Epilogo di una breve storia triste - il fumo fa male. Ribadisco che ogni riferimento a persone o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.

E comunque (e lo so che non si inizia così), di chi è uscito a comprare le sigarette non si preoccupa più nessuno.
E' un fatto, succede sempre, tutti sono concentrati sul “cosa succede prima”, sul perché, sul quando, sui figli, sulla casa, i bagagli, le bollette, il piove, il c’è il sole, l’amante, il cugino, ma...  sul poveraccio che “esco a comprare le sigarette” cala l'oblio, e invece - dietro a quel pacchetto - c'è un mondo.

- “Un pacchetto di Super senza filtro.. grazie”
- “Eh?! Un pacchetto di cosa?”
- “Mhh.. di Super?”
- “Ma non esistono più! Uscite di produzione nel 1982, ma scusi lei da quando non fuma?”
- “Da sempre, ho deciso di iniziare questa sera!”
- “Ah! Bene. Allora le do le Marlboro light da dieci”
- "Grazie"
- "Prego"
- "Si figuri"
- "Arrivederci"
- "Sì, a presto"
- "Sì"

Fosse un film ora l’inquadratura si allargherebbe in esterna, la porta del tabacchi si apre, la T che sta sopra l'ingresso illumina il marciapiedi sconnesso di una fioca luce blu, lui che esce,  viale alberato buio e deserto, un autobus rosso che attraversa lo sfondo, l’umidità della sera, il giubbotto di pelle, le Marlboro Light nella tasca destra, un nero in bici che passa veloce, lui che digita il numero di un tale “Marino di Ravenna” sullo smartphone...

(Legenda: corsivo grassetto sta per tono di voce vicino a zero, quando lo incontrate leggete per favore pensando in silenzioso, il dialogo acquisirà tutto un altro sapore)
- “Pronto? Ma perché mi chiami a quest’ora?!
- “L’ho fatto!”
- “Dica... Cosa hai fatto, cosa cazzzzzo hai fatto?
- “Me ne sono andato. Di casa. Prima. Dieci minuti fa. Per sempre”
- “Guardi non m’interessa, ho già Sky Premium Infinito… ma sei scemo? E mi chiami pure??
- “E chi dovrei chiamare?”
- “Ora la saluto, grazie... domani scemo, ci vediamo domani razza di un cretino rimbambito

Domani, lei, lei nel senso di “Marino di Ravenna” che avrete notato non ha tra le sue caratteristiche caratteriali quella di essere comprensiva, al solito parcheggio dell’Esselunga di via Como, al solito orario, non c’è.

La spunta non solo non è blu, ma non è nemmeno doppia, il cellulare è proprio spento, il tempo passa, lui guarda le Marlboro, realizza di non avere un accendino.
Ad un certo punto arriva Anita, un’amica di Marino... di Ravenna pure lei.

- “Guarda hai fatto una cazzata, Lisa non verrà e mi dice di dirti che devi cancellare il suo numero, non la devi più cercare, lei non esiste più, anzi mi dice che non è mai esistita, ti ha già bloccato su Facebook, Instagram, Tinder, WhatsApp, Telegram,  Twitter, Messanger, WeChat, e ti avvisa anche che se proverai a cercarla di denuncerà per stalking, ma soprattutto vuol farti sapere che ce l'hai piccolo e se non te l'ha mai detto è perché non voleva ferire il tuo orgoglio di maschio beta, e dico beta perché ad Alpha non puoi neanche aspirare in sogno."
- "Ah, ha detto così"
- "Sì"
- "Capisco"
- "Ma posso chiederti una cosa?"
- "Dimmi.."
- "Ma che ti è saltato in mente di andartene di casa?"
- "... … … … volevo essere libero"
- "Bha.."
- "Comunque ciao, e ti chiedo un favore, portale un messaggio da parte mia, dille che non ce l'ho piccolo, è che sono alto… non risalta"

Lui ora è triste, ci pensa, è libero sì, ma è triste.
Ci ripensa... e si dice che in fondo era triste pure prima, prima di uscire intendo, e non era nemmeno libero.
Ora il lui triste e libero, uscito a comprare le sigarette e scaricato da quella che credeva la vera donna della sua vita conosciuta ben due settimane prima in Corso Mazzini angolo Via Rossini, si lancia nel più classico dei repertori da maschio beta ed in successione fa:

- Invia messaggi whats app fotocopia a tutti i contatti della rubrica che finiscono con la lettera A (Agata, Lucia, Franca, Susanna, Marina, Anna, Antonietta….), tanto che si sbaglia e scrive anche a Nonna e Mamma. Il messaggio è sempre lo stesso, "Hei ciao darling!!! Da quanto tempo, sai ti pensavo e allora ecco, ecco, ti scrivo ciaooooooo!"
Quattordici non rispondono, in sette chiedono "chi sei?", cinque "ti ha mollato?", due "fottiti", una "ciao bibin, come stai da quanto tempo non vieni a trovarmi?!" - questa era la nonna.

- Chiama tutti gli amici dalla prima elementare all'ultimo anno di Giurisprudenza passando per quelli dell'oratorio, li inviata a mangiare una pizza, al cinema, a vedere una partita di baseball, a fare un aperitivo, un caffè, con due si propone pure per aiutarli a fare i lavori socialmente utili.
Riesce a rimediare un solo appuntamento, è Franco, quello basso e con le ascelle che puzzavano già a quindici anni, non fuma e non ha nemmeno l'accendino.
Vanno a bere una birra, parla sempre Franco, che tocca e sputa come quando aveva quindici anni.
A mezzanotte, per carità divina, Franco si spegne come quando aveva quindici anni e va a casa.
Il nostro lui esce e va a dormire dalla nonna, in mano un pacchetto di Marlboro Light e ancora non ha comprato l'accendino.

- Si abbandona ad un uso smodato di tutti i social del mondo, chiede 2.548 nuove amicizie su Facebook a donne che vanno dai 18 ai 65 anni e per ogni conferma smolla un "Ciao, grazie per aver accettato la mia amicizia"; piaccia tutte le foto vecchie di almeno tre anni di tutti i profili femminili che visita, raggiunge i 5.000 follower su Instagram, il 98% sono hacker Russi tanto che Report gli dedicherà una puntata speciale accusandolo di essere uno sporco fascista che vuole rovesciare la stabilità democratica di Ortona.

Dopo tre giorni decide che forse iniziare a fumare non è stata una bella idea, lentamente si avvicina alla sua vecchia casa, prima passa in auto, poi in autobus, poi a piedi, poi in bici, poi decide di fermarsi, è l'ora di cena, Carla sarà certamente rientrata chè finisce alle cinque ogni pomeriggio, si è messo l'abito nuovo, quello che piace tanto a lei, quello con il lupetto e la giacca in tinta, si è pettinato, lavato i denti e le mani, ha fatto il bidet e si è cambiato i boxer.

- "Driin…"
- "Sì?"
- "Hei ci.. mha…eh… ma scusa tu? Tu chi sei? Sei l'idraulico?"
- "Io? Io sono Andrea, tu piuttosto chi sei?"
- "E che ci fai qui Andrea!"
- "Io qui ci vivo!^
- "Ma come Carla ha venduto casa senza dirmelo?"
- "No, io qui ci vivo con Carla!"
- "Ci vivi con Carla?!?!?!?!?"
- "Sì, cosa c'è che non ti è chiaro"
- "Ma, ma, ma!! Ma Carla è la mia donna!!"

Rumure di passi felpati si avvicinano allegri alla porta d'ingresso…

- "Andre chi è alla porta? Ah… questo… che vuoi??"
- "Ma Carla, ma come hai potuto? Ma dovevamo fare dei figli! E poi non ti ha spiegato Anita, non ce l'ho piccolo, sono solo alto.."
- "Andre per favore pensaci tu, mandalo via a calci in culo…"
- "No, no Andre, tranquillo vado da solo…"
- (Andre): "Ecco bravo, sciacquati di torno e non farti più vedere"

Rumore di passi strascicati si allontanano lungo il vialetto, è il nostro lui che si avvia mesto, libero e afflitto, poi un guizzo, un dietro front improvviso, di corsa verso la porta, l'impeto dei giorni migliori, gli occhi iniettati di sangue e di vita, vede il campanello e di nuovo:

- "Driiiiiiiin, driiiiiiiiiiin.."
- "Allora cerchi guai amico!"
- "No Andrea, no, nessun guaio, solo una domanda, fumi?"
- "Sì perché?
- "Hai da accendere???"



Tre anni dopo…

La storia di Carla e Andrea, anzi Carla e Andre, ha ispirato il nuovo libro di Fabio Volo dal titolo: “E quella volta che mi sono innamorarmi in tre giorni (anche se la frequentavo da due anni) e decisi di vivere felice per sempre a casa di lei".

