A Bologna la domenica pomeriggio nevica, lo sanno anche i Libanesi...

"Fare inversione a U… appena possibile fare inversione a U… inversione a U”.  “Nevica, c’è l’aiuola spartitraffico continua, ci sono gli alberi, i vigili urbani, i vigili del fuoco, i carabinieri, la finanza e l’esercito e non ho le gomme termiche,  non posso fare inversione a U, e poi tu mi ci hai fatto andare per questa via, ora perché insisti che devo invertirmi..”. L’obiettivo è trovare parcheggio nella zona di Porta Santo Stefano e visto che sto arrivando da una parte della città per me semisconosciuta mi affido al navigatore, da lì poi voglio farmi il porticato che mi porterà fino alla Galleria, devo controllare un paio di vetrine, voglio fare un regalino a-ricorrente (che significa senza nessuna ricorrenza in particolare), e devo fare assolutamente due passi, sono le due del pomeriggio e ho bisogno di ammazzare almeno un tre ore altrimenti mi ritroverò di nuovo a metà domenica con l’unico obiettivo di aspettare il lunedì mattina, tra l’altro senza alcun entusiasmo,  ed ultimamente questo mi capita un po’ troppo spesso, almeno una volta ogni quindicina.   

E non sono certo un tipo senza idee, anzi, forse ne ho pure troppe, semplicemente non le voglio fare, non voglio idearmi, non mi va, perdo il tempo, ecco passo il tempo perdendo il tempo, questa mi pare la giusta definizione. Intanto poi ho trentanove-anni-e-tre-quarti, potrò permettermi di perdere ancora un po’ di tempo. O no? Sì lo so che qualcuno (il narratore ad esempio!!) potrebbe pensare che questa è una bella scusa del menga e che in realtà perdo il tempo perché mi sono incagliato, ma non è vero, diciamo che non lo è del tutto, diciamo che è verosimile!
Comunque non c’è parcheggio, anche se sul lato destro in zona parchimetro che non funziona c’è un auto che sta cercando di uscire. E’ un macchinone grande, grigio, con le gomme termiche, lo stemmone bello lucido, trazione posteriore, dimenticavo che il grigio è metallizzato con polvere di perle di ostrica (è un colore nuovo che ho letto una recensione su Quattroruote), antennino con navigatore, jacuzzi per il body massagge in acqua tonica con una fettina di limone, specchietti retrovisori esterni riscaldati-antiappananti-inclinati antiriflesso.  C’è solo un problema, anzi due: non si schioda dal parcheggio e lo sportello destro è a due-virgola-quattordici millimetri dal tronco di un albero secolare che aspetta solo di distruggere la fiancata.

Io lo guardo e mi permetto di far notare, con la delicatezza che mi contraddistingue: “Guardi, che se non toglie l’ammasso di neve su cui è salito col posteriore non ne esce”.  “Si lo so, guardi che ho fatto i corsi di guida sulla neve io, mi servirebbe un badile”, e poi così dicendo parte a razzo e va verso la scuola di fronte dove poi sono stati allestiti i seggi elettorali, lo vedo entrare agitandosi, supera la fila, salterella e scompare. Io aspetto, non so se lo faccio per vedere lo sportello che si accartoccia sul tiglio o perché in fondo sono buono e se vedo un tipo in difficoltà, anche se è un pataca, non riesco a lasciarlo lì.
Due minuti ed esce senza badile, e dire che un badile in una scuola c’ha da essere, come possono farne a meno, io sono già pronto a spingere l’auto con le mani, poi mi giro sulla destra e vedo questa scena: coppia di libanesi (li riconosco dallo sguardo e poi lei ha i brufoli), sono bassi, con un bimbo piccolo che dorme su di un girellino in alluminio senza capote ma con un ombrello rosso  e rotto appoggiato sopra, escono solo le scarpe del piccolo. Il padre cammina con una pala rossa sulla spalla destra e sorride. Io mi avvicino e gli chiedo: “Scusa, scusa, c’è un signore in difficoltà, si è piantato con la macchinona, è entrato in una massa di neve (dico massa perché lo capiscono anche in Libano), non esce,  serve il tuo badile, gli dai una mano??”. “Certo, certo, ci penso io, faccio io” e intanto il Miki Biasion dei poveri sta ritornando alla macchina. Quando vede la scena va in estasi, “Grazie, grazie, grazie a te e a te, ascolta mi spali la neve, ci accordiamo sul compenso?”, io lo guardo e penso: “perchè mi ringrazi pataca, guarda che io l’ho fatto per il tiglio”, mentre il libanese dice: “no, no, io non compenso, non voglio niente, ti aiuto gratis” e la moglie del libanese:  “Ma  veramente, se vuoi dare una mano a mio figlio, dorme, sai , c’è crisi”, e la crisi c’è davvero, il ragazzo spala la neve con la scarpa estiva nera e il calzino bianco corto, che giuro non mi ha fatto bene vedere sta scena. La moglie del libanese e Miki iniziano una trattativa serrata che porta ad un compenso omnicomprensivo di 10 euro, comprensivo anche delle battute stupide del pilota, la moglie è soddisfatta, il libanese invece è orgoglioso, a lui non interessano i dieci euro, si vede che lo fa per vincere la sua personale battaglia col giaccio e con gli Italiani ricchi che hanno bisogno di lui, io invece mi avvicino al passeggino che è stato completamente abbandonato a se stesso, bambino compreso, sono preoccupato che il bambino possa morire soffocato dall’ombrello o scomparire rapito da un vecchietto con la faccia gentile che sta guardando tutta la scena e sta pensando che quel povero bambino starebbe meglio con lui.

