Faenza-Barcellona-Faenza, come dire 40anni e ritorno...

“Allora si parte? Ryanair? Barcellona? Aprile? Maggio? Tutti? Qualcuno? Nessuno?”,  “A che ora ci troviamo??” “20.45 al Linus?”, “Sì, ok, va bene ma.... l’aereo parte alle 5.15 del giorno dopo a Rimini in provincia di Forli-Cesena, non sarà un po’ presto…”, “Presto?? Ma no, e poi perché vuoi cambiare tutte queste abitudini tutte in una volta, il ritrovo è sempre alle 20.45”, “Sì, ok hai ragione, allora io vengo a piedi, ho trovato un parcheggino comodo comodo di fronte casa che non lo posso abbandonare”, “Va bene, ti passo a prendere io allora…”

Sono vent’anni che ci conosciamo, sono vent’anni che non siamo mai partiti tutti assieme. C’è sempre stato qualche impedimento oggettivo, prima c’era il popolo da sfamare e io dovevo fare la pizza, e venerdì e sabato e domenica e Natale e Santo Stefano e Pasqua, e al massimo gli altri prendevano la scala mobile che li portava dal parcheggio al Primo Piano figurati l’aereo. Poi la moto, ma una carovana Harley, Suzuki, Honda, Alfa Romeo e Bmw col cardano non era troppo comoda, perché quando provavi a parcheggiare l’Alfa sul cavalletto di fronte all’Anitona non ci stava, e poi il gel con il casco non è mai andato d’accordo. E poi c’era il territorio da difendere e la rotonda di Bagnacavallo da presidiare che al massimo per stare assieme qualche volta siamo andati a fare outing misurandoci il tasso alcolemico a vicenda non prima di aver dimostrato di avere il numero di cellulare del Maresciallo, perché altrimenti ti ritirava la patente, anche se c’era lui di pattuglia: “Se non hai il mio numero non sei mio amico e se sei ubriaco ti ritiro!”, “Ma Capitano ho bevuto pochissimo!”, “Non cercare di corrompermi con i complimenti, 0,501543% sei fradicio!”, “Ma no Colonnello, non è vero, c’eri anche tu a brindare con noi, dai ti ricordi… il maestro di cerimonie, il taglio classico, il mistino senza cassata perché a Roberto gli fa male?!!”, “Niente da fare, fammi vedere se hai il mio numero di cellulare!”, “Generale non fare così, tre mesi senza patente non si può stare, ho perso il telefono, anzi ho perso il tuo numero perché il touch screen è una merda e pigio tutto sbagliato, però dai se mi perdoni ti offro una pasta da Fred e Vilma come ai vecchi tempi”.
E altre volte ancora il Maestro doveva volare sopra l’Atlantico per andare a vendere un due-trecento pallet di piastrelle 120*120 a Bill Clinton. Pare che la stanza ovale, quella di Monica, sia rivestita made in Faenza.  E nemmeno la neve è riuscita a portarci tutti assieme perché lo snow sì e gli sci no, no anzi gli sci sì e lo snow no, e poi i tempi sfalsati. Ehh effettivamente i tempi sfalsati  c’hanno messo del loro, prima si fidanzava uno che poi si mollava ma quando era fidanzato non si poteva, e poi si sposava l’altro che non si mollava e faceva un figlio e per un po’ non c’era, e poi un altro che se ne andava a vivere lontano lontano, lontano tipo Bologna che non potevamo mica fare tutta quella strada per andare a trovarlo e lui che sta sempre chiuso in casa e non può ritornare a Faenza, poi si sposava un altro che ha fatto talmente tutto in fretta che sembra quasi che non si sia nemmeno sposato, poi un secondo figlio fatto apposta per fidanzarsi con la figlia dell’altro, e poi ancora il lavoro e poi ancora Giuda Iscariota che a volte scompare e a volte ritorna come il Figliol Prodigo. Insomma, tempi sfalsati.

