, esplode in tutta la sua virulenza. Al massimo si può alleviare con la Novolgina (è una tachipirina vintage!). La notte non ti fa dormire, come il raffreddore, ma fa più male, perché spesso si “mischia” col sogno, si alimenta di libri con una dedica che il tempo ha reso finta, di ricordi, di occhiate al cellulare che sta sul comodino, di cuscini stropicciati.  Servirebbe una flebo.
“..allora me lo dici?”

“Ora mi ricordo perché non ti chiamo da un mese, sei  insistente!”
“Veramente sono io che non ti ho chiamato,  ti ricordi il perché? Mi hai detto che non dovevo affezionarmi a te, non dovevo affezionarmi perché tu eri già molto affezionato a qualcun altra, che non hai detto affezionato, non correggermi che lo so benissimo, ma ho cancellato le parole esatte perché altrimenti ora dovrei menarti e  non preoccuparmi del perché sei triste!”

“Va bè, sono stato sincero. Tu mi hai chiesto di esserlo! Mi preferivi in versione ti racconto della rava e della fava tanto le parole non costano niente e posso dirti quello che voglio che tanto dopo un modo per uscirne lo trovo? Un modo tipo non ti rispondo più al telefono, non rispondo più ai tuoi messaggi, mi faccio vedere in giro con una in piena negatività plausibile? Sarebbe durata ancora sai? Tre, quattro settimane, il tempo di abituarmi e godermi, poi tanto l’abitudine uccide, chi fugge vince,  mi sarei divertito, avrei vinto facile e ti avrei detto che dovevamo smettere perché era giusto soprattutto per te. E tu magari ci avresti pure creduto! C’avrei creduto pure io!!”
“Sai Luì che se poi sei triste mi frega quasi nulla? Starai mica diventando un cinico?”

“Macchè cinico… è solo realismo!”
Il felice che si intristisce diventa  cinico, ha ragione Fox, un cinismo d’avanguardia però, un buon cinico, non è colpa sua, è la vita che l’ha fatto diventare così: distaccato. Distaccato dalla realtà, fisso sui propri pensieri, incurante del resto, un nostalgico, un nostalgico che si credeva forte (che cos’è questo l’ho spiegato nel post precedente), lì seduto a leccarsi le ferite oppure qualche volta a rincorrere avventure al solo scopo di gratificare il proprio ego, un ego triste pure lui, da cui nascono avventure tristi, inevitabilmente tristi.

“Sì, comunque sono triste Fox, non è grave, tranquilla, adesso passa, se non passa adesso passerà domani, sono triste perché sono arrabbiato, perché piove, perché  è grigio e più guardo fuori e più tutto resta così, mi ricordo che una volta i colori cambiavano, il verde diventava più verde, il giallo più giallo, il rosso più rosso… ”
“Ti va un altro sauvignon?”

“Dai perché no, rientriamo?”

“Sì, offri tu però”

La nostalgia è dei deboli? No, non ci credo...

Ho quasi finito di leggere un libro, “Resistere non serve” credo di averne già parlato da qualche parte, poco più di trecento pagine, ho impiegato le prime 70 a capire di cosa raccontava, il senso, il senso della storia, tutto troppo incasinato, non mi piacevano né il senso né la storia, sono andato avanti lo stesso, non riesco quasi mai ad abbandonare un libro prima di averlo finito nemmeno se mi fa schifo, mi sembra un’incompiuta, magari leggo velocemente senza seguire il filo, non memorizzo i nomi né i luoghi né il significato delle frasi, ma vado avanti. E’ un difetto, lo so, anche un po’ stupido, chi mi obbliga a proseguire in qualcosa che non mi piace? Mah… nessuno fondamentalmente se non il mio carattere un po’ sciocco (lo faccio solo con i libri però!!).  Non vi racconto del libro, sarebbe la recensione di un incompetente, poi non mi piace interpretare e criticare quello che altri vogliono dire, mica c’ero nella testa dell’autore. Tutto questo preambolo per dire cosa allora? A questo punto del mio scritto ancora non lo so,  posso dire che da pagina 100 in poi la storia ha iniziato a catalizzare la mia attenzione, sarà che si parlava di bancari, donne, intrighi, dietrologiche cospirazioni, fanta-finanza, politica, forze occulte tipo spectre,  ancora donne, ancora bancari, sarà che come sosteneva una intellettuale da bar che ho avuto occasione di incontrare in passato (mi permetto di ri-elaborare sintetizzandone il profondo pensare): “i bancari sono attratti dal mondo dei bancari, chissà che cosa ci troveranno poi??”. Be’ ecco da pagina 100 mi sono fatto prendere,  non l’ho ancora finito perché temo la fine sarà tragica,  oppure semplicemente non felice,  quindi prendo tempo,  tergiverso, intramezzo con la scrittura, la corsa, gli aperitivi, la tv, non mi piacciono le storie che finiscono male o semplicemente che non finiscono come pare a me.

Poi ad un tratto, poco fa, l’autore, il Walter Siti, ha piazzato lì, quasi verso la fine, sta domanda: “…e la nostalgia non è già di per se stessa un segno di debolezza?”.  Cazzarola. E se fosse vero? Decontestualizzo per un attimo, decontestualizzo perché non ho più pensato alla storia che stavo leggendo, ho pensato al nostalgico.  No perché io ho sempre creduto che la nostalgia fosse sì un segno, anzi un sogno, ma non di debolezza. Forse il segno di un sogno che è svampato.  Il nostalgico io lo immagino uno che inizia a far sogni ricorrenti e ripetitivi quando sente la mancanza, la mancanza di qualcuno o di qualcosa o anche solo di una situazione.  Il nostalgico però io lo facevo uno forte, uno che ha il coraggio di ricordare, di crogiolarsi, un malinconico che sorride, qualche volta che si incazza pure, ma non un debole. Un debole è uno che fugge il ricordo quando questo è troppo ingombrante, un debole io me lo immagino ogni sera a cena con una “piuttosto” diversa, uno che nel rapporto di coppia per fingere di non inzerbirnarsi contraddice anche quando la pensa allo stesso modo (ricordate il p.c.??), uno che guarda sempre avanti perché avanti c’è sempre una possibile alternativa, un nostalgico è uno che ha combattuto fino alla fine per l’alternativa che stava dietro e dopo se la ricorda, anche troppo, ma d'altra parte cosa fai? Combatti fino alla fine per qualcosa che non vale nemmeno la pena essere ricordato con grande rammarico? (e se l’hai persa, l’alternativa, e se ne valeva davvero la pena, il rammarico c’ha da essere).
E adesso? Adesso salta fuori che “la nostalgia è un segno di debolezza”. E io che mi chiedo pure: “se fosse vero?”. C’è qualcosa che non va. Ho provato la stessa sensazione di quando una volta un mio amico, mi pare si chiamasse Luì, mi raccontò di una sua ex che incontrò dopo qualche tempo: “Ciao, come stai?” – “Ma, benino, dai bene.. si va!” – “Sei solo?” – “Ora?” – “No scemo, nella vita!” – “Sì” – “Perché? Neanche qualche storiella così?” – “No, che senso avrebbe, lo sai no?” – “Sì lo so, ti fa onore però è un peccato…” – “Peccato cosa?” – “No così, mi sembra uno spreco” – “Ah, ok, uno spreco… ho capito… uno spreco… tu me lo dici… ok… ho capito” – “Ciao eh..” – “Ciao a presto”. Ecco la stessa sensazione. Una convinzione che vacilla.