Fatta, la neve è spalata, il libanese saluta e dice: “Capo, hai visto bel lavoro”, il capo dice: “No, non sono il tuo capo ed è meglio per te perché sono uno spaccamaroni”, e io penso “Sei un pataca principalmente, ho fatto bene a tenere per il tiglio”. E’ fatta, uscito, mi dice pure, “Grazie anche a te, posso offrirti un caffè?”. “No grazie, ne ho già presi 25 oggi, sono a posto…”, poi strascicando la frase perché in fondo mi si è rivolto con tono gentile aggiungo “… piuttosto che farmi offrire qualcosa da te vado a chiedere l’elemosina al mercatino di Santo Stefano con il tipo che è messo male”, ma lo dico piano perché in fondo lui è felice, il libanese pure, la moglie del libanese ancora di più, ed io ho perso un’oretta buona.
L’impegno che non volevo impegnarmi insiste via sms: “dlin, dlin”, “…dai se ti liberi…”! Io non rispondo ma avrei voluto scrivere: “…non mi libero, mi sono impegnato apposta per non liberarmi, sono qua che sto favorendo scambi economici e culturali tra il libano e un pataca di Bologna, sto salvando un uomo e la sua macchina, non mi libero, anch’io al tuo posto insisterei però devi sapere che è inutile, non mi libero, e poi nevica e il navigatore e la vetrina in galleria che devo fare il regalo a-ricorrente, quindi lasciami perdere che poi ho anche la testa impegnata da un pensiero fisso e da sei cose variabili (oggi è domenica e Luì si ferma a sei – nota di narattore) , e poi lo sai che io sono fedele e non importa se sono single, sono fedele a me stesso, mi conosci, perché insisti? Perché insisti che non mi piacciono gli insistenti”, però essendo io notoriamente buono decido di pensare anche da buono e sempre dentro di me aggiungo “Dai scherzavo, oggi non riesco davvero, però un giorno sì. Magari ti chiamo io, ehh? Promesso.”.

Ogni volta che nella vita ho detto “ti chiamo io”, hanno sempre chiamato loro, sempre, regolare, mentre ogni volta che ho detto “Mi chiami?”, loro hanno detto sempre sì, ma io sono ancora lì che aspetto. Forse hanno perso il mio numero, o forse hanno perso il loro o forse hanno perso il telefono, comunque io aspetto ancora, in un caso sono sei anni che aspetto, forse si è trasferita all'estero.
E questa è una regola d’oro anche se non sono capace di applicarla, ci penso anche in via Santo Stefano mentre avanzo sotto il porticato, è statistico oltre che umano, e mi viene in mente come quella volta in spiaggia di sera che poi il giorno dopo sono andato in pausa pranzo con la cravatta e un sacco di scale, di corsa, poi non mi sono fatto sentire per dieci giorni e lei ha richiamato dicendomi, “Mi sono molto preoccupata nel non sentirti, stai bene?” e io: “Sì, dai, discretamente, sai ho perso il telefono”, “Il mio numero??”, “No, no, il mio telefono!” , “Ahh poverino mi dispiace! Ma… ora con cosa rispondi??”, “Mi sono fatto fare un duplicato!”, “Ahh, geniale. Mahh, dicevo…, ci vediamo stasera?”.  Che invece fa il controaltare con quella volta che io : “Ti amo, voglio sposarti, fare tre/sei figli con te, ci sono-ci sarò-ci saremo sempre, ho comprato tre telefoni tutti uguali per essere sempre reperibile, ho attivato un numero verde, puoi chiamarmi anche al 111 attivo 24 ore su 24, ho chiesto il part-time, ho svaligiato Benini per comprarti l’anello, ho…”, e lei “Sì dai, ascolta ne parliamo, magari quando torno dal Sharm, devo vedere un paio di arabi per una questione di lavoro.. Ciao ehh, stai bene, ti chiamo, ti chiamo io appena torno…”

Vetrina in galleria aperta, negozio chiuso, regalino a-ricorrente taglia “m” per polsi medi in bella vista, colore sorridente che chissà se fa pandan con un tubino nero bello bello che magari alla prima occasione lo potrà indossare e che poi magari poi mi faccio mandare una foto?
(cosa dite? Anche questa andrà a Sharm? No, stavolta è diverso, a Sharm no? Magari Baleari cinque giorni, non di più perché altrimenti si annoia? Ma Luì in fondo non pensa a questo, Luì il regalino lo cerca perché ha detto che quel colore che sorride sta troppo bene su quel polso taglia “m”, e poi si abbina al taglio degli occhi e al colore del capello, e al sorriso, sì si abbina al sorriso,  e allora perché deve privarsi della gioia di vedere sta cosa? E ve l’ho detto, quando Luì una cosa la vuol fare la fa, vediamo se la prossima volta avrà voglia di raccontarmela…)  

Luì, una storia verosimile....

Mi è venuta voglia di raccontarvi una storia, una storia vera questa volta, se non proprio vera… verosimile, è la storia di Luì. Luì è un personaggio vero, se non proprio vero… verosimile, Luì sarà il protagonista ed io il narratore, questo perché quando l’ho conosciuto Luì ha iniziato a raccontare ed io ho iniziato ad ascoltare, quindi chi fa è protagonista e chi ascolta è narratore. La storia potrebbe essere pure a puntate, dipende per quanto tempo ancora Luì avrà voglia di raccontare.