La storia di lui, di cui nessuno ricorda nemmeno più il nome, ha dato il via ad una nuova cura per la disintossicazione dal fumo attivo, la stanno ancora sperimentando.


Breve storia triste (ma neanche troppo), dove ogni riferimento a persone o cose realmente accadute è puramente casuale

“Ciao”
“Ciao”
“Com’è andata oggi?”
“Mah... al solito”
“Come ieri quindi?”
“Si, più o meno”
“... o meno, sì...“
“E tu?”
“Mah... al solito”
“Come ieri?”
“Si, più o meno..”
“... o meno, sì...”

Silenzio, titoli del Tg5, tintinnio di posate, Cesara Buonamoci in sottofondo, un gatto miagola nell’appartamento di fianco, il profumo della guacamole si lascia vincere dall'aroma della cotoletta.

“Mi passi l’olio”
“Cosa?”
“L’olio!”
“Ah... ecco, tieni”
“Domani?”
“Cosa?”
“Domani com’è?”
“Bah.. come oggi direi”
“Ah.. e tu?”
“E tu nel senso di io?”
“Si, siamo in due”
“Bah... come oggi direi”
“Immaginavo”
"Eh già"
"Sì"

Meteo 5, “si è aperta la porta dell’Atlantico”, pioggia incessante a Nord Ovest, silenzio assordante di menti spente, calici opachi, sguardi persi tra resti di insalatina scondita e cotolette alla milanese.
Due estranei in sala da pranzo, il gatto del vicino miagola ancora, fuori fa sempre più buio adesso che l'ora legale è diventata solare.

“Senti... ...”
“Si sento, molto bene tra l'altro, perché?”
“No senti nel senso di ascolta! Ma tu..., tu mi ami?”
“... ...”
“... ...”
“Io?”
“E chi sennò?”
“Ma che domanda è?”
“Una domanda”
“Bah... certo, si, ti amo”
“Sicuro?”
“Ancora? Si, sicuro. Mi passi il pane”
“Ma che cos’è l’amore per te?”
“Eh?!”
“L’amore! Cos’è l’amore per te?”
“Mmmh... per me l’amore è un apostrofo rosa”
“Quello è il bacio”
“E chi l’ha detto?”
“Cyrano”
“Beh per me è l’amore è un apostrofo lo stesso, un apostrofo rosa tra le parole dammi tregua”
“Stronzo”
“E il pane?”
“Prenditelo da solo”
“Ah sì! E allora tu? Tu mi ami?”
“Io?”
“Sì tu!”
“Mah, più che altro mi annoio”
“Ti annoi di me?”
“Mi annoio di noi”
“E allora che ci stai a fare con me?”
“Sono abituata, e l’abitudine mi rassicura, e mi da la possibilità di pensare all’evasione, e mi riscalda durante l’inverno, e mi fa sembrare meno brutte le rate del mutuo, e magari un giorno i figli, e gli amici sempre gli stessi che non devo cercarne altri, e la Panda di tuo cugino, poi la COOP il sabato mattina, e se non mi raso le ascelle ogni tredici del mese non è la fine del mondo, e poi le sigarette”
“Ma se non fumi?”
“Infatti, pensavo a te, pensavo che un giorno potresti uscire per comprarne una stecca senza rientrare mai più”
"E che faresti se non rientrassi mai più?"
"Sposterei le tue cose in cantina, getterei il tuo spazzolino da denti, comprerei un cane, una bici, un paio di scarpe da jogging, metterei la spirale, ridipingerei di rosa la cabina armadio, passerei la notte a guardare le stelle, mi farei una storia con Giulio, sorriderei, andrei a quel vernissage in via dei Carmelitani, farei colazione al bar ogni mattina, scriverei una lettera d'amore a Renato Zero, il venerdì farei l'aperitivo con Giulia e il giovedì con la Frency, sarei felice, perderei tre chili, mi farei quel week end nella Spa di Villa Abbondanzi, preparerei gli addobbi di Natale a metà ottobre, sarei felice, ricomincerei a studiare, mi farei una storia con Luca, perderei un altro chilo, mangerei in salotto, andrei a dormire con il pigiama di flanella il perizoma e le autoreggenti, guarderei solo il TG1, piangerei, andrei all'Ikea il martedì pomeriggio, sposerei Aldo" 

Silenzio, Brumotti sta prendendo a cazzotti un drogato vicino alla stazione di Rogoredo e non gli hanno nemmeno distrutto la telecamera, il gatto del vicino è diventato afono, la caldaia a condensazione non funziona come dovrebbe ed inizia a vibrare paurosamente.

"Mi passi l'acqua"
"Tieni. E tu che faresti?"
"Io? Beh vedi io non lo so che farei… forse, forse ti penserei"
"Sì, prima te ne vai e poi mi pensi? E poi a cosa penseresti?"
"Penserei che fumare fa male"
"... …"
"Mi passi il giubbotto per favore?"
"Hai freddo?"
"No, esco un attimo, vado a comprare le sigarette"

Chiamale se vuoi... relazioni...

Relazioni: condizione propria di due o più termini in quanto analoghi, interdipendenti o reciprocamente commisurabili; rapporto.

Ed ho trovato un altro post-it, sempre giallo, sempre appiccicato alla mia auto, questa volta sul finestrino laterale, lato guida, stessa modalità, diversa grafia, mille punti di domanda!


"Relazioni, relazioni, relazioni, mi racconti di questo?? Mi racconti cosa sono?? E mi racconti anche chi sono?? E mi racconti cosa fanno?? E mi racconti perché?? E magari anche quando?? Relazioni, dai scrivimi di questo! Entra dentro, cerca di andare oltre, non essere banale, sii sentimentale ma non troppo, cinico ma non troppo, divertente ma non troppo, sii non troppo e dimmi perché uomini e donne fanno così!"




Leggere quelle poche e intense righe mi ha lasciato basito, ho impiegato un po' a riprendere lucidità, e il primo istinto è stato quello di lasciare a mia volta un post-it giallo appiccicato all'albero di fianco al quale avevo parcheggiato (era un platano, molto bello… l'albero dico): 

"Ma per chi mi hai preso? E che ne so io?? Ho fatto ragioneria e pure l'indirizzo commerciale, quello facile, come dicono tutti quelli che non l'hanno fatto".

Il problema è che non avevo post-it con me, solo lo scontrino della colazione, pasta e caffè 2,20 euro (due/20 euro) pagato con Satispay, mi son trovato spiazzato considerando che stava anche per iniziare l'oroscopo di Paolo Fox su Lattemiele. 
E visto che erano le sette e quaranta di un lunedì qualsiasi, che il cielo era azzurro, l'umidità abbondante, ed un gruppo di ragazzini/studenti attraversava sulle strisce di fronte, l'alternativa al pensare (ché non c'avevo tempo) era un qualsiasi dizionario on line.

"condizione propria di due o più termini in quanto analoghi… rapporto"

Io l'ho sempre saputo che nei dizionari si nasconde la saggezza, anche in quelli on line.
Intanto abbiamo capito che "la condizione è propria", dei termini s'intende, e ognuno ha la sua, e i termini non sono necessariamente due, ma pure tre, o quattro, e a volte anche sette, e mica tutti contemporaneamente, o almeno non necessariamente, l'importante è che ci sia analogia.
Questo è il rapporto uomo/donna: un'orgia di analogie.

La scrittrice di post-it la risposta l'avrebbe potuta agevolmente trovare da sola, lì, sul primo dizionario disponibile, piuttosto che chiedere a me una cosa così difficile.
Ma se me la cavassi così sarebbe troppo banale, offenderei la mia fama di analista del niente, e allora…

Le relazioni sono "le donne" e sono "gli uomini", il resto non m'importa ora, non ho interesse ad analizzare in senso lato, troppa noia e inutilità, roba buona per l'Istat e i sociologi, le relazioni qui sono solo gli uomini e sono solo le donne.
Le relazioni ai nostri fini sono capire cosa succede e perché succede, perché …i termini analoghi (uno o più)… si incontrano e si sviluppano, si cercano e si perdono, si sfiorano e si sfuggono, o anche solo perché, pur essendo analoghi e pur essendo termini, può capitare che non abbiano mai la fortuna di incontrarsi per davvero.

La prima ragione sta nella natura, la natura sì, gli uomini e le donne sono fatti per stare, per stare dove decidetelo voi, principalmente per stare insieme dico io.
Per sempre, per un po', per mai, per qualche volta… son tutti dettagli.
Le cose del quotidiano decidono il colore dei particolari ma non la sostanza (anche se ho sempre sostenuto che siano i particolari a fare la differenza), perchè "sì lo so" che c'è quel caffè che preso una settimana prima o una settimana dopo può fare la differenza (tipo che una settimana prima lui è libero e lei no e una settimana dopo lei è libera e lui non più), o c'è quel messaggio inviato troppo presto e letto troppo tardi, o c'è il caso, e ci sono le stelle, la pioggia e il vento, e pure quel rompicoglioni con la Panda gialla a metano che non si schioda dall'incrocio e tu arrivi che lei si è già innamorata di un altro, ma... e dico ma... se un uomo e una donna sono fatti "naturalmente" per stare insieme un giorno s'incontreranno, lo staranno, si relazioneranno, si ameranno e magari pure si odieranno, dopo però, prima la natura farà il suo corso.