Basta non voglio più leggere libri impegnati, adesso vado a comprare Fabio Volo, la fine la decide lui, se non mi piace la cambio.

PIUTTOSTO CHE NIENTE E' MEGLIO... NIENTE!

Piuttosto che niente è meglio… niente.

Ora capisco che se la guardiamo dal punto di vista di “piuttosto” la cosa non è carina, se la regola fosse questa ci sarebbe un sacco di gente che va al cinema da sola, che passeggia sulla spiaggia da sola, che cena da sola, che va in vacanza da sola, che si addormenta da sola, e si concluderebbero di certo un minor numero di affari e nascerebbero meno bambini e si sarebbe tutti un po’ più nervosi, ma qui voglio analizzare il punto di vista di “niente”, “piuttosto” qualcosa con cui consolarsi lo trova sempre.

Perché questo argomento?  Mah, essenzialmente perché ci pensavo poco fa mentre rientravo dall’ufficio, finestrino semi aperto in direzione casa, e ci pensavo anche mentre cenavo, e ci pensavo anche mentre sono uscito per prendere il mio solito caffè concilia-sonno e ci pensavo anche prima sotto la doccia che ho provato anche a fare uno schema sul cristallo che si appannava causa vapore ma, sinceramente, non è venuto un granché.  E ci pensavo anche quest’estate, e anche due anni fa, e anche al matrimonio di uno che conosco bene, e anche… insomma ci pensavo da un po’.
Il concetto è estendibile a diversi ambiti: rapporti di coppia, di amicizia, pezzi di vita quotidiana tipo meglio il mio solito sapone neutro o meglio lavarsi  con l’acqua e basta se questo è finito e la ditta che lo produce è fallita.

Io qui voglio scrivere due o tre righe due sul concetto del “meglio niente che piuttosto” applicato al rapporto di coppia.  Sì, lo so, qualcuno potrebbe dire che sono monotematico ma lo faccio perché lo devo a una mia amica, che continua a ripetermi: “Dai scrivi un manuale”, che io le ho pure spiegato che non so fare e l’unica volta che ho provato a scrivere un libro ne è uscita una storia talmente assurda e insensata che ho cancellato tutto (dal pc). Quindi un manuale no, ma un paio di concetti veloci modello bignami sì, con la solita premessa che le faccio sempre (così la smetterà di rinfacciarmi che per colpa mia non si è ancora fidanzata!!): “leggi e fai esattamente il contrario”.
Anzitutto nel rapporto di coppia, o meglio nella fase pre-rapporto, è indispensabile capire quando si è in presenza del “piuttosto”,  sì perché… intendiamoci… si capisce subito e una volta capito scegliere è un attimo. Non voglio dilungarmi troppo, provo a spiegarlo in negativo, ad esempio metti una sera che esci a cena con il potenziale candidato/a (vale per entrambi i sessi) oppure vai a bere una cosa che è meno impegnativo, ecco metti che parli, sorseggi, mangi, sbadigli oppure no, guardi l’orologio oppure no, ordini il dolce, il caffè, l’amaro, un altro caffè, due biscottini, una Citrosodina solubile, insomma fai serata. Ecco metti tutto questo, saltiamo come finisce che  non è importante, può succedere qualsiasi cosa, non è questo il punto, il punto è quando ritorni a casa, la tua, apri la porta, la richiudi dietro di te e possono succedere due cose:

1 -    “Devo chiudere bene che in giro ci sono i ladri, domani mattina alle otto dove devo andare? Che sonno, faccio la doccia ora o al risveglio? Ho dimenticato di chiamare il mio analista… lo farò giovedì. Ho gettato l’immondizia? Buona la tagliata, il vino un po’ troppo barricato con quel retrogusto di pesche mature e pere volpine che persiste al palato in maniera eccessiva. In tv non c’è niente, che palle… Prendo un’altra Citrosodina, è meglio. Ahh domani mattina la chiamo (o lo chiamo – è uguale, l'ho detto – nda),si dai va che la chiamo, verso le 11 magari, oppure primo pomeriggio, magari alle 16.30 quando esco dall’ufficio, oppure alle 18.45 mentre vado al supermercato a comprare i fagioli con le cotiche. A che ora l’appuntamento con il dentista? Devo controllare, meglio farlo subito. Comunque dai, vestita bene, bellina quella camicia bianca… o era marrone? Forse rossa? Va bè ho lavorato molto oggi, se poi non la chiamo alle 18.45 magari la chiamo giovedì prossimo, a noo cazzarola… giovedì ho l’analista,  sì però la chiamo, non si sa mai (non si sa mai è devastante, primo passo verso la negazione di se stessi – nda)”.

2-  “mmh… però… ehhh… in effetti… quel vestitino in lana modello colazione da Tiffany tre-virgola-quattro centimetri sopra il ginocchio e l’anello in pandan con l’orecchino, e le tessere magnetiche nel portafoglio tutte belle ordinate, e come è salità in macchina, no dico... com’è-salita-in-macchina, pazzesco, un piede dopo l’altro, che gamba, che equilibrio. Mmh però… ma se le faccio uno squillo ora (sono le 3 e 45 di notte – nda) cos’è disturbo? No va bè, magari domani… (passa la notte… )… Cazzarola ho dormito con la porta aperta… va bè però… mmh… in effetti… sms: “Buongiorno! Niente, avevo un gran bisogno di salutarti.. niente.. ciao”.