Luì l’ho incontrato per la prima volta un lunedì pomeriggio, tardo pomeriggio per la precisione, alle Cicogne, faceva la spesa. Ho saputo dopo che entrambi eravamo lì per la stessa cosa, il lunedì tardo pomeriggio alle Cicogne c’è la più alta concentrazione di single del mondo, uomini e donne, senza distinzione, tutti prendono il carrello grande, quello da due euro,  tutti leggono gli ingredienti sul pacco dei biscotti almeno due volte, sul vasetto della marmellata almeno tre, sul retro dei tomini almeno quattro perché non capiscono cosa vuol dire cagliato al naturale ma con aggiunta di conservanti, tutti prendono almeno tre biglietti prenota-posto al banco del fresco, i primi due lì saltano d’ufficio perché vogliono fare più fila, serve a socializzare. Tutti arrivano alle casse che hanno il carrello semivuoto, di solito un deodorante, un dentifricio ed un pacco d’acqua che tanto serve sempre.  A casa io ho di media quattro dentifrici, sei deodoranti, un pallet di naturale, niente da mangiare perché noen ho comprato altro.
Anche Luì era lì per quello, però era distratto, stava in fila al banco del fresco, perdeva tempo ma non socializzava, guardava, contraccambiava lo sguardo della vicina di carrello, un sorrisino distratto, anzi verosimile, ma niente, non una parola. Leggeva l’etichetta del tomino, la vicina di carrello chiese:  “Cosa dice, sarà genuino?”.  E lui: “Genuino? Mah… non saprei…,  stavo controllando qual’è l’azienda che ha realizzato l’involucro, sa… è per lo sviluppo”. E lei: “Ahh, lo sviluppo… interessante. E chi è?”. E lui: “Chi è chi?”.  E lei: “L’azienda!”. E lui: “Eh non lo so, non riesco a leggere, lei mi disturba!”. E io pensavo: “Luì perché non vieni il martedì mattina a fare la spesa?”.

Facciamo un passo indietro, anzi una digressione esplicativa: Luì non è cattivo e nemmeno scortese, è solo un distratto impegnato, pensa  ad altro, anzi pensa quasi sempre ad altro, anzi pensa ad altro (col tempo ho scoperto  che altro è il suo pensiero fisso) e contemporaneamente pensa ad ulteriori cose, va da un minimo di sei ad un massimo di nove.  Quindi ha il cervello molto occupato. E solitamente quando pensa gli squilla il telefono e arriva una mail e gli squilla un altro telefono e qualcuno lo chiama dall’ufficio di fianco, e quindi quando va al supermercato l’etichetta del tomino la vuole leggere da solo e si infastidisce se una con il carrello vuoto gli chiede se è genuino. “Cazz.. non hai ancora comprato niente, ma leggitela da sola l’etichetta… e poi lasciami perdere che tu sei il 34 in fila e io il 48 con in mezzo il vuoto, ci sarà una ragione??”.
Ecco io ho iniziato ad osservarlo Luì, mi ha incuriosito, la prima volta siamo arrivati insieme alla cassa due, volevo vedere cos’aveva comprato: dentifricio, deodorante e il gel. Allora io, così sfrontatamente, gli faccio: “E l’acqua?”. E lui: “L’acqua no, bevo quella del rubinetto”. E io: “Da quando?”. E lui: “Da un po’”.  E’ stato lì che ad un certo punto ho aggiunto: “Luì, voglio scrivere la tua storia, sto cercando un verosimile distratto da un pensiero fisso e da almeno altre sei-nove cose, ti va di raccontarmela?”. E lui: “Cosa? La mia storia, il mio pensiero fisso, le altre sei-nove cose?”.  Ed io: “Quello che ti pare!”. E lui: “Il pensiero fisso non te lo racconto, le altre sei-nove cose cambiano sempre,  la mia storia è molto affascinante a ben pensare, può sembrare banale, quasi ordinaria, ma non è così. Sappi che io sono uno che le cose le fa, le fa subito quando le vuole fare, le fa in fretta, in fretta riesce a fare e a disfare quasi tutto, mi vengono degli scatti all’improvviso, dei lampi di genio, anche qualche lampo da coglionazzo a dire il vero, sono diretto, sono un diretto moderato reazionario,  sono un puro, forse effettivamente c’hai visto bene, sono un verosimile”.

E io: “Luì, per me te sei matto!”. E lui: “Sei la seconda persona che me lo dice nell’arco delle ventiquattrore ore, mi hanno detto pure che sono stronzo, però non è vero”. E io: “Luì, smettila di dire delle parolacce che non voglio scadere nel volgare”. E lui: “Hai ragione scusa, la smetto. E sappi che ti ho chiesto scusa adesso e non lo farò mai più, perché io dico grazie, prego, per favore, buongiorno e buonasera, ma non chiedo mai scusa, anzi chiedo scusa solo se ti pesto un piede per distrazione, perché se io una cosa la voglio fare la faccio, se la voglio dire la dico e quindi sono convinto sia assolutamente inutile far finta di fare il pentito a posteriori, è una regola di vita”.

E così Luì ha iniziato a raccontare la sua storia, ora io esco di scena, mi limiterò a qualche accenno, la storia proseguirà in prima persona perché voglio che sia verosimile e quindi credo che l’Io si adatti meglio.

Faccio subito presente, lo dico prima a scanso di equivoci, che in questa puntata  come forse nelle successive (sempre ammesso che ce ne siano), ogni riferimento a cose o persone sarà puramente casuale, nel senso che sarà un caso se Luì deciderà  di raccontare di loro,  sarà perché a turno si saranno trovate tra le sei-nove cose variabili e il pensiero fisso, o forse saranno parte di quelle o di questo.