La seconda ragione sta nelle analogie, "gli analoghi" sono fatti per stare, per stare dove decidetelo voi, principalmente per stare insieme dico io.
E' una puttanata quella che i simili si respingono e gli opposti si attraggono, una puttanata buona per le calamite…. gli uomini e le donne stanno se sono uguali.
Uguali dentro, uguali oltre le apparenze, uguali nella visione, nel piacere, nelle aspettative, nella voglia di avere voglia.
Gli amplessi epocali sono quelli dove lui e lei cercano lo stesso piacere nello stesso modo con la stessa intensità; le gioie sublimi sono quelle dove lei e lui sorridono nello stesso modo e nello stesso tempo e con la stessa voglia di farlo; l'intesa profonda è quella dove lui e lei pensano la stessa cosa nello stesso momento senza il bisogno di dirselo.
Gli uguali un giorno s'incontreranno, staranno, si relazioneranno, si ameranno e magari pure si odieranno, dopo però, prima l'ugualità farà il suo corso.

La terza ragione sta nella fortuna, il culo aiuta chi vuole stare, stare dove decidetelo voi, principalmente stare insieme dico io.
Sì ok l'impegno, ok la volontà, ok la pazienza, e ok anche il carma e il destino e ok anche Paolo Fox, ma il culo serve, e ne serve parecchio.
Conosco innamorati sfortunati che si sono amati molto ma che insieme non lo sono stati mai, o lo sono stati poco, o lo sono stati male, perché la vita ha deciso per loro, senza una ragione apparente, togliendo senza motivo, per il solo gusto di dimostrare che l'ineluttabile è dietro l'angolo travestito da gatto nero, da specchio rotto, da coccinella che si è spappolata sul vetro di un Suv rosso prima che potesse posarsi sulle vite di quei due.
I fortunati un giorno s'incontreranno, staranno, si relazioneranno, si ameranno e magari pure si odieranno, dopo però, prima la fortuna farà il suo corso (così come la sfiga).

La quarta ragione (e qui penso mi fermerò) sta nell'emozione, l'emozione aiuta chi vuole stare, stare dove decidetelo voi, principalmente stare insieme dico io.
Personalmente son convinto che l'emozione sia il collante più potente di una relazione, l'emozione è l'Attak di coppia, è il bicomponente chimico che appiccica per quasi sempre, è il pomodoro che limona con la mozzarella, è il carburante ed è pure l'innesco e anche l'ossigeno e certamente il fuoco… senza tralasciare il fumo.
L'emozione è vita, emozionarsi insieme è coppia, è godersi, è avere paura in due, è potenza, è mente e cuore e anche fegato (qualcuno si è spinto ad affermare che sia anche pancreas e milza), è futuro e anche passato, è oggi.
L'emozione è tachicardia, è odore, è la Nutella, sono i baci che non finiscono, gli sguardi che si cercano, sono le attenzioni tanto dolci da far cariare anche il fluoro.
Chi non si emoziona non si ama, chi non si emoziona più non lo ha mai fatto davvero neanche prima.
L'emozionata fa l'amore con l'emozionante, gli emozionati si trasgrediscono, l'emozione uccide la noia, brucia gli attimi, gli emozionati si ascoltano, si capiscono, si cercano, si pensano.
L'emozione deve fare paura.
L'emozione, quella vera, è rara, mooolto rara.
Gli emozionati un giorno s'incontreranno, staranno, si relazioneranno, si ameranno e non si odieranno mai per davvero, faranno solo finta, perché l'emozione a due non "farà il suo corso", l'emozione a due è il corso.

E' così... queste sono "le relazioni" amici miei che scrivete post-it, questo è il perché e un po' anche il per come, e se leggerete bene troverete anche il per quando, altrimenti fa niente, c'è sempre uno Zingarelli pronto ad ascoltarvi, che ne sa certamente più di me e non si lascia affascinare da voci ostinate che disturbano pensieri già di per sé confusi.

Ma è l’occasione che fa l’uomo ladro o è l’uomo ladro che fa l’occasione?!



Ma poi è davvero “l’occasione che fa l’uomo ladro” o è “l’uomo ladro che fa  l’occasione”?!

Sono domande queste che ad un certo punto della vita bisognerebbe porsi.

Trascorriamo il tempo immersi nei luoghi comuni, senza approfondire mai, ci fermiamo alla superficie, al pensare banale, allo spot, al tweet, al post acchiappa like.

Fosse vera la prima l’uomo sarebbe un santo a prescindere fino a quando le occasioni non lo trasformano in uno sporco approfittatore, lui li buono buono a fare niente e tutto ad un tratto zaac... l’occasione maledetta.
E allora eccolo a rubare cuori, denaro, mele, carrelli della spesa abbandonati nel parcheggio della Coop, sorrisi, le cialde già pagate del caffè, posti in fila alla posta, parcheggi, baci con la lingua, amplessi, sguardi, appuntamenti lasciati da altri.

Fosse vera la seconda il ladro che è dentro ciascuno di noi creerebbe occasioni a nastro, sborantamila occasioni, si farebbe cardiologo per trovare cuori, portavalori per trovare denaro, contadino per le mele, mendicante per i carrelli, pagliaccio per un sorriso, venditore di granì d’Arabica per le cialde, pensionato per le file, pilota per il parcheggio, piacione per limonare, superdotato per trombare, oculista per sguardi da vicino, inopportuno opportunista per farsi trovare pronto a sostituire.

Ma non è così, non è vera la prima e non è vera nemmeno la seconda, almeno non completamente.
L’uomo è “dipende”, dipende dall’occasione, dal tempo, dalla voglia, dallo spazio, dal parcheggio, dal carrello, dalla lingua, dalla scorta di profilattici e dalle gambe di lei, dalla voglia di stare svegli, dall’impiegata allo sportello, dall’intensità di uno sguardo all’improvviso.

Per ogni ladro la sua occasione.

Ma onesti non ce n’è allora? Oh si, ma sono noiosi, e spesso sono onesti per necessità, per incapacità, per paura, per pigrizia o per convenienza o perché c’hanno la pancia grassa e puzzano.
Gli onesti costretti non sanno cogliere né l’attimo né l’occasione, perdono il tempo e muoiono tristi.
Lo sguardo si spegne, i movimenti rallentano, i sorrisi ingialliscono, i capelli cadono, la Coop chiude, il caffè si raffredda, resta solo il reddito di cittadinanza, il generico del viagra e il rimpianto.

Analisi spettrale ed elogio del delinquente?
No, no! Solo istantanea della realtà.

Le occasioni capitano, a quasi tutti, certamente con diversa intensità e frequenza... ad alcuni rovinano addosso, altri ne sono letteralmente preda, certuni le rincorrono, molti le perdono, tanti non le vedono, molti le schivano (sono stanchi), pochi le riconoscono davvero per quello che sono.

E quindi?

Quindi niente, non c’è quindi, ci sono solo quelli che decidono di non rischiare per non farsi beccare dalle guardie del tempo, e quelli che decidono di rubare gli attimi e tutto quello che gli sta attorno.
La vita è data, spesso breve, i lenti e i confusi perdono, i lesti e decisi arrivano, arrivano dove non è sempre e subito chiaro, ma da qualche parte arrivano.

Conosco uno che conosceva un altro che aveva un amico che gli aveva detto che suo cugino una volta, da giovane, sapeva annusare l’aria e diceva sempre si e vinceva ogni sfida, a volte arrivava secondo, ma sempre podio era.

Era un giovane ladro di emozioni.

Ora è diventato adulto e passa il tempo a pensare, ma il tempo che passa non pensa a lui.
È un guaio questo, l’anticamera dell’inconcludenza.

La soluzione? Nessuna soluzione, se non quella di rubare come non ci fosse un domani, che se un domani c’è davvero nessuno la sa con certezza.






Augusto e Amanda, e Giulia, e Alessia, e Samantha, e l’Amministratore di Condominio, e le cioccolatine Kinder, e Lei.

La verità è che Augusto non si era mai dimenticato di lei.

Sposato con Amanda, tre figli, forse quattro (sì perché quella volta che incontrò Giulia lui mica è sicuro di come sia andata veramente a finire…),  quasi benestante, un cane, un gatto e un inseparabile, che Lucilla, la più piccola dei tre, aveva vinto alla pesca di beneficenza della “Sagra del Tortello Burro e Salvia di Abiategrasso”, quell’altra volta che andarono a fare una gita fuori porta.