Ecco il secondo caso non è “piuttosto”.

Una volta individuata la fattispecie, amica mia, si passa alla seconda fase: la decisione.

Caso 1, dopo una settimana da solo/a e tutti i tuoi amici che vanno al cinema in due, a mangiare in due, a volte in quattro, a volte in sei, che vanno al mare a giocare a racchettone, che prenotano le vacanze per l’estate prossima, che hanno l’influenza ma non devono uscire perché tanto ci va lui/lei a comprarti la Tachipirina, che va bè cazzarola è già una settimana che… anch’io ho le mie esigenze… ecco che succede: “Ciao, come stai? Scusa se non ti ho chiamato prima, ma mi hanno rubato il telefono e ho impiegato un po’ a ritrovare il numero, che dici stasera? Ci sei?”. Piuttosto risponde: “Si ci sono.. certo che ci sono…” e contemporaneamente pensa: “Ma chi è questo?? Ahh quello della scorsa settimana! Il biondo.. o è moro?” (questo perchè il piuttosto... è piuttosto per tutti!!) e conclude: “…mi fa davvero molto piacere, anzi un piacere immenso, aspettavo la tua chiamata con ansia, non ci speravo più! Facciamo alle 20?”. E tu: “Ok, alle 19.55 sono da te”.

Caso 2, ore 8.15 del giorno dopo, dopo l’sms delle 7.45, chiami: “Buongiorno, no ti chiamo perché salutarti solo via sms mi sembrava che ti avevo salutato poco, e poi volevo chiederti che cosa fai questa sera alle 16.45… Come dici? 16.45 è ancora pomeriggio? Va bè, sempre attenta al particolare tu…”.

Ora amica mia, non ti fissare sulla risposta che il candidato o la candidata daranno al caso 2, non è neanche quello il punto, il punto è che se il candidato dirà sì tu alle 16.30 sarai sotto casa sua e avrai saltato pure la pausa pranzo perché non avrai fame, se invece il candidato  dirà no, alle 20.45 sarai ancora in ufficio e avrai saltato la pausa pranzo e pure la cena perché non avrai fame. In entrambi i casi, la sera, quando rientrerai a casa continuerai a pensare: “mmmh, però, ehh, non è la stessa cosa… no, no, decisamente non è la stessa cosa” e se la risposta sarò no,  capiterà forse che 8 week end dopo,  magari, ti ritroverai al cinema da solo/a a vedere “Un castello in Italia”, e farai pure attenzione a non sporcare perché avrai portato un po’ di sabbia sulla poltroncina, il pomeriggio faceva caldo, piuttosto che stare a parlare di piuttosto meglio una passeggiata in riva al mare a fare niente….

Ecco piuttosto che niente è meglio niente…. tu  però pensaci e decidi, ma ricordati, fai sempre il contrario di quello che ti suggerisco io…. e sappi che la colpa di ogni scelta non è mai di piuttosto ma solo la tua!!

Il jat lag fa male

Brioche e cappuccio, giornali, li guarda ma non li legge, come gli capita spesso ultimamente, è presto, troppo, Luì deve essere in ufficio solo fra un paio d'ore ma il jat lag da ora solare lo ha un po' scombussolato e si è svegliato prima del solito.
Al bancone la solita ragazza riccia con gli occhiali da sole incorporati sulla faccia ma con un culo che parla, che compie ogni mattina lo stesso movimento regolare vetrinetta paste-lato ovest bancone, una passerella virtuale. Anche Luì indossa spesso l'occhiale da sole, nero, pure con la nebbia, ma solo perché non vuole perderlo, c'è troppo affezionato e distratto com'è...
Ieri sera se n'è andato al cinema a vedere un film brutto, uno dei personaggi si chiamava Luì, tre al mondo, due nella stessa sala cinematografica. Quando è uscita la fidanzata di Luì l'attore e si è presentata, Luì lo spettatore se n'è andato, perché ve bene le coincidenze ma così no... meglio due margherite e una birra piccola alla Pizzeria Italia.
Sul cornicione lato auto un piccione sta minacciosamente mirando Luì che se ne sale in macchina, "papà se un piccione ci fa la cacca in testa è un bel guaio!", così direbbe sua figlia, dopo aver detto un sacco di altre cose... 
Nei giorni scorsi, quando l'ho incontrato, mi raccontava proprio di questo, di quello  che spesso gli dice sua figlia, era sorpreso della perspicacia. Come fa una bimba di tre anni a capire esattamente cosa stai pensando: io sono lì, lei mi guarda e mi dice che va bene ci posso pensare ancora un po' perché "è da tanto che non la vedi, però giochiamo  con i Lego dopo?". E quando ho chiesto: "non la vedi chi??" - "Dai papà giochiamo con i Lego!".
Luì dovrebbe imparare da lei a gestire le situazioni.
"Papà dopo, più tardi, quando andiamo a dormire, ti sto appiccicata vicino alla faccia. Va bene?"

Ma se capita?

(Se capita è un casino.... è come quando tu sei in macchina e la vedi allontanarsi e vorresti dirle "no... aspetta, ancora un attimo... ho dimenticato di sfiorarti, aspetta... la tua mano, quante volte, ne ho bisogno sai?". Poi il semaforo diventa verde, il traffico, il rossetto, "aspetta sei piccola perché vai??". No, non è piccola, tu lo dici, anzi ora lo pensi, il suo profumo, solitamente tu non li senti ma quello resta, perché? È capitato, non doveva ma è capitato, e ora? Ora è vuoto. Ma poi perché sfiorarti? Perché sfiorarti è morbido, caldo, intenso, agitato, agitante, risolve. Si allontana, in silenzio, rosso di nuovo, guardi il cellulare, è vuoto, anzi troppo pieno di altro, cancelli, basta. Verde, il portachiavi sballonzola, si è allontanata, controlli sullo specchietto retrovisore, non c'è, ne hai bisogno? Sì... Allora? Eh allora è un casino..)

F dice che i trombamici esistono... Una possibilità forse c'è, serve l'intervento del P.C. (che non è personal computer...)