Ma stavolta si va, ehh sì, stavolta si va, l’abbiamo deciso a casa di Marco, a casa di Marco perché è lui che sponsorizza il viaggio per via di un scommessa persa o mi pare che al massimo abbia pareggiato, comunque in ogni caso paga lui e ci sembrava bello dargli la possibilità di prenotare da casa sua.  Abbiamo deciso di deciderlo una di quelle sere che ci ha invitato a mangiare la pizza in tavernetta,  che non ho ancora capito perché siamo quasi sempre dispari tipo uomo-donna-uomo-donna-uomo-donna-uomo e immancabilmente Lorenzo chiede: “Solo???”, che non sta proprio bene bene ma il Maresciallo si sa che è un cinico. E quindi abbiamo fatto l’itinerario: Barcellona, Sagrada Familia, la via del Santo che passa da quelle parti, il Chiostro di Maddalena, la pinacoteca di Dalì, il museo di Franco, la biblioteca di Stato, un corso di spagnolo, a letto alle 22 in piedi alle 5.45 per il rosario in ginocchio sui ceci. L’itinerario è stato stampato e distribuito alle donna-donna-donna presenti alla serata (ne è avanzato uno e non ho ancora capito bene perché), in modo che le ragazze sappiano sempre dove si trovano gli uomo-uomo-uomo,  così che possano essere  tranquille perché noi ci teniamo alla tranquillità.  Insomma un viaggio della madonna.   Va bè... se avanza un po’ di tempo un salto alle Ramblas per fare un due filmati con il telefonino, che poi ci servono per completare il video della nostra vita iniziato tra i tavoli di Tiffany quando tutti avevamo ancora i capelli neri e soprattutto i capelli, ci sta, tranquillo ma ci sta... sì così... magari una sera che andiamo a letto alle 22.15 anziché alle 22.
Sì dai, questa volta si parte, magari è meglio prendere la caparra anticipata, far firmare due cambiali, un impegno scritto col sangue, far deliberare tutto del Consiglio Comunale, mettere in atto una serie di ricatti per cui tutti quelli che sanno qualcosa di qualcun altro si impegnano a tacere solo se si parte tutti insieme,  e si va.  Riepilogando: partenza 5.15, ritrovo la sera prima 20.45, brindisi benaugurante,  volo di classe, non so quale ma di classe, durante il viaggio breve discussione su come fare il colpo della vita che ci farà diventare tutti ricchi sfondati, atterraggio, convenzionalmente 40 anni per tutti, rientro. Spettacolo come al solito, grandissimo come negli ultimi vent’anni di Compagnia!!

Il resto della storia dopo il rientro….

Un pezzetto della storia....

Che cosa succede se, senza spiegare altro, estrai due paginette da un racconto semi-sensato con un filo illogico che nella sua interezza racconta LA storia mentre così invece racconta UN episodio, e lo piazzi su di un blog strano, vediamo.

“E’ un po’ come quando, bambino, la sera prima della gita non riesci a dormire, ci provi in tutti i modi perché se ti addormenti domani arriva prima, ma niente…. ti giri, ti rigiri, “mamma, è ora?”, “noo, dormi che domani sei stanco, sono le due di notte”.
Poi è come quando, un pelino più grande, finisci una vacanza e l’ultimo giorno te ne stai seduto sullo sgabello nel bar dell’albergo e bevi un margarita e guardi fuori, il parcheggio interno, quello dove arrivano i nuovi, quelli della settimana entrante. Bisognerebbe confrontare le espressioni, la tua, la loro. Diverse: per te manca solo Don Backy che ti dice “ancora una volta abbiamo rimasti soli..”, per loro c’è l’eccitazione di chi vuole fare presto a scaricare i bagagli, cambiarsi, fare il bidet,  uscire, gel e profumo, jeans nuovo e mocassino; tu che sorseggi lento il margarita perché pensi che se bevi piano il tempo scorre più lentamente,  loro che si ingozzano una tequila bum bum che devono fare presto perché non c’è tempo da perdere.

E dire che quando sei partito eri quasi convinto che non sarebbe finita mai la tua vacanza, sei salito in macchina salutando tutti quasi come fosse un addio, ma un addio mica triste,  un addio tipo “ciaoooo, io vado” urlato con lo sportello ancora aperto e le valige abbandonate sul marciapiede,  perché sei troppo stordito e quindi sei costretto ad un retromarcia improvvisa per evitare di dover passare sette giorni con le stesse mutande.
E invece ecco l’albergo, ecco il bar, ecco lo sgabello, e tu che guardi fuori con aria nostalgica, margarita che finisce, di fianco a te solo due bimbi piccolissimi e bellissimi che spingono contro il bancone perché vogliono spostarlo e sono convinti che se non ci fosse il barista dall’altra parte a fare resistenza ci potrebbero pure riuscire. E tu li guardi e ti fai coinvolgere tanto che ad un certo punto ti viene perfino voglia di aiutarli, “va che se inizio a spingere pure io lo spostiamo… barista non ce la fai a resistere”, poi desisti perché sei grande e non vorresti farti arrestare per atti vandalici e danni al patrimonio, perché ti conosci e testardo come sei potrebbe finire che pur di spostare il bancone saresti capace di prenderlo a mazzate.