Ma Augusto non si era mai dimenticato di lei.

Amanda era bella, quarant’anni di corsa, alta, magra, capello lungo e ramato, un lavoro interessante, amiche interessanti, accondiscendente a tratti, spacca balle ad altri tratti, elegante alle volte, disinvolta quasi sempre, con un’innata propensione al corteggiamento passivo, era convinta di essere perfetta, non piena di sé o saccente … no questo no, semplicemente era certa di essere quanto di meglio si potesse desiderare, naturalmente certa, “... non è colpa mia se sono un po’ di più..”.
Non so se avete presente il tipo, sono quelle fatte così per l’appunto, parlano quasi sempre per prime e anche per ultime, usano un linguaggio ricercato, inglesismi nei momenti clou della conversazione, hanno lo sguardo altero della predestinata, sono simpatiche, battuta pronta, sempre pettinate, vagamente ammiccanti, grande sicurezza sessuale, anche se in realtà in un’ideale classifica di “scopaggine” le trovi fisse al terzo posto perenne.

Ma Augusto non si era mai dimenticato di lei.

Augusto era relativamente semplice, come quasi tutti gli uomini, trentacinque istinti di base più o meno evoluti (tranquilli non li elenco tutti), eccentrico con naturalezza tanto da non rendersene nemmeno conto, una vita divisa a metà dal tempo: Augusto prima dei quaranta, Augusto dopo i quarantacinque (il lustro di mezzo non è degno di nota, solo transizione e noia).

Augusto dopo i quarantacinque è quello che noi oggi conosciamo: un “ragazzo” disilluso, dallo sguardo spento, mattiniero, con un sacco di interessi, infedele alla coppia ma fedele a sé stesso, relativamente magro (come molti over quarantacinque – nda), uno splendido padre, un sognatore silenzioso (traduzione: uno che i sogni se li tiene per sé), eloquio fluente, Samantha lo definiva “banalmente affascinante con quel suo misto di mistero e imbambitezza”, un buon lavoro che gli piaceva molto ma non lo divertiva più.

Ma Augusto non si era mai dimenticato di lei.

Perché abbiamo fissato a quarantacinque lo spartiacque? Perché fu più o meno allora, un martedì pomeriggio che pioveva forte, che Augusto decise che si era rotto le balle.
Non lo disse a nessuno se non a sé stesso, fu uno sbrocco silente,  era lì di fronte al PC che stava rimestando un file di Excel ed ebbe questa agitata illuminazione.
La sera prima aveva cenato a base di pesce e bevuto vino, aveva sognato molto, aveva sognato lei, si era svegliato ed era andato in cucina a mangiare una cioccolatina Kinder e due tocchi di grana (era uno che amava i contrasti).
Forse pensate che sia questo, questo nel senso del sogno-della Kinder-del pesce-del grana-di lei, ad aver favorito la svolta, ma in realtà non c’entra nulla, l’ho raccontato solo perché mi sembrava una cosa simpatica, la verità è che capita a molti uomini il martedì pomeriggio quando piove di ripensare alla propria vita, e Augusto anche in questo non ha fatto eccezione.

La propria vita … la propria vita il martedì pomeriggio … non fu niente di trascendentale, semplicemente si ricordò di non essere felice, dico ricordò perché in realtà  già lo sapeva di non essere felice ma lo aveva dimenticato, capita a molti uomini di essere smemorati (uno su tre dicono le statistiche) e lui iniziò a pensarci solo perché “felice” era l’etichetta di una delle colonne del file Excel, evidenziata in giallo fluo quella cella portava un nome così importante e manco se ne rendeva conto, Excel non sa come vanno le cose tra gli uomini, si limita a mettere tutto in tabella in maniera logaritmica e ingegneristica, ma non sa come vanno le cose tra gli uomini, no, no, non lo sa proprio.

Ora voi crederete che lui non fosse felice perché non riusciva a smettere di pensare a lei, ma non è così, che lei “non fosse” lo aveva metabolizzato da tempo, continuava a pensarla certo, quasi tutti i giorni ogni volta che succedeva qualcosa, qualcosa tutto, qualcosa come aprire lo sportello dell’auto, mangiare una fragola, salutare un cliente, fare un disegno al capo, addormentarsi, svegliarsi e lavarsi i denti.
Una presenza invisibile e costante, pure un po’ invadente, ma lei invadente lo era sempre stata, occupava spazio, non perché fosse grassa – tutt’altro – ma perché sapeva dov’era lo spazio di lui e amava incunear visi  dolcemente occupando tutto l’occupabile.

Augusto non era felice perché aveva perso.

Cosa aveva perso dite? Nella vita aveva perso di tutto, aveva perso tempo, aveva perso le occasioni, aveva perso al Superenalotto e anche al Lotto, aveva perso le chiavi di casa, aveva perso il portafogli, la speranza, la voglia, aveva perso persone a cui voleva bene, aveva perso tre gradi all’occhio sinistro, aveva perso l’amore, sì sì l'aveva perso, aveva perso un cane, aveva perso a calcetto, ma soprattutto aveva perso il sorriso.

Eh già …  aveva perso il sorriso.
Questa era la cosa che gli spiaceva di più, anzi questa era la cosa punto.
Augusto non riusciva più a sorridere, si sforzava di farlo, ma niente, non riusciva, zero, nada, nulla.
Augusto non era felice perché non sapeva più sorridere.
Farselo venire in mente il martedì pomeriggio quando fuori pioveva non fu un bene, ma non fu nemmeno colpa sua, ed è per questo che decise di invitare Alessia per un caffè, per distogliere la mente dai propri pensieri, poteva cancellare “felicità” dall’etichetta di Excel, ma il format non era suo e sarebbe stato irriguardoso..
Il caffè fu piacevole, Alessia fu piacevole, lui continuò a pensare a lei ma Alessia la rivide ugualmente, la volta dopo per un aperitivo e poi a cena, ed infine anche dopo cena, una sera che Amanda aveva la riunione di condominio e Luca gli prestò l'appartamento chè tanto lui era fuori per lavoro. 
E anche questa volta non possiamo dire che la colpa fosse di Augusto se Luca lavorava molto, è il destino a dettare le regole.
Un cliché direte voi, ma in fondo Augusto è un uomo (e Alessia è una donna) e si sa che gli uomini, quando non sono felici, cercano di non pensarci.  

Ah, ancora un attimo soltanto, dimenticavo di dirvi che l’Amministratore di Condominio è nuovo, Amanda ha detto che è meglio se va lei anche alla prossima, perché quel signore trentottenne con le spalle larghe ha un caratteraccio e Augusto finirebbe con il litigarci dopo tre minuti.
Anche Amanda non è felice ... ....  non è felice e non è certo colpa sua se è cambiato l'amministratore di condominio, ha scelto l'Assemblea, e quella sera a votare c’era Augusto mica lei….

Oibò l'attesa...

Oibò la noia.

Sono qui … qui in sala d’attesa … qui ad aspettare il mio turno … qui di fianco la finestra ... , e spero che i puntini di sospensione di cui ho abusato insieme ai "qui" trasmettano il senso profondo del tempo che scorre, lo spero davvero di cuore.

La sala non è troppo diversa da tutte quelle che ho frequentato fino ad oggi: quel qualcosa di azzurro a fare da sottofondo, riviste di tre anni prima, opuscoli inutili, battiscopa rovinato, sedie in finta formica, leggero velo di polvere agli angoli, chiacchiericcio biascicato di sottofondo, la scosciata con la longuette senza calze con lo spacco spaccato che scavalla e riaccavalla ogni sette minuti, poi la tipa col tono di voce sette ottave sopra la media che dice cose scontate-inutili e fastidiose, ha gli occhiali, si ascolta quando parla ma non si capisce.

Il mio turno è quello dopo, e chissà perché il mio turno è sempre quello dopo, sono probabilmente troppo lento in partenza.

Di fianco a me una ragazzina/bambina, la conosco ma non so chi è, non ricordo “dove l’ho già vista”, forse è la figlia di un amico, non la saluto perché mi sembra triste ed assorta, o forse è solo annoiata ed incazzata, oppure ha sonno, comunque si capisce che non vuole essere disturbata e io l'accontento, sono rispettoso.

Passare tempo in sala d’attesa non sarebbe nemmeno male, certo c’è sala e sala, e ci sono con-salini più o meno piacevoli, e sedie più o meno comode, ma di norma riesci a farti gli affari tuoi e a pensare.
A pensare a cosa? Bah … a tante cose … all’amore ad esempio (dai tutti ci pensano all’amore – al proprio o a quello degli altri – e non dite che sono monotono ché lo sapete anche voi che è così), ma anche sulla bolletta dell’Hera si può riflettere, ché è sempre stampata su dieci pagine in carta riciclata, di cui nove sono illeggibili ed una minacciosa ti guarda incazzata in quel suo grigio a bordi gialli: “la bolletta scade il 24 agosto, pagala altrimenti muori”.