Lunedì post convegno Riminese sui trombamici, Luì è rientrato al lavoro. Idee un po’ confuse, colpa di F., una sua cara amica convertita al nichilismo che una volta sosteneva altre teorie (“…chiedi al tuo amico se avrebbe rinunciato ad un bacio salato che sa di fragola… no non lo avrebbe mai fatto,  e c’aveva ragione.. nemmeno se i km per raggiungere il sogno col pareo fossero stati 2000!” – disse un giorno parlando con lui a proposito di un’altra storia che adesso non mi ricordo neanche più bene), e che oggi invece dice “i trombamici esistono… perché la coppia è asfissiata e due sono pochi, meglio quattro o anche cinque” (mi son permesso di sintetizzare il pensiero di F – nda).

Luì che è un rimuginatore non può non ri-pensare a queste parole, e dire che era convinto di aver capito tutto, questa sua mania di "categorizzare" ogni cosa lo rassicura, tre tipologie di trombamici  convenzionali, sei/sette tipologie di single, la coppia e la scoppia, ecc. ecc. ecc. Tutto facile, ci pensa, schemino fatto a mano, foglio excel se è più difficle, zacc… convinto. Invece arriva lei e si mette a far crollare delle certezze scritte sulla pietra.
“I trombamici esistono Luì!”

“No, sono leggenda, se ne convincono per comodità, si usano a vicenda per risolvere i loro problemi, si autodefiniscono tali per fuggire le convenzioni quando poi invece si convenzionano con tutta una serie di regole accessorie: non ci chiamiamo di giovedì, ci sentiamo senza impegno, ci tocchiamo quando possiamo, se non mi chiami è lo stesso (ma se non ti sento mi arrabbio come una bestia – nda), se esci con un’altra è uguale perché non c’è obbligo di fedeltà…  poi se per caso uno si  sbaglia l’altro va subito dall’avvocato e chiede lo scioglimento della trombocoppia. Guarda c’ho pensato è così”
“Nooo, come te lo devo spiegare! Esistono! Esistono soprattutto perché non ne vale mai la pena e allora così  è molto più facile!”

“No, non esistono.  Se proprio vogliamo spingerci in avanti pare che qualche caso si sia pure manifestato, te lo concedo, ma c’era un però, un vizio di fondo, anzi … una precondizione, uno dei due apparteneva alla categoria dei paraculi

Ora visto che in questo irregolare  narrare della vita insensata di Luì mi sono accorto che si sta cadendo un po’ troppo spesso nel volgare, credo sia bene sostituire la scurrile definizione paraculi con un più educato PC, non vorrei mai  passare per un diseducativo, quindi andiamo avanti..
 “Cioè?! Sentiamo cos’è sta storia dei PC..”

Sì, il PC. Il PC è una categoria molto particolare, diffusa più di quanto si possa pensare, il PC è uomo, la donna fa altro, altra strategia, il PC  lo riconosci dal look e da come parla al telefono. Solitamente si veste alla moda, finto trasandato ma con gusto, molto jeans ma anche elegante, si adatta anche visivamente all’interlocutore di turno, capello corto spettinato con ricercatezza, nel senso che cerca dove spettinarsi, gel appena accennato, la sua opinione è sempre quella dell’ultimo personaggio più importante di lui con cui ha parlato, le sue contraddizioni sono figlie dell’obiettivo, ad esempio con le donne, le contraddice delicatamente ma con insistenza per far vedere che c’ha carattere anche se la pensa esattamente come loro, sa che la donna preferisce il contraddittorio. Non parla, slogheggia, slogan ricercati, alla moda, non il retrò da aforisma, lo slogan mondano da aperitivo di successo e l’immancabile risatina di sottofondo di chi la sa lunga. Sul lavoro è un mito, il PC non lavora, fa relazioni e racconta sempre di quella volta che ha lavorato un casino e sai che risultati, non entra mai nel merito, sfiora gli argomenti di cui si parla, urla, urla al telefono, urla con i colleghi, urla con i clienti se ce li ha, urla con i clienti anche se non sono suoi, urla sempre perché così si ascolta meglio (da solo, si ascolta da solo, gli altri di conseguenza, urla), ride (sempre la risatina che usa con le donne), ti dice spesso che hai ragione “però sai…”, e tu: “sai?”, e lui: “sì insomma, hai capito… no?”,  che tu non hai capito ma nove volte su dieci dici di sì perché ti sembra così certo di quello che dice che non vuoi contraddirlo e non vuoi fare la figura di chi non sa. Lui non ha capito quello che voleva dire ma è così convinto che pensa: “cazz… sono forte, ho fatto un ragionamento della madonna anche questa volta”.   E’ un seriale, nel senso che usa sempre la stessa tecnica di approccio-relazione, la perfeziona col tempo, toglie l’articolo, cambia l’avverbio, aggiorna lo slogan, ma di fondo non cambia. Inutile, non serve, non si deve pensare, si deve piacere e dar l’idea di sapere. E’ perfetto perché solitamente piace e da l’idea di sapere.
“Ecco F. Il PC potrebbe essere la metà perfetta della trombocoppia di amici. Gli piace dire di non essere volutamente impegnato ma molto ricercato, e questo con il prototipo uno fa un casino. Il fatto di essere contrattualizzato in una relazione ufficiale con altre relazioni a latere si attaglia al personaggio (siamo al prototipo due) che non si preoccupa del sentimento, per lui i sentimenti sono qualcosa da raccontare alle donne dopo averle contraddette-leggermente-ma-con-insistenza, sono la ciliegina sulla torta per chiudere il cerchio (unico problema potrebbe registrarsi se più donne che lo hanno conosciuto si trovano a cena e parlano di lui…. i quattro slogan di riferimento sarebbero subito individuati), sottolineo che ama far sapere “a più altri possibile” della sua tromborelazione.
E infine si attaglia perfettamente anche al prototipo tre, sì in fondo va bene anche per questo, solitamente lui è quello single, o single un po’, anzi sicuramente single con una relazione complicata quasi finita alle spalle o sopra le spalle (importante “quasi”), e così riesce ad entrare perfettamente nella nuova “amicizia”, offre disponibilità-divertimento-molto divertimento-slogan studiati ad hoc o presi in prestito da altri PC-presenza quel tanto che basta, assenza quel tanto che basta-sesso ed esperienza”

“Luì stai diventando tu il cinico nichilista! Poi come fai a schematizzare così?? E che ne sai tu di tutte queste cose di coppia? Sei sposato?”
“No!”

“Convivente?”
“No!”

“Sei fidanzato?”
“No!”