***
Oggi è uno di quei giorni che ho deciso di andare a Bologna, dovevo trovarmi un impegno per poter scaricare un altro impegno che non avevo voglia di avere: “Guarda, mi piacerebbe moltissimo, lo sai che mi piacerebbe moltissimo, ma oggi davvero sono già impegnato,  ho un appuntamento, l’ho fissato da tempo, è importante, devo andare a Bologna”, “Peccato, speravo davvero di poterti vedere, mi piace sempre passare un po’ di tempo con te”, “Sì, lo so, hai ragione, come biasimarti d’altronde (ride eh eh… nda – anzi nota di narratore, scusate non ho resistito), ma davvero non posso, facciamo un’altra volta, ti chiamo io, presto sai, va bene?”. “Certo, ci conto Luì, ma chiamami però?!”. “Certo, ti pare, quante volte non ti ho chiamata?”, “Veramente molte, però lo so che sei sempre impegnato…”, “Sei comprensiva, ciao, a presto eh…”, “Sì ciao, un bacio”, “Sì, anche a te, ciao ciao, arrivederci eh…”.

“Ok, ora vado a Bologna, non mento mai io, al massimo racconto una verità verosimile…”.
……

(finire così mi piace, spero di aver creato pathos, voglia di aspettare la prossima puntata  - sempre che Luì abbia voglia di raccontare ancora  - altrimenti rimarrete col dubbio di che cosa diavolo sia andato a fare a Bologna da solo…, se invece non vi frega niente eviterete di leggere le prossime perché saprete già di che cosa si parla….quindi a questo punto... buonanotte)

Gli orchi non esistono

“Ciao!”

“Ciao! Come stai?”
“Bene dai, tutto bene, sì insomma, più o meno, al solito, tutto ok, dai nevica”

“E’ vero nevica, ascolta ti chiamavo per dirti che mi ha chiamato una mia amica, una dai… capito chi? Mi ha detto che i tuoi racconti, sì insomma…  i tuoi racconti… cioè... i tuoi racconti… i tuoi racconti non si capisce niente! Carini, sì, accettabili, però sconclusionati, senza sequenza, senza filo logico, avanti e indietro, flash-back e un gran casino. Lei non ha detto casino perché è forbita ma il senso era quello!”
“E tu che le hai detto??”

“Maa.. le ho detto che tu effettivamente non scrivi per tutti, per pochi ma non per tutti, e chi vuol capire capisce e chi non vuol capire non capisce, e chi prova a capire è più confuso di te”
“Ma no, non c’è confusione, ho raccontato la storia quella bella dell’inizio dove tutto poteva succedere, ho fatto il prequel, il sequel,  mi sono soffermato sui dettagli, ho fatto teoria applicata parlando di single-sburi sburissimi-zioni e zione, ho allargato la visuale, ho ristretto (caspita ho ristretto la visuale, non ho capito bene dove ma mi sembra una gran cosa!), sto raccontando la storia quella solita della fine dove quasi niente può succedere. Dai ti sembra una roba confusa??”

“Effettivamente è quello che penso anch’io, oddio, sinceramente un po’ di complicanza c’è, però chi ti conosce lo sa che le cose semplici tu le rifuggi.. però che non scrivi per tutti è vero, o no?”
“E’ vero? Sì, un po’ forse è vero,  ma ho provato qualche volta a scrivere per qualcuno da solo (“o” asessuata per aumentare la confusione di genere!) ma questo si è perso lo scritto, forse non era troppo interessante ho pensato, o forse era prevedibile, o forse perché nevicava, e quando nevica “ci si organizza” per quando smetterà, perché smette sempre di nevicare, tu credi di poter fermare il tempo magari con una foto di qualcosa di scritto sulla neve ma non conta, la neve si scioglie, e la foto per quanto sia è solo un ricordo, anzi un ricordino, come quello della prima Comunione”

“Ahh! Sai che credo abbia ragione la mia amica? Ma che cosa cavolo dici??”
“Ma mi ha chiamato solo per questo? Non mi fare delle domande difficili che sono le sei del pomeriggio”

“Ok, ascolta, volevo dirti anche questo, io prenoto per maggio, chi c’è c’è poi al massimo i ritardatari vengono a piedi…”
“Si va bene, prenota e dammi l’iban che ti bonifico!”

“Ok, ciao!”
“Sì ciao!”

Click.
Poi finisce la telefonata e rifletti, e pensi: “E se ha ragione la sua amica? E se non si capisce?”.  Si ma chi se ne frega poi se non si capisce, uno si inventa una storia, una storia che parla di un orco che già questo deve far riflettere, gli orchi non esistono e quindi non possono esistere nemmeno le storie di orchi, ma tu poi decidi di scriverla ugualmente e già questa è una grande forzatura. Una storia che non esiste non si capisce nemmeno, è chiaro no? L’unica possibilità è usare la fantasia, bisogna immaginare,  e allora vedi questo ometto a forma di orco che va a mangiare della gran piadina, poi inizia a correre perché altrimenti a forza di piadine ricche di carboidrati diventa una botte, poi rallenta la corsa perché gli fa male un ginocchio, il destro, poi  l’altro, il sinistro, poi si mette la ginocchiera ma ne ha solo una, poi inizia a nevicare.  A nevicare sì, e la neve mette sempre di buon umore,  a parte quelli che si ribaltano con la macchina prima delle Casacce, che non credo siano proprio proprio contentissimi però...