Conoscevo uno che in sala d’attesa era abituato a tagliarsi le unghie, a casa non lo faceva perché la moglie lo sgridava, la megera non sopportava quei pezzi di cheratina indurita sparsi sui mobili del bagno, s’innervosiva parecchio.
Oggi non so dove sia finito, il tipo delle unghie intendo, sicuramente sarà invecchiato, so che non è importante ai fini del racconto ma poveretto, a me stava simpatico e la moglie era davvero una scassa minchia.

Poi ci sono quelli che s’interrogano sul perché pure tu sei lì: “Che farà?” – “Che avrà?” – “Che sarà?” - “E’ tranquillo, ma dovrebbe?”.
Proprio si logorano, ti guardano, anzi no: ti squadrano. 
Cercano segni di pallore, di stanchezza, di tristezza, di disperazione, sorridono a labbra socchiuse, vorrebbero attaccare discorso, ci provano pure: “fa caldo eh??” – “ma sì è agosto cosa vuole…”.
Allora sospirano… e lo fanno a sospiri sempre più profondi, dei veri e propri sospironi, sì perché il sospiro a loro avviso genererà in te curiosità, vogliono che tu gli chieda “che succede?”, non perché gli interessi raccontartelo ma solo per ribaltarti la domanda : “Perché sei qui? Perché cazzarola sei qui? Dimmelo per Dio!”.

Poi ci sei tu, nel senso di “tu che leggi” ma anche di “io che scrivo”, noi insomma, non noi insieme, uno per volta, tu ed io, prima io e poi tu, o viceversa, e mi sono dilungato oltremodo per farvi capire il senso, sia chiaro.

E noi aspettiamo… e aspettiamo… e aspettiamo… tutti e due aspettiamo… (sta cosa dei puntini mi sta prendendo la mano).

La sala d’attesa è un po’ la metafora che racconta le nostre vite, perché in fondo noi si passa il tempo ad aspettare di poter entrare da qualche parte, così, quasi a caso, anche quando si è convinti ci sia una ragione.

Prima aspettiamo di nascere, nove mesi, qualcuno anche nove e mezzo, altri sette e un po’.
Poi aspettiamo di mangiare, poi di giocare, poi aspettiamo di crescere, poi aspettiamo di iniziare la scuola, poi aspettiamo di finirla, poi ti “aspetto fuori”, poi l’università, poi aspettiamo un lavoro, poi aspettiamo l’amore, poi il sesso, poi aspettiamo di sotto, poi i figli, poi aspettiamo la scuola dei figli, poi aspettiamo la mamma castana della compagna bionda di nostro figlio, poi aspettiamo la giustizia, poi aspettiamo la pensione, poi aspettiamo di ammalarci e anche di guarire
Poi aspettiamo che cosa non ce lo ricordiamo più, ma ci siamo abituati e quindi continuiamo ad aspettare.

Poi aspettiamo la felicità, sempre l’aspettiamo la felicità, è un’attesa trasversale questa, trasversale al tempo, anzi… aspettare la felicità è “il Tempo”, perché la felicità la si aspetta in continua, l’aspettiamo ieri-oggi-domani, futuro-presente-passato, prima-adesso-dopo, e non importa se spesso lo facciamo nei posti sbagliati, nei modi sbagliati e con le persone sbagliate, con o senza vestiti, prima o dopo cena, fuori e dentro il tempo massimo, lo facciamo e basta.
Siamo dei condannati all'attesa, dei potenzialmente felici in ritardo, dei cercatori, degli impazienti costretti, degli infelici ottimisti, dei sognatori … eh sì … per fortuna siamo così: dei sognatori che cercano di addormentarsi velocemente per poter sognare più forte di prima.

Oibò che noi quest’attesa, voglio entrare, è il turno mio …  “scusi signore … tocca a me, grazie”.

Attimi... (poesia in prosa)

Sauvignon, il gorgoglio dei leoni, il profumo di  pagina intrise d’inchiostro e atmosfera, lo scirocco che sta rinfrescando, la bici, le risa delicate di donne disilluse, amanti in panchina, ne sono certo, si capisce dall’ostentata nonchalance.
Ti muovi e mille mondi ti girano attorno, mille storie, mille sogni, mille insistenti riflessi.
Fermarsi un attimo ad accarezzare i dettagli è rilassante, ieri-oggi-domani, i ricordi.
Descrivere un attimo è difficile, è troppo veloce per lasciarsi catturare, servirebbe una reflex, servirebbero vent’anni appena compiuti per non farsi influenzare dalle incrostazioni del fu.


E' tutta una quesione di tempi.... breve racconto triste ma non troppo

Io me li ricordo quei due, erano innamorati, almeno un po’… almeno lei… ma anche lui… non fosse stato per quel  tempo e per quella situazione si sarebbero pure fidanzati, ne sono  quasi certo, almeno un po’… almeno credo.

Lei viveva al terzo piano, o forse pure al quarto, non lo so più, sono andato poche volte e spesso era buio, non accendevo quasi mai le luci salendo, anzi lui non accendeva quasi mai la luce, sì lui, non io, io sono il narratore, non c’entro nulla, almeno stavolta, almeno stavolta non ero io ad andare, era lui, almeno credo.

L’appartamento non era bello, era un tipo, un tipo molto affascinante stile fine anni ottanta con venature post duemila, l’aveva ristrutturato quasi tutto da sola e a tratti con l’aiuto del padre, lei pensava cosa fare e lui concretizzava, lei incipit e lui corpo.
Il padre era molto innamorato di lei, di quell’amore che sa di caramelle e cioccolato, quaderni a quadretti grandi, notti insonni, sorrisi dolci, baci al latte, Babbo Natale e pure un po’ di Befana.
Il risultato finale fatto da due camere da letto, cucina semi abitabile, soggiorno con terrazza, divano e poltrone country sexy, bagno con vasca, cantina al piano terra, senza posto auto ma con parcheggio ad uso molto pubblico, era tutt’altro che banale, un’abitazione così poteva tranquillamente far perdere la testa a chi si fosse trovato a passare di lì.
Preciso che se la situazione fosse ambientata a Milano, zona periferia riqualificata, capannone monospaziale, progetto archistar, avrei scritto Loft, e Dio solo sa quanto mi sarebbe piaciuto scrivere Loft, ma siamo in Romagna...
Lei era bella, non travolgente stile puttanone rifatto e nemmeno ricercata modello figa di legno griffato, ma semplicemente bella.

Lui invece era soprattutto simpatico, con un fisico asciutto e longilineo,  ma con il colesterolo che sforava di poco i duecentocinque ed un principio di varicocele destro.
La loro storia è la storia di tanti: lui che non aveva il coraggio di chiederle il numero di telefono al quale arrivò grazie ad un amico, lei che si chiedeva “ma questo cosa aspetta a limonarmi?”; lui che parlava e parlava e parlava, lei che lo ascoltava e ascoltava e ascoltava, sinceramente interessata, a tratti rapita, incredula circa il fatto che un uomo potesse usare i congiuntivi in maniera perlomeno accettabile.
Lui che la guardava, lei che si lasciava guardare.
Lui che aveva voglia di fare  l’amore con lei, lei che aveva voglia di fare l’amore con lui.
Ma per arrivare a lì si doveva prima passare dal caffè, poi dall’aperitivo, quindi dalla cena, poi dal divano al letto senza soluzione di continuità.
Alcuni teorici del pensiero fluido sostengono che l’ordine possa non essere necessariamente questo, raccontano infatti di relazioni nate direttamente a letto, con un caffè a metà rapporto per tenere alto il livello di attenzione, un aperitivo per recuperare liquidi, cena e divano per chiudere la serata.
Son cose che succedono, ma a me non piacciono, credo si perda l’atmosfera, i percorsi vanno seguiti, prima ci vuole il caffè.

E fecero l’amore, sì sì che lo fecero, "osta" se lo fecero.
Lo fecero un po’ dappertutto, e più d’una volta, e fu anche intenso, e caldo, a tratti travolgente, con e senza cravatta, fuori e dentro la vasca da bagno, fuori e dentro l’automobile, a volte con i preliminari che iniziavano sulle scale tra il secondo e il terzo piano oppure subito dopo aver chiuso la porta d’ingresso, in estate e pure in inverno, e io lo so perché lei lo raccontò ad un amica che era pure amica mia e sapendomi narratore  lo ri-raccontò a me perché io un giorno ne potessi scrivere.

Era amore, non era solo sesso, questo non me l’ha detto nessuno, ma un narratore queste cose le capisce da solo, come fa dite?
Lui andò persino a comprare le pizze d’asporto e le mangiarono insieme a casa di lei, che aveva già preparato la birra, a tarda ora, al rientro dal lavoro.
Se non è amore questo allora ditemi: cos’è?