“Sei trombamico?”
“No!”

 “Sei amato?”
“No!”

“Sei innamorato?”
“Guarda! Hai visto? Un piccione, chiama la dada!”

“Luì, i trombamici esistono”

La fenomenologia del "trombamico"

Convegno organizzato dall’associazione “Amici del maschio 2.0”, titolo dell’incontro “La fenomenologia del Trombamico, da Fabio Volo a Dostoevskij”, sottotitolo dell’incontro “Dostoevskij non c’entra niente ma così speriamo di catturare anche un pubblico colto”.

Luogo dell’incontro sala a fiori del Grand Hotel di Rimini, piano terra, zona piscina, “intervenite numerosi che si possono fare delle domande”.
Luì era da quelle parti, come spesso gli accade ultimamente aveva deciso di non aver nulla da fare in quel week end, quindi ha deciso pure di registrarsi ed entrare. Ha deciso di entrare perché il tema gli è parso curioso e voleva trarre qualche spunto per rispondere con maggior cognizione di causa ad una sua amica che giusto qualche settimana prima lo aveva accusato più o meno in questo modo: “.. sì, sì, ad ascoltare te e le tue teorie qua finisce che si fidanzano tutte e io niente… sei un consulente da ridere…”.

A Luì la definizione “trombamico” l’avevano proposta la prima volta qualche anno fa, in un’occasione che si era trovato a discutere per trovare la giusta definizione per un rapporto leggero ma non troppo, coinvolgente quel tanto che basta, unico da potersi considerare  impegnativo ma non abbastanza da potersi considerare fidanzamento, divertente, spregiudicato, comunque rispettoso, fatto di molta complicità, sempre sul punto di diventare qualcosa di più, ma che inspiegabilmente è naufragato nel qualcosa di meno, con un certo rammarico da parte di entrambi. Da allora di tanto in tanto Luì si è posto la domanda: “Ma perché?”.
Il convegno non ha forntio la risposta, “perché esistono i trombamici” resta un mistero, ma soprattutto: esistono davvero?

Pare di no, è quasi assodato. I trombamici non esistono, forse esistono nel breve, sono una leggenda.  I lavori del convegno hanno portato ad una classificazione per specie, una fenomenologia appunto, una tripartizione,  Luì non ha fatto domande, più che altro ha ascoltato.
Il rituale d’approccio è risultato essere piuttosto comune a tutte e tre le specie: ci si conosce, si passa del tempo assieme, si passa più tempo assieme, spesso sul lavoro, qualche volta nel tempo libero, ci si parla, ci si parla del niente qualche volta anche del tutto, ci si racconta, ci si sfiora mentre si parla, ci si da appuntamento per un aperitivo o per un caffè, così… “perché dai è piacevole parlare con te, davvero… non mi è mai capitato di essere così in sintonia con qualcuno”, il passaggio successivo è la cena (o il pranzo), c’è anche chi inizia direttamente dalla cena ma è rischioso, troppo lunga l’intimità, ci si può perdere. Poi finisce che da “è piacevole…” si passa al “è fantastico venire a letto con te, davvero, non mi è mai capitata una roba del genere”, tutti e due se lo dicono, uno dei due sa che l’altro mente, a volte lo sanno entrambi (che uno dei due mente), però se lo dicono talmente tante volte che finiscono col crederci davvero. Così inizia, così prosegue, quasi sempre finisce. Le variabili? Lo status dei due.

Ci sono “i trombamici entrambi single”, non importa perché lo sono, ma è così. Solitamente sono gelosi della propria libertà, della propria indipendenza, però non fino in fondo, vogliono comunque condividerle con qualcuno: “Ci vediamo questa sera?”, “Sì ma non diamoci appuntamento, vediamoci se ci va, all’ultimo minuto, da me o da te non importa, lasciamo fare al caso”, “Bello così, sì, liberi, senza regole”. Solitamente questi sono quelli che su FB hanno come status “relazione aperta” che diventa “relazione complicata” verso la fine. Entrambi automuniti sono incredibilmente fedeli l’un l’altro. Non si dicono mai di amarsi, quando succede che uno dei due contravviene questa regola non scritta tempo tre settimane e la storia finisce. In questo caso i trombamici restano amici, anzi ritornano amici passati sette mesi dalla fine della storia. Caratterialmente sono irrequieti e perennemente insoddisfatti.
Poi ci sono “i trombamici entrambi impegnati”, anche qui non importa come sono impegnati, ma di fondo c’è troppa gente, un casino… almeno quattro. Qui la molla non è il desiderio di libertà, è il desiderio di fuga trasgressiva dal quotidiano, dichiarata pure: “ci vediamo ma non ci raccontiamo nulla delle nostre vite perché se volevamo un marito/moglie/fidanzato/fidanzata già ce l’avevamo ed è inutile che stiamo a moltiplicare i problemi, però ci vediamo in posti scomodi che fa più trasgressione ”. La parola amore viene aborrita come la peste. Le storie fatte così resistono solo le prime due settimane dopo la cena, se ci si vede poco, quindi scadono, perdono di intensità, anzi sono la molla per recuperare le proprie vite di partenza, per apprezzare il quotidiano da cui si voleva fuggire. Una volta finita i trombamici restano amici, sempre che gli altri rispettivi due non si siano accorti di quello che è successo e allora ci si continua a vedere in Tribunale e o si fa amicizia con gli avvocati o ci si può sentire molto soli.  Caratterialmente sono entrambi agitati a giorni alterni, insoddisfatti di fondo finché ciascuno a se stesso dice: “va bè, in fondo la mia vita non è poi così male, non la cambierei”.