E la fantasia bisognerà usarla anche per immaginarsi la fine della storia dell’Orco perché questa è l’ultima puntata, volevo aspettare ancora un po’ a scriverla, perché in fondo mi piaceva raccontare dell’Orco, ma mi hanno detto che aspettare non serve, allora ho pensato che è bene smettere di raccontare. Questo non significa che l’orco non correrà più, magari lo vedrete ancora zoppicare sui viali o su e giù per la collina, mangiare piadine a destra e a manca, drogarsi di caffè, correre con la macchina per arrivare in tempo, fare il cavalcavia due volte alle otto di mattina per un quattordici secondi di splendore, lo vedrete farsi travolgere da un tacco dodici, da un vestitino nero che fa paura, da un espressione un po’ così, perché l’orco è fatto “un po’ così”, però io, narratore confuso,  racconterò d’altro, sempre se ne avrò voglia s’intende…

Lo sburo, lo zerbino e....

“Ma perché sei sempre arrabbiato?” – “Arrabiato? No, non sono arrabbiato!” – “Non è vero, sei insopportabile quando fai così, mi sono rotta” – “… … …” – “… … …” – “Cosa fai perché stai zitto?” – “Ti sei rotta?? Ti sei rotta?? Ti stai rompendo??” . Click.

“Ciao sono io!” – “Io, io nel senso di tu? Ma ciao, ma… …. non dovevamo sentirci più?” – “Sì però ho cambiato idea, se arrivo tra un’oretta??” – “Un oretta? Bè… mai più? Un oretta?? Va bene, sta bene per un oretta”. Click.

Ecco dietro a queste due telefonate sta la fenomenologia dell’uomo moderno, sì, moderno.

Da qui si può capire tutto, cioè bisogna interpretare e consequenziare (esiste consequenziare, si può dire, lo so io),

Partiamo dall’inizio, dalla prima telefonata, non è importante il perché, cioè non è importante ai fini della nostra analisi, lei “si è rotta”, lui “click”, (si potrebbero anche invertire le parti cioè lui si è rotto è lei click, ma io la vedo dal punto di vista maschile ancora  per adesso), comunque questo è. Ecco allora che scattano le tre tipologie di uomo: l’uomo "zerbino" e l’uomo "sburo",  dove sburo è un misto tra duro e sburò, e poi c’è la versione "sburo sburo" che è un misto tra duro e duro maledetto, ma questa non so se sarò in grado di descriverla, fa quasi paura.
E’ il fare o il non fare la seconda telefonata che discrimina lo zerbino dallo sburo, per lo sburo sburo vediamo dopo…  magari un cenno. Lo sburo passa nel giro di tre secondi alla seconda telefonata, perché lo sburo ha sempre una telefonata di scorta da fare, una porta lasciata volutamente semiaperta, dall’altra parte c’è sempre normalmente una donna che sa vivere e lo sa che lo sburo in fondo è un semplice e se chiama è perché è arrabbiato o scazzato o anche scaricato  e quando arriverà dopo un’oretta sarà nervoso e dirà: “oggi davvero è stata una giornataccia al lavoro, per fortuna che ci sei tu, ma perché non dovevamo vederci più?”. Lei non chiede niente, non risponde, non commenta, perché tanto sa che partirebbero una serie di racconti senza capo né coda, finti come l’ottone, infarciti di parole inglesi, in cui tutto inizia con un grossissimo problema con una trattativa internazionale che lui aveva la soluzione in tasca ma il suo capo non l’ha voluto ascoltare e l’azienda in questo modo andrà al collasso e lui che lo sapeva e se anziché tarpargli le ali lo avessero ascoltato il fatturato sarebbe centuplicato in tre giorni, in realtà lui il pomeriggio ha giocato a Ruzzle e perso tre partite e comprato la ruota di una moto su e-Bay. La donna che sa vivere tutto questo lo sa, e abbozza.  Per completare la propria strategia da manuale, lo sburo, subito dopo il click alla prima telefonata spegne il telefonino e lo chiude in cassetto e prende l’altro telefono segreto che se per caso chiama un suo amico che vuole andare a vedere la partita è pronto e chiude la porta lasciata semi aperta. Perché nella vita ci sono delle priorità.
Lo sburo sa che è importante lasciare il telefonino spento almeno 36 ore, anche perché per un po’ di tempo lo sburo è effettivamente impegnato, o con la partita o con la donna che sa vivere, poi comunque una volta riacceso si controlla se sono arrivate chiamate, se sono arrivate (e questo mette lo sburo in posizione di enorme forza relativa) si lascia acceso e si aspetta di essere richiamati, alle prime tre richiamate non si risponde, il risultato migliore è se le richiamate arrivano in successione rapida di tre secondi l’una dall’altra, alla quarta, che normalmente arriva dopo mezz’ora, si risponde con un silenzio e nove volte su dieci dall’altra parte si sente: “… … dobbiamo vederci stronzo,  mi hai fatto stare male, perché hai spento? Perché non mi rispondevi?”. Lo sburo ghigna in silenzio e dice: “volevo stare solo, avevo bisogno di riflettere, sono stato male”. Apoteosi. 147 punti. “Ci vediamo??”, “Non lo so”, “Dai?”, “Va bene, passo io da te tra un’oretta”. Si perché prima lo sburo deve chiamare un suo amico per raccontare come è andata la sera prima, dovrà raccontare con dovizia di particolari la sua serata alla Rocco, che sarà tale anche se lui era a vedere la partita con un altro.
Se non ci sono chiamate la situazione si complica e allora è bene tenere spento per altre 36 ore poi si vedrà. Sono i rischi del mestiere.