Ma non si fidanzarono mai, la loro fu una storia in incognito, non lo dissero quasi a nessuno, credo che pure fra di loro a volte si parlassero in terza persona singolare per fare anonimato:

“Sai che credo si sia innamorato di lei?”
“Chi?”
“Lui”
“Dici?”
“Sì dico”
“Ecco perché!”
“Perché cosa?”
“Perché quando lei lo bacia lui sorride”

E qui consentitemi una digressione ma neanche troppo per dare uno spunto di riflessione generale che trae origine da questo breve dialogo: gli innamorati quando si baciano nel durante sorridono, quando si baciano lasciandosi piangono, quando smettono di baciarsi lui inizia a giocare a calcetto e lei a correre.
Son cose così.

E non si fidanzarono mai, già, e perché? Ci penso da quando ho iniziato ad immaginarmi questa storia, perché non si fidanzarono mai?
Mah, forse erano troppo giovani? O forse erano troppo vecchi? Qualcuno direbbe troppo egoisti, e altri son certo sentenzierebbero “lui è uno stronzo” (che chissà poi perché la stronza non può essere lei??).
Io perché non si fidanzarono mai in realtà non lo so, non me l’ha raccontato nessuno, né loro, né l’amica del mio amico che poi è anche amica mia, ma credo che sia dipeso dal tempo, quello non era per loro il tempo di fidanzarsi.
Sì perché c’è un tempo per ogni cosa, che come concetto banale della filosofia si colloca tra il primo ed il secondo posto assoluto, ma non so esprimerlo diversamente.
Siamo fatti di tempi, tempi di corsa che si scontrano con tempi lenti, tempi semplici che si sovrappongono a tempi difficili, tempi sconsiderati che fanno a botte con tempi razionali, tempo di andare che si confonde col tempo di restare, un solo tempo che lascia il posto ai troppi tempi, il tempo di amare e il tempo di ricordare, il tempo di impegnarsi contro il tempo di fottersene.

“Aspettiamo! No andiamo!”
“Andiamo! No aspettiamo!”
“Dopo! No ora!”
“Quando? Domani! E perché? Non lo so! Ahhh….”.

Eh sì, fu così che non si fidanzarono mai, ed è per questo che la loro storia ed il mio racconto finiscono qui, tra il tempo di dormire e quello di sognare.

Pensando

Quando una struttura inizia ad alimentarsi esclusivamente di regole, prescindendo dalle persone che la compongono, prescindendo dai territori in cui opera, massificando non le procedure ma le specificità, favorendo la conoscenza formale ed organica e limitando gli spunti particolari d’innovazione, la struttura apre la porta al proprio declino.
La regola diventa la scusa dietro cui nascondersi.
Quando Luca, Mario e Giuseppe non sono più ciò che sono diventati grazie a ciò che hanno dimostrato di saper fare, ma diventano punti di raccolta di direttive col paraocchi, la struttura perde il contatto con la realtà.
L’eccellenza nasce dalla valorizzazione delle individualità, che non significa individualismo come troppi credono, ma competenza ad personam.
Vedo organizzazioni perdere posizioni per mancanza di visione, vedo persone confondere il fare con il delegare a prescindere, sempre verso il basso, in modo acritico e senza leve d’azione.
Quando i compiti sono dati a compartimenti stagni senza perché, l’uomo non esce dalla propria area di confort e non produce surplus ma consuma status, e cerca il modo più rapido e indolore per uscire dalla mischia, annientato nel quotidiano.

Le battaglie si vincono con cuore e con ragione, è per questo che servono uomini e non masse compiacenti.

Hai mai provato a fotografare l'amore?


Caldo, faceva caldo, per la prima volta dopo settimane di pioggia fuori stagione il sole di nuovo a riscaldare pezzetti di mondo e pezzetti di vita.

Poi si potrebbe proseguire raccontando di lei e di lui abbracciati su quel lettino, appiccicati e appiccicaticci, adolescenzialmente intrecciati, carichi di sentimenti e beltà (cazzarola beltà, fa davvero poesia).
Lì vicini a raccontarsi e a limonare, a selfarsi e a toccarsi, a progettare e a bastarsi.
Che poi osservandoli te lo chiedi: "ma sono in ferie o non hanno un cazzo da fare nella vita?"

Oppure si potrebbe scrivere di lei, sola, bikini e camicia di lino abbondante, con lo sguardo carico di “ahimè”, perso nelle onde leggere di quel mare che borbotta, evidentemente consapevole (il mare) dello strazio che sta vivendo la poverina, che si è ritrovata sedotta-abbandonata-ripescata-risedotta-riabbandonata da quello stronzo con la faccia da bravo ragazzo (i peggiori).
Non si dovrebbe mai dare confidenza ai bravi ragazzi.

E qualche riga si potrebbe spendere per raccontare di lui, capello brizzolato, barba artatamente incolta, pantalone verde pluritasca, t-shirt e camicia di jeans, sigaro, Ray-Ban a goccia, pensieri sparsi e malinconia, impegnato a cercare ostinatamente un po’ di “cazzi propri”, al riparo dai mille travolgimenti del quotidiano dopo una vita di tormenti e passioni.
Manca solo l'auto cabrio parcheggiata di fianco al molo, servirebbe per completare l'atmosfera.

E sono certo che osservando attentamente poco lontano, proprio di fronte a quel caffè, si potrebbe scorgere la camicia botton down a quadretti grandi di quel giovane vecchio convinto che età debba necessariamente far rima con noia, coppia con routine e serietà, reumatismo con quarantacinque.
E' cornuto, la moglie va con un idraulico di ventiquattro anni, forse lo sa ma fa finta di nulla, ha fatto ragioneria e bisogna essere seri anche in questo ad una certa età.

E quei ragazzetti col monopattino elettrico? Eh per loro sorrisi e lentiggini, la scuola che sta per finire e i sogni che stanno per iniziare.
Fermi all'angolo a bere una the alla pesca, con due cannucce, mangiando un bombolone alla crema e soffiandosi lo zucchero a velo sul naso.
Studenti innamorati dell’amore e del futuro, persi in “un per sempre finché dura”, e a sto tempo e con sto sole sembra “che non debba finire davvero mai”, anche se in realtà non è mica così, lo scopriranno.

Oppure lei con i capelli castani raccolti in una coda fluida ed impertinente, con le tette grandi affacciate su di una scollatura generosa, e i pantaloncini blu molto corti che fanno pendant con un abbronzatura oro che sorride fascinosa guardando lui, lui con la bicicletta e gli occhiali da sole, denti bianchi e fare delicato, ormoni che si sciolgono al sole, insieme e fortunati, sì fortunati, ché la fortuna la riconosci da lontano.
Hanno appena fatto l'amore, stanno andando a prendere un caffè, lei un pasticcino e lui niente, è a dieta e un po' vanesio, i denti bianchi sono finti.

Si potrebbe raccontare così quello che gli uomini e le donne chiamano tutti allo stesso modo, ma che ognuno vive un po' come gli capita: amore.

Amore... che poi sono amori in realtà, fotografie di un attimo, immagini a colori-sbiadite-sgualcite-incorniciate-strappate-riattaccate con lo scotch-svolazzanti-brutte-belle-fantasmagoriche-collage-raccolte in un album-perse tra le pagine di un libro-sovrapposte, descritte con una profusione tale di aggettivi e specificazioni che manco Salvini in campagna elettorale ne userebbe tanti.

L’amore è tante cose, perché tutti sono tante cose diverse, un casino di casini, un crocevia di sensazioni, esseri e non esseri.

L’uomo (questa volta inteso come essere umano) cerca l’amore, è nella sua natura, qualcuno lo trova e qualcuno non lo trova mai, altri sono convinti di averlo trovato, molti sanno di possederne solo un surrogato (chiamiamoli amoricchi) e se lo fanno bastare.

La ricerca dell’amore è già di per sé amore (questa è una cagata ma mi sembra che a questo punto del racconto possa agevolare la prosa!).

L’amore è un regalo, a volte una maledizione, certamente consente la prosecuzione della specie, anche se spesso capisci che si poteva fare di meglio (per la specie intendo) visti i risultati.

L’amore è come la pizza 🍕margherita, preferibile se soffice e ben cotta, lievitata al punto giusto, meglio appena sfornata, un filo d’olio d’oliva extravergine dop, il basilico, preparata con cura e con attenzione al particolare, mai d’asporto.

Storie d’amori che passano attraverso immagini di coppie e di single in un pomeriggio d’iniziò l’estate, tutti a guardarsi disperatamente e distrattamente attorno per riconoscere il proprio, perché tutti ne abbiamo uno, qualcuno anche due, e spesso pure tre.

Ciao ciao… … e buona estate a tutti.

Falla ridere....