Poi ci sono “i trombamici uno dei due è impegnato l’altro meno, anzi quasi niente”. Non è un’inutile precisazione perché “il single meno impegnato dei due” passati tre giorni dalla cena o dal pranzo (quando ci son di mezzo altri impegni ci si deve organizzare) diventa “single impegnato per niente”. E’ una regola non dichiarata, lui o lei non l’ammetteranno mai, ma è così. In questo caso può anche succedere di dirsi “mi sto innamorando di te”, se proprio vogliamo esagerare anche un: “sono innamorato di te”. Il sesso diventa una parte importante ma non l’unica e comunque non la principale, e qui già si contraddice la definizione di partenza, si parla molto, ci si racconta, a volte l’impegnato/a racconta dei propri problemi, il meno impegnato/a ascolta neanche infastidito più di tanto (almeno per i primi quattro mesi e mezzo). Questa storia ha una durata variabile, può andare dalle 15 settimane ai due anni, solitamente finisce perché l’impegno di uno dei due se ne accorge e possono presentarsi due alternative: fa una strage, è furbo/a e recupera. I trombamici dopo non restano nemmeno più amici.  In questo tipo di coppia gli stati d’animo sono variabili, si va dalla foga iniziale di entrambi, all’appaloramento di uno dei due (il più impegnato), all’agitazione dell’altro, al pentimento per esserci caduti di nuovo.
“Luì se n’è fidanzata un’altra!!! E io? Colpa tua” – “Guarda ora sono impegnato, sono qui ad un convegno, sto studiando, dammi tempo, adesso prendo appunti e ti spiego tutto appena torno!!! fidati di me!!!”.








Se poi anche Master (l'amico di Luì) si mette a....

Non l’avevo mai visto così agitato, non Master. Il piede tamburellante, l’occhio leggermente iniettato e circospetto, la voce tremolante, il telefonino che passava da una mano all’altra e poi alla tasca interna della giacca e poi a quella dietro del pantalone e poi a quella davanti. Pettinato era pettinato, questo no perché altrimenti sarebbe stata catastrofe, anche la giacca era bella stirata, ma le mani sudavano, tremavano e sudavano. Brutto vedere, inizio a preoccuparmi, Master in queste condizioni no.

“Cos’è successo Master?”
Il tavolino obliquo dove la sera prima avevo fatto un aperitivo con una amica era sempre più instabile, il caffè scendeva a valle, verso il Corso, aveva ragione la mia amica, non era stata lei a rovesciare il bicchiere, è stato il tavolino. Tavolino pericoloso.

“Luì, un casino… un gran casino… una tragedia… è grave, gravissimo… credimi… non ci posso credere…”
“Master mi stai mettendo ansia, che succede? Ti credo anche se non ci puoi credere ma dimmi!”

“Luì… giura che non lo dici a nessuno, Luì giura perché è importante”
“Giuro dai, ma quante cose so di te che non ho detto a nessuno, poi sono ricattabile, come potrei parlare?!”

“Luì, no qui è seria, Luì… Luì... Luì ho limonato…”

“….” “…. …. ….”

“Ah! Chi? Tu? Limonato?! Cioè limonato nel senso di baciato con la lingua tipo i francesi? Va bè hai usato la tecnica “bacia, bacia tutta la mia pelle ti farò arrivare fino alle stelle” e mentre lo dicevi tenevi le dita incrociate e guardavi fuori dal finestrino?! ”
“No Luì, no così, ho detto tragedia,  Luì ho limonato davvero, ma tu ridillo piano per favore, dillo piano e anzi non lo ripetere… Come te, mi sta succedendo come a te, Luì tu almeno hai 40 anni e sei abituato a fare delle cagate, io no, io sono lucido. Poi sai la cosa più grave?”

“Più grave di questa?”
“Sì, il problema  è che mi  è piaciuto. Luì come a te, come a te, mi è piaciuto e vorrei rifarlo… ahhh Luì… tragedia”

La “dada dei piccioni” si è fermata a guardarci di sbieco, parla con l’orsacchiotto appeso al giubbotto, anche un piccione si è fermato, ci osserva pure lui. Sembrano preoccupati.
“Ora Master tu mi racconti di nuovo, mi dici che stavi scherzando e che te la sei portata a letto, l’hai trattata malissimo, lei si è quasi tagliata le vene, ti ha chiamato 36 volte di seguito, ha iniziato ad inviarti foto in abiti succinti a distanza di 37 secondi l’una dall’altra fino ad arrivare al nudo integrale, ma limonata con piacere no. Non tu Master. Oppure mi dici che il bacio è stato assolutamente fine a se stesso anzi è stata la chiave di volta per poter entrare dove volevi, ma che lo vuoi rifare no. Questo no, Master. E poi per favore, non dire mai più:  come te!!”

“No Luì è così, come te, come te…”
“Cazzarola…”

Il piccione se n’è andato, ha iniziato pure a piovere, la dada dei piccioni continua a fissarci, ora ride.
Questo è effettivamente grave, Master è stato l’unico che mi ha detto con la cinica lucidità che lo contraddistingue e con la confidenza che tanti anni di amicizia vera gli consentono, che stavo facendo una colossale cagata, io chiaramente non l’ho ascoltato, e per inciso non lo ascolterei nemmeno in futuro, ma sapere che domani mi avrebbe ripetuto con insistenza: “Io te l’avevo detto!”, mi dava sicurezza. E tutto era iniziato con lui che mi diceva: “dai racconta…” e io che rispondevo: “no stavolta non posso Master, perché poi mi fai incazzare quando ribadisci i tuoi punti di vista, no stavolta no..”, e lui a insistere: “ma te la sei fatta?”, e io a dire: “non parlare di lei così… Master ti dico solo questa, l’ho limonata, non subito, dopo un po’, Master quando ho finito ho capito che sarei dovuto scappare a piedi correndo lungo la circonvallazione in direzione Forlì, Forlimpopoli, Cesena, Fano, Pesaro, Ancona, Pescara… invece sono rimasto a gustarmi il piacere mitico di quel bacio”. E Master per tre giorni non mi ha parlato.

E ora. Ora dice “come te, Luì come te…”, e lo dice con un tono disperato di chi sa che potrebbe essere catastrofe.
So che può sembrare tutto esagerato, che non è poi così grave, che l’uomo vero come Master può avere un cedimento ma poi si rialza, ma se qualcuno “limona” e succede che gli piace e gli viene voglia di rifarlo e si ricorda il sapore, e se lo ricorda mentre lavora, mentre dorme, se lo ricorda sotto la doccia, mentre  va a comprare i cracker nel negozietto di fianco casa, mentre va a mangiarsi una pizza al taglio alla pizzeria Italia che in casa non ha voglia di restare, e se lo ricorda nel tempo, il sapore sempre, anche dopo una settimana, un mese, 46 giorni, 7 mesi, e si ricorda non solo il sapore ma anche il colore, il colore che era rosso, rosso intenso con venature leggermente ramate e dice: “lo rifarei”… ecco è grave, è grave ed è da gestire.