Ed ecco che ripensando ancora un po’ ti dici che “sono davvero testardo come l’orco!” (il discorso diretto è necessario perché rende di più l’idea che si stia parlando con qualcuno, in questo caso te stesso), e così  il fine vacanza diventa una sorta di introspezione (che bene bene non sai neanche cosa vuol dire). Introspezione? Non sarà mica qualcosa che si mangia? Mi pare una sera di aver ordinato qualcosa che si chiamava così in un ristorantino alternativo ma con gusto piazzato lungo il viale di una stazione, che detto così fa molto metropolitano decadente, ma se il viale è alberato, l’aria è calda, tu sei arrivato in bici, “la oste” è un po’ sciroccata ma molto divertente, il vino è di qualità e tu sei a cena col maestro che stai aspettando senza dirlo che arrivi qualcuno, behh, non è così male e forse li hai davvero mangiato un po’ di introspezione.
Aspettando che arrivi qualcuno. Non sai esattamente chi, cioè lo sai ma fai finta di niente, almeno ci provi, perché ti vuoi convincere che tu sei lì per cenare, non per aspettare  qualcuno, e vuoi concentrarti sulla cena, non su qualcuno, e allora attacchi a parlare col maestro e bevete, lui le bollicine, tu no perché ti fanno acidità e ordini un rosso senza passaggi in legno perché questa volta non vuoi tannini per la bocca. Col maestro si parla di tutto, quella sera si parla di rischio, rischio di credito, rischio di mercato, rischio di volo, rischio di farsi male, rischio di essere felice. Il maestro ti spiega che quando voli dovresti sempre portare con te un paracadute, magari non lo tieni sulle spalle, lo metti lì sul sedile di fianco che fa sicurezza e riduce il rischio almeno psicologicamente. Tu insisti che non s’è mai visto un uccello col paracadute e dire che loro di voli se ne intendono, e poi tu il paracadute non lo vuoi, è come andare in giro in macchina con il freno a mano tirato, allora stai fermo, allora non voli. E dopo queste affermazioni apocalittiche fate un brindisi, bollicine e sangiovese, come dire un incontro tra due differenti stili di vita.

Poi qualcuno arriva. Non lo capisci subito che è qualcuno, devi concentrarti per almeno 25 secondi, vedi un sorriso che porca puttana se è sorriso, è sorriso perché è tutto il viso che sorride, è sorriso perché è contagiosissimo,  vedi che qualcuno non è da sola, guardi meglio e sì ce l’ho, mi manca, ce l’ho, però ti concentri subito sull’ultimo ce l’ho e cancelli tutto quello che ti sta attorno, tutto, anche il sangiovese, anche il maestro, anche il viale, anche i tavolini. Il paracadute? Quello era già volato fuori dal finestrino ancora prima di partire. Vedi lo sguardo arrogante che nasconde idee molto chiare anche se dice che non è così, ti vuoi far travolgere dall’Espressione, ti sorprendi perché la prima cosa che ti dice è quello che vorresti sentirti dire e che sai che ti dirà, ti distrai sulle mani laccate con le dita lunghissime, ti ricordi che in un’altra occasione in cui con lei parlavi di lei prendendola in giro le davi del culo basso e lei non gradiva.  Culo basso, effettivamente una contraddizione assoluta visto che per salutarti deve scendere a guvinì  (espressione questa molto conosciuta da chi fa pilates, tipo tavolino dell’Ikea ma con le gambe flesse). L’introspezione nel frattempo si è raffreddata, ma tanto tu non avevi mica fame, perché non è mica vero che eri lì per cenare, eri lì perché aspettavi qualcuno. Ah se lo aspettavi, l’aspettavi perché avevi bisognissimo.
Aspettavi, si avresti aspettato un casino, forse sei ancora lì che aspetti e aspetterai ancora senza dirlo a nessuno perché non è bello che si sappia in giro, poi il ristorante ad un certo punto chiude e va bene che tu praticamente tra quel ristorante ed il tuo spacciatore di caffè preferito che si trova cento metri più avanti ci vivi, però se qualcuno continua a vederti lì magari si chiede: “Ma questo non ce l’ha una casa? Chi aspetta?”. Si ce l’ho, duecento metri a sinistra. Praticamente in mezzo km quadrato negli ultimi mesi è successo di tutto, troppo tutto che forse il maestro aveva ragione, il paracadute sul sedile di fianco serve, ma tanto tu non ascolti nessuno e continuerai a farlo (di non ascoltare), perchè sei testardo come l’orco, oltre che tante altre cose come l’orco. E quindi? Quindi ci vuole solo una gran pazienza…. non serve a niente ma è l'unica cosa che mi viene in mente...."