E poi ti dicono... se vuoi farla innamorare falla ridere, ridere, ridere… perché lei “al casello di Carisio vuole ridere, ridere, vuole sbellicarsi dalle risate”.
E poi ti dicono... se vuoi farla innamorare non parlarle mai delle tue ex, mai, mai nemmeno “per un minuto un soffio di fiato un attimo ancora”.
E poi ti dicono... se vuoi farla innamorare conquistala e riconquistala ogni giorno, come se fosse sempre la prima volta, “falla sempre sentire importante, dalle il meglio del meglio che hai”.
E poi ti dicono (sempre quello della riga sopra)... se vuoi farla innamorare “cerca di essere un tenero amante, ma fuori dal letto nessuna pietà”.

E poi ti dicono... le donne si innamorano dei padri responsabili, perché mentre tutti fuggono, il giovane padre responsabile ti da quel senso di uomo rassicurante di cui c’è tanto bisogno oggigiorno.
E poi ti dicono... le donne si innamorano degli stronzi, quelli senza arte né parte, dissoluti e maledetti, dal cuore duro e dallo sguardo dolce e caldo e delicato e penetrante e intenso e misterioso e possibilmente verde, perché dentro di loro prima di tutto c’è una mamma, poi una psicologa e infine una crocerossina.
E poi ti dicono... le donne si innamorano di chi fugge, perché dentro di loro si nasconde una maratoneta con lo spirito del cecchino.
E poi ti dicono... le donne si innamorano sempre del marito della loro miglior amica, convinte che abbia sempre saputo scegliere meglio di loro.

E poi ti dicono... se vuoi che non smetta mai di amarti aiutala senza che lei te lo chieda, stalle vicino ma non la soffocare, scaldale il cuore e un po’ anche i piedi, capiscila anche quando non dovresti, anticipala, sorprendila, scopala ma non quando ha mal di testa, non la fare annoiare, falle capire che il ciclo è una cosa meravigliosa ma non dirglielo mai.
E poi ti dicono... se vuoi che non smetta mai di amarti sii uomo, padre, figlio, fratello e anche sorella, amico e confidente e pure il suo chef personale.
E poi ti dicono... se vuoi che non smetta mai di amarti lasciale spazio, non “tarpare le sue ali” e lasciale “accarezzare nuovi scampoli d’assenza”.
E poi ti dicono... se vuoi che non smetta mai di amarti i suoi amici dovranno diventare i tuoi, i suoi parenti dovranno diventare i tuoi, il suo gatto dovrà diventare il tuo, le sue passioni dovranno diventare le tue.

E poi ti dicono... se vuoi che sia felice non devi cambiare, anzi no un po’ cambia ma senza farti accorgere, così come vuole lei ma dando l’impressione l’abbia voluto prima tu, e ascoltala senza interromperla, non parlare solo dei tuoi problemi.
E poi ti dicono... se vuoi che si fidi di te lascia il telefono senza PIN, sempre a “pancia in su”, sul tavolo del soggiorno anche quando sei sotto la doccia al piano di sopra.
E poi ti dicono... se vuoi che si fidi di te dalle la password di Facebook, di Instagram, di Linkedin e della tua mail personale.
E poi ti dicono... se vuoi che sia felice non uscire il venerdì con gli amici e se lo fai dai comunque l’impressione di divertirti poco, anzi annoiati proprio.

E allora non meravigliamoci se all’inizio l’uomo sarà un buffone il cui passato è iniziato due giorni prima, che regalerà fiori e biglietti d’amore, anelli e vacanze, e cene e sorprese, e sborantamila whatsapp-messanger-direct, e desidererà figli di cui non vorrà mai scegliere il nome, e fingerà di essere un duro come Bruce Willis, un focoso come Rocco Siffredi (sulle misure non potrà fingere ma si raderà lì attorno così da darne l’impressione), un attento come Hug Grant, e cucinerà per lei, e le preparerà la colazione, e saprà tutto di quella stronza della “sua collega e di suo marito”, e le farà trovare i Tampax nel mobiletto del bagno con un post-it appiccicato con scritto sopra “finalmente, non vedevo l’ora”, e andrà a letto con lei, l’abbraccerà tutta la notte, la capirà o certamente fingerà di farlo, organizzerà pranzi-cene-week end con le coppie amiche di lei, si taglierà i capelli come l’uomo della sua miglior amica e comprerà le sue stesse scarpe, la sua stessa auto ma di un colore diverso.
E posterà decine e decine di foto di coppia su ogni social, e cancellerà dalla rubrica tutti i contatti di persone di genere femminile, compresa la madre e pure la nonna, e abbandonerà lentamente i propri amici, e si farà concavo e convesso, comprensivo e deciso quanto basta.
E il venerdì la spronerà ad uscire che tanto lui l’aspetterà in casa guardando un film e riscaldandole il letto.

All’inizio sì, sì all’inizio l’uomo capace sarà così, perché all’inizio la vorrà davvero far innamorare, la vorrà davvero capire, far ridere, rendere felice, lasciarle spazio, starle vicino, farla godere, annientarsi in lei, perché l’amore è anche questo, mica son tutte fregnacce le canzoni, i libri, le poesie, mica sono state scritte a vanvera, Ferradini-Mogol-Jovanotti e pure Baudelair, Niccolò Ammaniti e financo Fabio Volo han scritto cantato e raccontato di vita vera… mica pippe.

Poi, poi spesso succede che non succede più, esattamente il perché non lo so, forse è l’aggiornamento di IPhone che suggerisce di inserire il pin che siamo tutti più tranquilli, e allora la paura degli hacker diventa il primo ostacolo alla serenità di coppia.
E se poi devo chiamare una mia ex compagna di classe per organizzare la cena di terza elementare se non ho il numero come faccio? E se faccio tardi in ufficio e sono tutte colleghe chi avviso?
E poi il marito della migliore amica di lei porta camice davvero brutte e gli è sempre stato un po’ sulle balle con quella faccia un po’ così.
E poi dormire appiccicati non è mica igienico, si suda.
E poi il venerdì in TV non c’è mai niente di interessante, che faccio in casa?
Ma poi siam sicuri che Edgardo sia un bel nome?
Ma scusa Moment Rosa non potrebbe darci una mano in alcune situazioni?

E così succede che non succede più, non sempre sia chiaro, ma spesso sì, sì spesso succede che non succede più, e sapete quand’è che diventa grave, quando pure per lei diventerà normale che non succeda più.
Sono i “non succede più” a far finire l’amore, non sempre ripeto, ma certamente più spesso di quanto si possa immaginare.

Riflessioni al semaforo


Non c’è nulla di più persistente dell’emozione, attimi che non finiscono, profumi che non passano, sorrisi nascosti, labbra che si sfiorano, luci ed ombre, lustrini paillettes e brividi, prosa e poesia, parole buttate lì per raccontarsi di fronte allo specchio, in un modo apparentemente sconclusionato, così che quasi nessuno ne capisca davvero il significato.


Due passi e una pizza al taglio la sera di Pasquetta...