Invece l’uomo zerbino, l’uomo zerbino la seconda telefonata non la fa, per prima cosa perché anche se la facesse e arrivasse a casa della donna che sa vivere non racconterebbe della trattativa internazionale ma il discorso finirebbe sulla prima telefonata perché vuole sapere cosa ne pensa lei e la donna che sa vivere a quel punto lo caccerebbe a calci nel sedere, poi perché l’uomo zerbino non spegne il telefono ma manda un messaggio dopo 3 secondi dal “click”: “scusami, non volevo essere duro”. Apoteosi. -276 punti. Non volevo essere duro? Ma per piacere!!! Ma se l’ultima volta che sei stato duro è quando sei andato a far la spesa alle Cicogne e hai detto alla commessa del banco salumi: “Signora questa volta però il prosciutto me lo dia senza la cotenna… per favore si intende!”. L’uomo zerbino ha perso, ha perso interesse, dignità, la consecutio logica è: “Guarda, ho riflettuto, meriti di più, non puoi soffrire per me, ti penserò sempre, però è meglio se non ci vediamo più, ciao..”. La telefonata è necessariamente breve perché stanno arrivando messaggi con tentativo di chiamata da parte di un altro, uno sburo probabilmente.  L’uomo zerbino sprofonda, click lo fa la sua testa, diventa verde e per fortuna che al telefono non si vede, balbetta, quasi singhiozza, potrebbe sfuggire pure un “ti prego…”  ma desiste, passa alla fase tonnellate di rose, foto dei momenti  più belli, forse anche foto dei monumenti più importanti, messaggi strappalacrime. Due alternative: silenzio oppure lei accetta di ri-uscire perché vuole vendicarsi dello sburo di turno che è andato a vedere la partita di pallone dando buca all’ultimo momento.
   
Poi... a volte..., raramente però, c’è chi si ferma sul perché della prima telefonata, magari lui è veramente arrabbiato, più che arrabbiato triste, non vorrebbe ma è così, triste perché forse è davvero un periodo duro, duro perché non ci sono trattative internazionali ma tanti problemi locali che lui cerca di risolvere velocemente per essere più tranquillo e razionale ma non è sempre facile, ed il bello è che vorrebbe risolverli per essere più  sereno, più sereno per lei tra l’altro. Sì perché a volte c’è qualcuno che ama fare le cose per lei e non per compiacere modello zerbino ma perché prova un piacere personale in questo, è davvero quello che vuole e se non ci riesce o non ci riesce come vorrebbe, perché non può o perché non gli viene consentito, ecco allora si innervosisce, si intristisce, e diventa pure antipatico. Chi pensa alla prima telefonata non lo so collocare in una categoria, è un pensatore che ci tiene forse. Cosa vuol dire?  Il “ci tiene” si capisce, ci tiene a lei, molto, potrebbe essere pure moltissimo, forse anche un’esagerazione, ci tiene perché altrimenti non sarebbe teso-arrabbiato-antipatico; il “pensatore” invece dipende a cosa pensa. Il pensatore che ci tiene di solito pensa semplicemente a lei, non a loro, a lei,  e per questo a volte non dorme molto, pensa che forse sarebbe meglio di no, ma non vuole, e bisogna sforzarsi perché non è mica facile, pensa che cazzo come sarebbe cattivo il caffè da solo (attenzione non da solo in assoluto, da solo senza di lei!!) e allora pensa che chissenefrega se deve fare i trecento per arrivare alle 8,45 a diciotto km di distanza, se una cosa si vuol fare si fa,  sempre,  anche se dura 5 minuti, perché a volte 5 minuti possono essere intensissimi.  Ecco di solito il pensatore che ci tiene pensa a come si possono fare  le cose difficili, anche quelle difficilissime,  non è detto che ci riesca ma ci pensa, anche la notte, anzi forse la notte pensa a come si possono fare le cose impossibili...
 
E lo "sburo sburo"?  Behh, lo "sburo sburo" non avrebbe nemmeno fatto la prima telefonata perché lui lo sapeva già che sarebbe finita così….

 

 

Me lo racconti dall'inizio papà??

C’era una volta… iniziano così le favole no? Non ho mai scritto una favola, nemmeno adesso che a volte mi capita di raccontarle alla mia scricciolina che mi dice sempre: “me lo racconti dall’inizio papà??”. Qualsiasi cosa, le interessa sempre  sapere com’è iniziata, puoi raccontarle una storia, una sciocchezza, una cosa serissima, puoi parlarle di Lupina o di Benito (Benito è il nostro cane nero!) e lei sempre: “me lo racconti dall’inizio papà??”.

Ecco provo a raccontartelo dall’inizio, anzi, ti racconto l’inizio perché la fine ancora non l’ho pensata.
C’era una volta un bimbotto magro, con la testa grande, i capelli a caschetto senza gel, suonava il pianoforte ma non era capace, a dire il vero cantava meglio di come suonava ed il che è tutto dire, la pelle scura, timido, gli occhi marroni e le occhiaie verdognole tendenti al nero quando era ammalato oppure quando era arrabbiato, non era proprio bello bello, aveva cinque anni e voleva sempre stare con i grandi,  voleva intervenire nelle loro conversazioni, le imposizioni lo infastidivano, si atteggiava ad adulto senza sapere che una volta cresciuto si sarebbe atteggiato a bambino, e avrebbe voluto parlare con i piccoli, avrebbe voluto che Qualcuno di grande gli desse consigli, non li avrebbe seguiti nemmeno allora però ne avrebbe sentito il bisogno.  Quel bimbotto sopravvalutava la propria forza, tanto che decise pure di sfidare a duello John Lazzano, due metri contro uno, Davide e Golia. Vinse Golia.