Titolo: "IL PREQUEL DELL'ORCO" - Sottotitolo: "racconto un po' troppo lungo ma mi ci sono perso"

Com’è che si chiama? Prequel! Ecco mi sembra si chiami così, lo puoi pronunciare in inglese (prequel per l’appunto) oppure anche in romagnolo (pre-quel, cioè che viene prima “de quel”), insomma è ciò che viene prima.

Mi sono deciso a scrivere questa cosa per fare un po’ di ordine in mezzo a tutti questi racconti di orchi, piadine e prosciutto, scarpe da ginnastica col tacco, ginocchiere, corsa, conti correnti e via discorrendo. Sì perché uno magari legge,  non capisce e può interrogarsi: “Ma cosa scrive questo? Ma cosa dice? Ma chi è, cosa fa, perché lo fa…”, invece se racconti l’inizio, se provi a inquadrare i protagonisti, magari l’insieme è più chiaro e la storia prende forma.

Il protagonista come già sappiamo è il nostro amico orco, anzi no in realtà lui non è il protagonista, lui  è una comparsa, una comparsa nervosa che fa un gran casino, si agita, briga, dice, monologa, sproloquia, corre, diciamo un comprimario. Il protagonista vero è un altro, il protagonista della storia è un plinto.

Sì un plinto, anzi una plinto (plinto resta sempre maschile si badi bene anche se si cambia l’articolo), di quelli belli di cemento armato, duri, compatti, alti e antisismici. Una plinto che un giorno si trovò sulla strada dell’orco. 

L’orco, a cui bisognerebbe dare un nome ma adesso non ne ho voglia, ha un passato da ballerino, faceva il ballerino semi-professionista e internazionale di halli galli, l’halli galli era la sua passione, è stato indeciso fino alla fine tra l’halli galli e lo spinning, poi ha voluto evitare di diventare troppo tonico e ha optato per il ballo, che tra l’altro l’ha pure  portato in giro per il mondo.  La sua compagnia (“The international Orco’s company”) ha fatto un tour anche in Giappone, tre mesi,  poi sono tornati per ballare alle Terme di Riolo, molto più glamour.
L’orco ballava ma era triste, sì triste, spesso apatico, anche un po’ grasso, poi magro, un elastico praticamente, e questo gli ha creato anche qualche problema con la scelta degli abiti, prima tutti larghi e poi tutti stretti, una spesa per rifare il guardaroba ogni volta! Nella fase down (magro) ha rischiato pure di diventare anoressico, è entrato anche in clinica e lì ha conosciuto un’altra paziente  sosia di J.LO (Jennifer Lopez - nda), col sedere leggermente più impostato ma neanche tanto, che poverina non mangiava davvero niente e lo mangiava pure lentamente e per questo si era ridotta tutta ossa e mattoncini (dicasi mattoncino muscolo molto tonico che avvolge  cosce, girovita e mento, tipico di chi pratica spinning ad alti livelli – nello spinning ad alti livelli si tira pure il collo). Dopo quest’incontro quasi mistico l’orco ha deciso che doveva uscire dal tunnel. Ha ripreso un po’ di peso, ha abbandonato l’halli galli, è andato a fare un lavoro serio, insomma abbastanza serio, non so esattamente cosa faceva ma più o meno direi qualcosa di simile al bancario.

L’orco però era ancora triste.  A volte durante le pause pranzo, per cercare di lasciarsi alle spalle quell’apatia che stava cronicizzando, andava a mangiare due cappelletti col tartufo e un’insalata primavera “chez Ettore”, un ristorantino dentro le mura che fa molto anni ‘70, con una vena romantica e maledetta che ti lascia quella nostalgia di fine pasto che dopo sei tu invece che devi lasciare il cappotto all’aria aperta per almeno un mezzo pomeriggio. Il ristorantino però era molto ben frequentato.

L’orco, che crede alle coincidenze e nulla succede per caso, oggi pensa che chi ben frequenta è a metà dell’opera, però  allora era ancora triste.