“Ecco allora Master adesso andiamo a cena, ordino io da bere, ci ubriachiamo, soprattutto tu, parecchio pure, ti riporto a casa io, dico che lo hai fatto per me, domani sul tardi ti svegli, mi richiami e dici che hai raccontato un sacco di storie che nemmeno ti ricordi. Ok?”
“Luì? Come a te cazzarola, come a te…”

Il tavolino obliquo si è ribaltato. La dada dei piccioni sta raccogliendo la tazzina di caffè caduta a terra, di fronte passeggia un'infermiera che conosco di vista, piove. 

Domani Luì impara, basta con la solita storia.... ecco magari dopodomani...

LEGENDA: così Luì parla, (così Luì pensa),wroom wroom è il rumore dell’auto di Luì, bip bip è il cicalino dell’auto di Luì che segnala che le cinture di sicurezza non sono inserite, drin drin è il cellulare di Luì che squilla.

Wroom, wroom…. (ma dove sto andando? Perché di nuovo sta cosa… va bè, carina è carina, mora è mora, gamba giusta, speriamo pure simpatica, dai passiamo la serata…)
“Ciao Luì!”

“Buonasera! Come stai?” (Ti chiami? Ah sì, ok… sono stanco, ho lavorato troppo oggi)
“Bene grazie, salgo…”

…bip bip…
“Luì, le cinture!”

“Grazie, le avevo dimenticate” (no, non le avevo dimenticate, con le cinture mi si sgualcisce la camicia, dobbiamo far tre km, che sarà?)
“Sai ti dico subito che mi ha fatto molto piacere il tuo invito, non me lo aspettavo davvero, sei stato davvero molto gentile”

“Figurati, erano settimane che ci stavo pensando, ma non avevo il coraggio di chiedertelo!” (se il Capitano non mi dava buca stasera ero con lui a mangiare una focaccia “cinese”)
“Dove mi porti questa sera?”

“Ho trovato un ristorantino fuori porta, è stato difficile trovare posto, ma un amico, tre giorni fa, ho chiesto un favore, un cliente, sai com’è…” (spero sia aperto, dovevo chiamare, è che c’avevo pure pensato all’uscita dell’ufficio, poi Lele56 mi ha sfidato a Ruzzle… va bè ma è aperto sicuramente…)
“Oh, mi lusinghi, tutte queste attenzioni… Luì ma non è che vai un po’ veloce? Sai, la sicurezza…”

“Hai ragione scusami, è che sono distratto…” (simpatica, sì, si capisce subito, mi si stanno già triturando le…)
“Figurati, lo so che sei un bravo ragazzo attento alle regole, si vede subito, io ho un sesto senso…  Sai oggi sono andata a comprare un vestitino nuovo, avevo un quattro ore libere e sono andata a trovare un’amica che ha un negozio in centro, bellissimo, elegante, perché sai io ci tengo ad essere presentabile, tu? Tu di solito dove vai a fare acquisti?”

“Ma io, dipende io…” (attento alle regole certo, ma chi sei? Ma se mi vedi oggi per la seconda volta? E che ne sai a che cosa sono attento io! No però adesso recupera, me l’ha detto Alex, “io fossi in te me la farei” e lui ci capisce..)
“Sì ma vai di sabato? No perché il sabato è caotico, meglio il venerdì pomeriggio, non trovi?”

“Beh effettivamente il venerdì..” (domenica vado a Riccione, mi è giusto giusto venuto in mente una roba...)
“Comunque se continuiamo a vederci ti ci accompagno io, da una mia amica, in centro, così magari qualche consiglio…”

“Mi fa piacere, io mi lascio sempre consigliare” (certo, ti passo a prendere domani mattina alle otto per andare a fare acquisti, faccio scegliere tutto a te, io pago, provo e pago, non ti preoccupare, è il mio sogno, non desidero altro. Una tipa che decide per me. Che ore sono? Se guardo l’ora fa cafone… se sbadiglio è peggio, le guardo il culo, merita, così magari si distrae… e inizia a dire qualcosa di sensato…)
“Perfetto, l’avevo capito subito”
….
“Eccoci qua, questo è il ristorante…” (se dici bellino ti uccido!)

“Bellino, molto bellino”
… Signori, prego accomodatevi, ecco il menù…

“Sai qui sono spettacolari i formaggi, francesi, e anche qualcosa di autoctono che mi fa impazzire, cremoso.. proviamo un mistino, ti va?”
“Formaggi? Mah, veramente, cremosi? Quelli che puzzano? Io preferirei qualcosa di più leggero, mi ispira questa tagliata su misticanza di campo, ben cotta però”

“Ah, va bene, ben cotta è la sua morte per la tagliata” (no, odia i formaggi e vuole la tagliata ben cotta! Ma chi è?? Il tacco, il tacco c’è, adesso recupera, sta facendo finta per mettermi alla prova…”)
“Allora due, dai, ordino?”

“Ok, e il vino? Che dici di un rosso senza passaggio in legno?”
“Bottiglia??? Ma no, poi devi guidare facciamo due calici, dai via, poi non mi piacciono i ragazzi che bevono”

“Va bene allora.. due calici. Come vuoi..” (Ok allora domani devo pagare la prima rata dell’Imu ma con F24? Devo chiamare Gallo, no perché non so i codici… ma mi ha chiamato Erredi? Non mi ricordo… domani nel pomeriggio sento… la mini, dai ha la gonna micro, ora recupera…)
“Ma dimmi un po’… ok la tua storia, ma tu mi dicevi abiti solo? Dove? In centro? E dove parcheggi di solito?”

“Sì, in centro, un appartamento..” ( abito in centro ma parcheggio in campagna! Ma perché, perché??)
“L’appartamento è tuo? Dove hai preso l’arredamento?”

“Mah, mi sono arrangiato, mi piace l’antiquariato, sono andato alla ricerca di qualche pezzo e…” (Lavora all’agenzia delle entrate, almeno una ragione plausibile c’è, perché altrimenti io scappo..)
“Potevi chiamarmi, ti avrei portato da un amica, non proprio antiquariato, ma stile molto, poi dai l’antiquariato invecchia, e magari se una ragazza viene a vivere con te non vorrai farla invecchiare. Perché ti vorrai fidanzare? Ci credi nell’amore vero? Quante volte ti sei innamorato?”