“Mamma, Papà , qui non si tocca, qui è alta, non vedo i piedi, torniamo indietro”… “No, smettila, si tocca, guarda… quelle sono le tue dita” … “No, affogo, l’acqua mi arriva alla bocca, bevo!”. Si tocca è relativo per un bambino di cinque anni che non sa nuotare e non vuole imparare, non vuole imparare perché non sopporta di essere imparato, vuol fare da solo e visto che da solo non riesce vuol fare senza.  Il tempo è passato, il bambino è cresciuto, ama frequentare sempre gli stessi posti, le stesse spiagge, gli stessi mari, anche durante l’inverno, è cresciuto ma in fondo è rimasto lo stesso, tanto che non sa ancora nuotare e non vuole nemmeno imparare, perché se decide che  non vuole, non vuole,  il tempo non serve a nulla.
E’ febbraio, c’è un po’ di sole ma fa freddo (un bravo contafavole direbbe “un pallido sole tenta invano di riscaldare la sabbia, ma niente, non ce la fa…”), il suo papà non c’è più, oddio non c’è più, è da un po’ che non si fa vedere, un po’ tanto a dire la verità, troppo mi sembra eccessivo per una favola, il bimbo lo cerca lì attorno, vorrebbe dirgli “guarda papà che adesso tocco anch’io, andiamo a fare il bagno?!”, ma cosa vuoi, forse si è nascosto bene,  i papà ad un certo punto si nascondono molto bene, è sempre stato così, però per raccontarti l’inizio questa volta c’è tempo. Dicevo è febbraio, il bimbo cresciuto passeggia lungo la spiaggia, alle spalle il delfinario, è chiuso, i delfini in questo periodo dell’anno sono in letargo, come l’orco, i più forti si sveglieranno di nuovo a primavera, i più deboli solo ad estate inoltrata, si sveglieranno per fare il loro spettacolo e mangiare qualche sardina, non salata però, fresca, anche un po’ di tonno, non in scatola però, fresco.

E allora che fa il bambino sulla spiaggia se il delfinario è chiuso? Mahh... passeggia, respira, si annoia, legge, zoppica per via del menisco e della sabbia (che poi non lo so se è il menisco, ma dirlo fa molto sportivo vissuto e rende la favola più avventurosa), scatta foto, scatta foto stupide perché vuole spedirle lontano, vuole spedirle per raccontare quello che sta vedendo in quel momento, è un modo per soddisfare la sua voglia di condivisione, una condivisione a distanza, sarebbe più interessante se la distanza avesse voglia di condividere con lui, ma lui se ne frega (non è vero) e scatto lo stesso, e spedisce lo stesso, non è uguale ma cosa vuoi… se una cosa la vuol  fare la fa, e se è solo con la distanza che vuol condividere, accetta.
Fotografa anche il cacciatore di molluschi, ha la barba bianca, molto più bianca della tua, raccoglie molluschi di frodo, è un bracconiere ittico, ha un retino piccolo piccolo per non dare nell’occhio,  un passamontagna calato solo a metà per proteggersi dal vento e per fare mistero. Tira vento, sì… una leggera brezzolina, fredda fredda che ti vien voglia di entrare nella cabina del bagnino, il bagnino che conservava il portafogli marrone e grosso del tuo papà, chissà che fine ha fatto, forse si è nascosto anche lui (il bagnino, non il portafogli, quello ce l’hai tu!). Il portafogli era grosso perché il tuo papà conservava tutto, carte, cartine, cartacce, lettere, di solito lo portava nella tasca dietro dei pantaloni oppure lo lasciava alla tua mamma per conservarlo nella borsa, ma solo quando era “vestito di nuovo”,  al mare però non c’era la tasca dietro nel costume e la tua mamma non aveva la borsa, quindi lo lasciava al bagnino. Anche tu una volta volevi portare il portafogli nella tasca dietro dei pantaloni, ti piaceva, faceva grande, poi però hai scoperto che il portafogli si rovinava, i pantaloni pure e oggi hai deciso di portarlo nella tasca della giacca, ma non è la stessa cosa, si è perso il fascino, così come ti piaceva un sacco lasciarlo nella borsa, ma ora non hai la borsa giusta e quindi lo porti nella giacca. Insomma, hai un portafogli senza fascino, speriamo nel bagnino.

Una barchetta bianca sta navigando di fronte a te, è piccola e inclinata, si muove a due metri dalla riva, ondeggia da far paura, è bianca con una riga rossa sul fianco, il nome non si legge, è scritto in piccolo, è sbiadito. Chissà se il capitano sa nuotare? Se quel bimbotto avesse imparato a nuotare forse ora sarebbe capitano pure lui, anzi tenente, tenente di vascello. Mi piace esagerare.
Scricciolo sai che un cane bruttissimo e tozzo con le orecchie nere e il muso schiacciato sta facendo la pipì sul pattino del bagnino semisepolto sotto la sabbia? E’ davvero brutto quel cagnetto, era molto più bello Zorro, molto più bello anche se mi ha morso sul dito che adesso ogni estate mi si secca l’unghia, ma dov’è andato Zorro? Si è nascosto anche lui, ohe ma qui si nascondono tutti?