Avete mai provato a mangiare una doppia margherita al taglio appena uscita dal forno con la mozzarella filante la sera di Pasquetta?
L’ho appena fatto.
Fantastico al limite dell’orgasmico.
L’ho fatto vestito di nero, maglietta e maglioncino nero e pure boxer e calzini neri, ho messo il nero perché snellisce e così l’impatto della mozzarella sul giro vita viene attenuato dall’illusione ottica, e poi il nero fa pendant con l’ambiente vagamente retrò della Pizzeria Italia, mi piace quel posto, sempre tutto uguale, sempre lo stesso sapore rotondo,  la consistenza della pizza che da soddisfazione, delicatamente unta, non posso farne a meno. 
Poi due passi per smaltire prima di rientrare.
Nei giorni di festa passeggiare in centro ti da quella sensazione di orientale, anzi di cosmopolita, anzi di orientale cosmopolita con influenze afro e atteggiamenti dell’est europa, gli autoctoni lasciano posto agli allogeni, una sostituzione spazio/temporale per quadranti di piazza e dehors, divisioni antropomorfe, sud-est-nord-ovest del mondo, regolari e abusivi e pseudo locali, tutti insieme ma separati, un coacervo di idiomi e di pensieri, pure troppi. 
Poi ti muovi di fianco al localino stile Francia zona Sorbonne, artatamente organizzato tra lo chic e il kitsch non invasivo, dentro la signora di una certa età, probabilmente londinese d’origine ma con dimora stabile in Italia, zona provincia (chissà se pensa in Italiano o in Inglese?), che degusta non sai cosa perché ha già praticamente terminato, ma ancora sul tavolino un calice con un buon vino rosso. Non so se il vino è buono ma a questo punto mi sembrava brutto dare del cattivo ad un rosso, poi il calice meritava con quella sua spocchiosa media ampiezza.
E sullo sfondo la Fontana e i suoi Leoni, ed una coppia discretamente attempata, elegantemente disinvolta anche se un po’ distratta, lui con gli occhiali, lei con la piega fatta di fresco, forse venerdì scorso. Lui leggeva un quotidiano di ieri, la pagina dello sport, lei con lo sguardo su di lui ma senza osservarlo davvero, troppo abituata alla sua immagine e troppo concentrata sul suo pensiero ricorrente: “Luigi… se ventiquattro anni fa non avessi detto no... “. 
Felici? Un tempo forse di più.
Annoiati? Come tanti, meno di molti.
Oggi? A pranzo dalla figlia e poi un punch all’arancia prima di rincasare.
Il signore brizzolato con la cassetta di ananas sulle spalle comprata da Bangladesh frutta-verdura-fax e fotocopie h12, muove con passo veloce lungo la via parallela al corso principale.
Giubbotto blu e leggero, sguardo indaffarato, ma dove dovrà portare l’ananas alle 19.45 del lunedì dell’Angelo? E perché non ha comprato l’avocado, ce ne sono un paio in vetrina, stanno appassendo da una settimana, fa tristezza vederli così.
Ripenso alla pizzeria, di fronte a me una coppia di adolescenti, carini, delicati, jeans e occhiali e brufoli, Coca Cola e salame piccante e un bimbo che guardandoci, rivolto a suo padre, dice: “Papà guarda, un signore e due dadi!”.
E mi chiedo perché poi non potevo essere io il “dado” e loro i signori, mi sembrava più ragionevole. Sarà stato il nero, che si è vero snellisce, ma fa più signore di altro.
In zona Ramblas, e dico così perché l’atmosfera mi ricorda un po’ Barcellona anche se con le debite proporzioni (ma debite debite), una famiglia allargata partenopea dal forte accento e dal tono particolarmente importante, è alla ricerca di un ristorante, sono eccessivamente eleganti, o anche elegantemente eccessivi, o come direbbe qualcuno eccessivi e basta.
Hanno fame, hanno mangiato molto oggi a pranzo ma hanno fame ugualmente, sono in vacanza e la vacanza mette appetito. 
Mancano gli innamorati questa sera, ho guardato ma non ne ho visti, chissà…, forse la Pasqua.
E’ divertente osservare, curiosare, affacciarsi sulle vite degli altri così per gioco, lambire la superficie, immaginarsi il prima e il dopo e anche il durante.                                                           Sono gli attimi e i particolari che fanno capire, servirebbe pure un taccuino su cui appuntarsi i dettagli, perché poi svaniscono strada facendo, ma camminare scrivendo potrebbe destare stupore, perché abbiamo sdoganato i telefonatori ambulanti in viva voce permanente (“Ciao Giusy cara, come staiiii??” – “Beneeee, dove sei?” – “Sotto casa tua tesò, sto per suonare il campanello!!!” – “Ah grandeee, mo apro!!”), ma gli scribani da strada ancora no, per loro i tempi non sono ancora maturi.

Il testosterone

"Il testosterone è un ormone steroideo del gruppo androgeno prodotto principalmente dalle cellule di Ledyng" situate dove… potete immaginarlo, "in minima parte lo troviamo pure nelle ovaie e nella corteccia surrenale".
Che se poi sapessi cos'è la corteccia surrenale sarei già un passo avanti.

Il testosterone abbonda nelle cellule degli stolti, dei giovani, dei soli, dei tanti, in quelle del ragazzo con gli occhiali da sole e in quelle della sua donna con gli occhiali da vista, avvinghiati sullo scoglio fronte lago a due passi dal mio calice di rosso e dal vociare rotondeggiante di un gruppo di turisti francesi.
Se ne sono accorte pure le papere che si sono girate per non disturbare.

Questo ormone androgeno è la prima fonte di guai e passioni, che poi forse sono più o meno la stessa cosa.
Guai e passioni, sì sì, più ci penso e più me ne convinco, sono davvero la stessa cosa… entrambi ti inseguono, ti tolgono il sonno, arrivano quando meno te lo aspetti e si spengono all'improvviso lasciando macerie, si sovrappongono in un connubio di amorosi e complicati sensi, non impari mai a starne lontano, ti travolgono senza chiedere né permesso né scusa, li cerchi, le trovi, quando credi di aver risolto si ripresentano.
Entrambi ti fanno girare le balle, gli uni in un verso, le altre nell'altro.

Senza testosterone il mondo sarebbe forse un posto migliore, certo più noioso, più stanco, meno sudato, sonnolento, centro nevralgico del nulla, fucina di amplessi doverosi e crocevia di figli dell'obbligo di sopravvivenza, culla della pace e delle bandiere arcobaleno, genitore dell'apatia.
Migliore sì, ma di uno scassamento sesquipedale.

Conosco uomini di giudizio che per colpa del testosterone si sono perfino innamorati, e innamorati di un amore vero eh!!
Conosco donne vissute che per la stessa ragione si sono altrettanto innamorate, pure loro di un amore vero, vero vero per davvero.

L'amore testosteronico oltrepassa il tempo e la ragione, anche se spesso si spegne in qualcosa o in qualcuno d'altro, perché il testosterone del vicino è sempre più bello, e allora si tuffa nell'insuccesso, tendendo poi a nascondersi nel ricordo perché troppo travolgente per continuare alla luce del sole, un ricordo molto meno profumato ma certamente più rassicurante.

Il testosterone fa i film porno, scalda le notti e rende meravigliose pure le domeniche da Liu.Jo.

Il testosterone è l'antagonista naturale del Viagra, medicinale blu che pialla il desiderio trasformandolo nel "qualcuno dovrà pur farlo".

La ragazza del tavolo di fronte ha gli occhi grandi e marroni, i capelli biondi e ricciolini, le mani curate, le labbra rosse, uno sorriso dolce e venato di educata sfacciataggine, la maglietta di Coco Chanel sotto ad un parca verde intenso, le sopracciglia rifatte e un elegante snobismo, son certo che pure lei almeno una volta  nella vita sia stata vittima del testosterone: troppo attenta al particolare e troppo forzatamente concentrata sulle amiche che la circondano, ma al tempo stesso fastidiosamente ed irrimediabilmente attratta da ciò che la osserva.
Pure il cameriere si capisce è d'accordo con me.

Dopo i quarantacinque gli ormoni credo allentino la presa, si sragiona di meno, ci si ricorda di più, ci si preoccupa d'altro nell'attesa che qualcosa possa succedere di nuovo, allentati nello svivacchiare quotidiano.
Uomini oggetto, donne soprammobile, vite di plastica, dal socialismo al social, palestra e gazzosa, beauty farm e champagne.
Ma "il può succedere" cova sotto la cenere, anche se "che cosa può succedere cosa" non lo sai mai.
Può succedere tutto e può succedere pure niente, il gratta e vinci della vita, e spesso stanne certo può succedere niente, sì perché... è sempre in vantaggio il bastardo.

Quel giorno sul lago fu fantastico.
Era bella la luce, calda l'acqua, dolce l'età.
Credo che il lago sia un posto bello tanto per innamorarsi quanto per continuare a credere di esserlo.
Passeggiare, mangiare la pizza, baciarsi con la lingua, fare l'amore e guardare Catullo, ma poi inebriati dall'attimo si finisce per lasciarlo scappare - l'attimo sfuggente - "scarpe diem".

Ormone androgeno prodotto dagli uomini e un po' anche dalle donne, destinati a sovrapporsi fin dall'origine, un appassionato ed irrimediabile guaio figlio della natura e della sintesi dei sui capricci.





Più o meno quei due ragazzotti si sono detti così...

  • Ciao
  • Ciao..
  • Ma.. ma tu..
  • Io?
  • Sì tu, dicevo tu... tu mi ami?
  • Io?
  • Sì tu
  • Beh dipende
  • Da cosa?
  • Da te
  • Da me!?
  • Forse da noi?
  • Eh magari da noi è meglio
  • Credo di sì dai...
  • Credi?
  • Non credo?
  • Ah se non lo sai tu
  • Allora si, sono abbastanza sicuro, ti dico di sì!
  • E da quando?
  • Da sempre
  • E perché?
  • Ah non lo so
  • Non lo sai?
  • Sì è successo così quel giorno per caso...
  • Per caso? Quale caso?
  • Quella volta che per caso ci siamo incontrati e abbiamo capito che non sarebbe finita mai, non ricordi?
  • Sì ricordo. E da allora non hai mai smesso di amarmi?
  • Eh no, direi di no..
  • Ah..
  • Già...
  • No è che credevo...
  • Credevi?
  • Sì insomma credevo di no
  • Eh sbagliavi
  • Ma non me l’hai più detto...
  • Te lo dico ora
  • Ma ora è tardi
  • Dici?
  • Dico
  • Perché?
  • Perché ora non si può più 
  • Lo so
  • E quindi?
  • E quindi niente
  • E allora smettila
  • Eh non posso
  • Perché?
  • Perché ti amo