“Ci credo, certo che ci credo nell’amore, qualche volta mi è pure capitato di innamorarmi..” (Due volte mi sono innamorato, due, due volte in quarant’anni, fammi ancora questa domanda e ti uccido! Che diavolo me ne frega di fidanzarmi?! Che c’entra l’amore vero con il fidanzamento? Ci credo, sì ci credo, due volte, basta. Non me lo chiedere mai più)
“Qualche volta, l’importante è che fossero ragazze serie. Io mi innamoro solo di ragazzi seri, mica di quelli che poi li trovi su FB a fare i cretini, io controllo sempre il telefonino ad esempio, non perché non mi fidi ma perché un rapporto è fatto di trasparenza. Ma tu ti innamori subito?”

“Ma no, dipende, credo non ci sia una regola… dipende..” (Tocca il mio cellulare e ti trito la testa. Sì mi innamoro subito, ma perché parli con me di questa cosa, chi sei, non ho voglia di raccontarti nulla, sei fastidiosa come una fistola, che ne sai tu dell’amore… subito sì, subito se ne vale la pena, e te ne accorgi immediatamente se ne vale la pena, vedi la nebbia a giugno se ne vale la pena, potrei spiegarti ma… Dai adesso però recupera, fiducia, le do fiducia, ha il gloss (anche se non so se si scrive così!) adesso recupera…)
“Io no, prima devo capire chi ho di fronte, poi una volta capito do tutta me stessa, a 360 gradi. Ma voglio altrettanto, voglio un uomo a 360 gradi. Tu russi?”

(Sta storia dei 360 gradi è già la seconda volta che me la raccontano. Credo di essermi perso qualcosa, 45, 90, ma 360 non conosco. Dai recupera, adesso mi concentro e decido che mi piace anche dentro, dai magari mi vien voglia di raccontarle almeno come mi chiamo… la faccio uscire un po’ dagli schemi, si fluidifica…)
“No, non russo. Ma dai non sei un po’ schematizzante, come fai a capire tutto prima?”

“Beh, sì capisce, basta fare le domande giuste. Questa tagliata è un po’ troppo al sangue… avevo chiesto ben cotta.. Tu esci con gli amici?”
“Beh, sì, almeno una volta a settimana, sì, ci conosciamo da sempre…”  (Ancora la tagliata ben cotta! Domani devo chiamare anche Giacomo, due faretti non vanno… mi sto divertendo un casino, dai ne conosco almeno due che vorrebbero essere al mio posto, orgoglio maschile, dai orgoglio, poi io ora NON SONO INNAMORATO, che mi frega, adesso mi convinco ancora un po’, guardo la coscia e mi convinco, perché in fondo è pure ammaliante..)

“Mhh, una volta a settimana. Ma non è un po’ troppo, no dico così per dire, cosa vi raccontate una volta a settimana? Io credo che in famiglia ci si possa raccontare tutto, gli amici, ok, sì va bene, però… Ma come mai la barba incolta? No, stai bene, però così… con il tuo lavoro… tutto questo vino mi fa girar la testa…”
“Ok, che dici andiamo?” (la mia barba va bene così, mi stai dando ai nervi, quasi quasi ti chiedo di sposarmi…)

“Va bene, visto che abitiamo vicino mi fai vedere casa tua? Non pensare male, sono una brava ragazza io, ma sono curiosa davvero di vedere il tuo arredamento. Di solito a che ora ceni la sera? Esci tardi dall’ufficio?”
“Certo, mi fa piacere… Beh dipende, dipende se ho molto da fare, non ho un orario fisso…” (ok, è fatta, viene a casa mia, i 360 gradi magari ora scopro, dai Luì non è male, sei un uomo, NON SEI INNAMORATO DI UN’ALTRA, e anche fosse ora non c’è che ti frega, ogni lasciata è persa, sei un uomo, un uomo vero, se fai così poi ti inseguono, che ti frega del resto, guardala... ancheggia, ha detto che è ubriaca, magari conoscendola meglio è pure intelligente, magari colta, magari… dai convinciti, smettila con questa cosa che se non ti emozioni… ne vuole dai…)

“Ah ho capito, però così diventa difficile… si perché pensa ad una ragazza che vuol prepararti la cena, oppure che so se tu arrivi prima e cucini per lei.. non si sa, non c’è regola… Vai al supermercato di solito a fare la spesa?”
“Ma, dipende, dove capita…” (scherza, dai sta scherzando, ora pensa che vuol venire a casa tua, che ti frega della cena, che ti frega del formaggio che non le piace. Come si chiama? Luì non ti sbagliare, non fare come l’ultima volta che poi si incazza e c’ha ragione!)

“No, io solo negozi tipici, non mi piace quella confusione….”
“Ecco, siamo arrivati, io vivo qui, ora apro…”

“Bello, mi piace, carino, ma il divano come mai lì, no bello sai, è che così…”
(Il divano? Il divano?? IL DIVANO?? Tu non provare nemmeno a toccarlo quel divano, no tu devi uscire da qui subito, immediatamente, ora trovo il modo, perché se provi a sfiorare il divano sei morta…)

Driin… drinn… (Capitano!! Grande capitano!! Giuro che ti offro la cena per tre venerdì di seguito..)
“Mamma? Dimmi!... a piedi? Dove? Ma la macchina? No, certo che arrivo, mica posso lasciarti lì… emergenza, mezz’ora e sono da te…  Scusami, mia madre, è rimasta a piedi con l’auto, sta fumando il motore, teme che esploda, ha cercato un taxi, ti prego scusami è…”

“No, capisco, dai mi avrebbe fatto piacere passare ancora un po’ di tempo con te…”
“Certo, anche a me, non mancherà l’occasione, magari già domani, ti chiamo.. “ (…la prossima volta imparo, adesso mi impegno e imparo che io non sono innamorato, che quindi mi devo lasciare andare, poi anche fossi innamorato di un’altra magari così è il modo giusto per farmela passare, se fossi... che poi devo dare una possibilità, anzi meglio due, che poi se continuo così resterò  solo, domani la chiamo, domani magari recupera, sì dai un’occasione, domani che lavoro faccio glielo racconto, sì magari dopodomani, no no ne ho voglia, in fondo faccio sempre così, mi ci vuole un po’ di tempo per perdere la testa, mica è come prendere un caffè o bere una birra… ok, no io non sono innamorato, ora lo dico trecentoventidue volte di seguito e domani la chiamo, sì deciso dopodomani, anzi no dopodomani devo pagare l’IMU, facciamo prossima settimana…)