Nevica, si ora sta nevicando  e mi viene voglia di andare a far due passi, anzi no, veramente ho voglia di “bobbare”. Bobbare? Sì! Dicasi bobbare la pratica del tipico sport invernale da discesa che per essere fatto proprio bene bene abbisogna di un bob rosso, con la cupolina blu, con due posti blu che è sempre più grande di quello dei tuoi amici, che hai trovato una sera quando sei ritornato a casa con la tua mamma e il tuo papà non si era ancora nascosto, e quando ha visto la tua faccia si è messo a ridere, e rideva nello stesso modo e con la stessa espressione che oggi, anzi ieri, aveva quel bimbotto che non sapeva e non sa nuotare.
Avevo detto che avrei raccontato l’inizio e non ti sembra? No, ti assicuro…  è iniziato tutto così.   
 

L'orco e il maresciallo

Dice il mio caro amico maresciallo alle 22.47: “…è da troppo tempo che non scrivi, mi ci sono abituato, volevo leggerti e invece??”. “No Maresciallo scrivo ma non pubblico perché l’interesse scema, ho visto le statistiche, anzi i sondaggi on line, e non mi leggono. Continui a collegarti tu, tua cugina e due miei amici di vecchia data, non ne vale la pena…”, “Scusa ma tu scrivi per essere letto?”, “Behh? No… cioè sì… no insomma…  se scrivo pubblicando è perché mi diverto ad essere letto altrimenti scrivo per me”, “No, sbagliato, chi scrive scrive perché ha da raccontare indipendentemente da  chi legge, e che ti frega se non si collegano..”, “Si ma chi scrive ha voglia di provocare emozioni, se porta disinteresse meglio lasciar perdere”, “Basta con ste cagate, chi scrive scrive perché ha qualcosa da dire e chi legge legge perché ha tempo per farlo”. “Certo che la tua logica non fa una piega, va bene, la prossima volta che non ho sonno scrivo e pubblico”, “Ok, domattina mi collego”.

E io vado subito in ansia da prestazione! E adesso che racconto?? L’orco no, l’orco è in letargo, l’hanno mandato a dormire, lui non c’aveva voglia (ci apostrofo aveva mi raccomando!) ma l’hanno mandato ugualmente, e allora? Scrivo dei quarantenni? Già fatto, sarei ripetitivo, va bene che lo scrivano come lo scrittore ha i suoi temi, ma sempre le stesse cose no! E allora scrivo dei single? Anche questo già fatto, era venerdì. “E allora maresciallo sono a corto… a corto di idee e di ispirazione…, potrei scriverti del mio lavoro ma non è tema da racconto on line, potrei dirti che una delle ultime imprese dell’orco è di aver rifiutato l’opportunità di trasferirsi in città, vitto e alloggio di classe per sviluppare in centro, un orco sotto le due torri, :” “(virgolette nelle virgolette)  dai vieni a trovarci Orco, cambia prospettiva, ti conviene! Credimi!!”, “no signora molto gentile che parli con me, non posso, sono impegnato, oddio impegnato, sono, ecco sono, non posso perché sono. “ “ (chiuse tutte le virgolette).
“Non posso perché sono?! Ma lo vedi maresciallo cosa sto scrivendo?? Dai basta, devo abbandonare. “, “No dai racconta!!”.  E invece non c’è nulla da raccontare, gli sburi veri avrebbero da raccontare, gli sburi veri avrebbero risposto qualcosa del tipo: “Sviluppo sotto le due torri??? Io sono lo specialista dello sviluppo, io sotto le due torri ci faccio una festa, sono il pr  dello sviluppo, voglio l’ufficio dentro le due torri, sono piacione e divertente. Quanto mi paghi?? Così poco? Voglio almeno il triplo”. E invece questo povero orco anche alla seconda telefonata, quella del venerdì sera alle 19.05 in cui veniva invitato a ripensarci, diceva: “No, sono a posto così!”. Dai maresciallo ma ti pare una risposta questa? “Sono a posto così!”, ma non ci crede nessuno, non ci credeva nemmeno lui mentre lo diceva, e non ci crederà nemmeno domani quando e se lo scriverà, però l’ha detto… E io dovrei raccontare una cosa del genere?

“Eh effettivamente… e perché allora??”, “Ma non c’è un perché maresciallo…”, è così, a volte capita di scegliere secondo istinto, una scelta sragionata ma di cuore, e non di cuore quello smieloso, di cuore quello che batte quando serve, veramente anche quando non serve, anzi quando non dovrebbe,  di quello insomma che pompa il sangue a 123 km orari anche alle 22.47, anche con un tre quattro bicchierini di Montenegro che serve  per digerire,  di quello che il pomeriggio anziché dormire ti fa giocare a Ruzzle contro tutti, anche contro mammina12, che poi scopri essere un agente dei servizi segreti infiltrato nel tuo blog da kamicaze deviati in lotta con se stessi, di quello che ti dimentichi anche di prendere l’antibiotico per tre sere di seguito e la cura la inizi con tre giorni di ritardo, insomma quel cuore che ti  fa fare un gran casino, un gran casino dentro e fuori.
Ecco maresciallo ho scritto, ho scritto un rompicapo, anzi ho scritto niente affinchè tu possa interpretarlo come ti pare, è un racconto consapevole di quello che è e non dovrebbe, di orchi e cuori battenti, di letarghi (??) e pr d’assalto, di servizi segreti e deviati,  non c’è un filo logico, anzi non c’è proprio filo, però così hai qualcosa da leggere, sei contento?