Altra caratteristica dell’orco è quella di dormire poco, più che dormire poco si sveglia presto, normalmente esce presto, compra uno-due-tre giornali e va a fare colazione. Pasta e cappuccino, no cornetto… pasta. Per fare colazione sceglie più o meno sempre gli stessi posti, e dentro gli stessi posti ama sedersi sopra gli stessi sgabelli appoggiato allo stesso tavolino su cui appoggia gli uno-due-tre giornali e se qualcuno viene a spingere sul suo tavolino con la sua tazzina di caffè, normalmente l’orco non gradisce.

Quella volta no.

E sarebbe stato bene che l’orco si fosse interrogato sul perché quella volta no, perché farsi domande prima evita il dover dare risposte troppo difficili dopo (un tocco di filosofia spicciola di derivazione scuole serali aiuta sempre a creare la suspance  giusta e normalmente fa pensare il lettore, quindi ora prima di andare avanti riflettete).

Il caffè che spingeva sul suo tavolino era abbinato ad un lecca lecca, se non sbaglio un chupa chups panna e fragola ma la memoria potrebbe tradirmi, il sovradosaggio di Eutirox mi fa perdere qualche colpo, tanto che l’orco pensò che già doveva essere complicato abbinare caffeina e chupa chups così fu cortese e lasciò correre. “Posso??”, “Certo, ma si figuri” (in realtà disse figurati, ma mi sembra più elegante così). Ecco fu in quell’occasione che rivide  un’altra volta “la plinto”. Perdiamo due minuti a descrivere questa ragazza (si perché…  è una ragazza…, plinto è un nomignolo molto carino che rende l’idea), allora: culo basso, ritenzione idrica pre-mestruale quelle tre-quattro volte al mese, tacco dodici che slancia perché altrimenti oltre al culo basso pure la caviglia risulterebbe intozzata, sguardo deciso, unghia laccata a caldo mentre invia messaggi via w.a.,  capello arruffato, fianco rotondo (tipo  J.LO!!), labbra carnose, sguardo arrogante, espressione… …  sì espressione… … ehhh espressione… … già espressione… … dicevo… pensavo… espressione… davvero difficile difficile da descrivere, potrei dire intensa ma non vorrebbe dir nulla, potrei dire affascinante ma vorrebbe dire troppo, potrei dire unica e lo capirei solo io, potrei non dire nulla e forse renderebbe davvero l’idea, ecco ripeto… “labbra carnose, sguardo arrogante, ESPRESSIONE”.  

Dopo quell’incontro l’orco era ancora triste però sorrise, ma sorrise per davvero, mica per finta, mica un sorriso di circostanza, un sorriso di quelli che magari parte dentro e lì si ferma però di quelli che te li ricordi, che se qualcuno riuscisse a vederti, dentro intendo, e se fosse abbastanza in confidenza e pure un po’ invadente ti direbbe: “Ma che c… ridi!”. Ora potreste pure chiedervi perché qualche volta s-cado nel volgare e piazzo qua e là qualche parolaccia di troppo, non lo so, però per descrivere certe situazioni/emozioni credo si debba scrivere come si pensa, anzi credo si debba scrivere senza pensare troppo, così di getto (dopo la filosofia da scuole serali una digressione socio-culturale di Scuola Radio Elettra che il lettore si interroga di nuovo e medita).
L’orco sorridente dentro finì la colazione, non lesse più gli uno-due-tre giornali, salì in bicicletta senza togliere la catena col lucchetto, rischiò di cadere, finse indifferenza, risalì in bici e se ne andò. Ecco io, che credo di conoscere molto bene l’orco, credo anche di poter affermare con una certa dose di certezza che fu lì che inizio tutta la storia che sto raccontando a ritagli. Che vi assicuro è una storia strana che non dovete nemmeno perdere troppo tempo per cercare di comprendere, non ci riesco nemmeno io che la scrivo figuratevi voi! E non voglio offendere la vostra intelligenza  ma è solo per rendere l’idea.

Dicevo allora che questa  storia  è strana e non va capita, va letta senza pensare, va odorata, va assaporata, bisogna lasciarsi coinvolgere dalla fantasia, dalla realtà, dai sogni (sì i sogni dell’Orco), dall’incoscienza (sì perché ce ne vuole un sacco), bisogna interpretare la filosofia dell’orco e lasciar perdere quella della plinto , non perché non ne valga la pena, assolutamente,  ma perché è impossibile, la filosofia della plinto sta tutta nell’ESPRESSIONE, quella che non si descrive per raccontarla meglio, quella che fa sorridere, quella che fa correre, quella che fa fare le inversioni a U o che fa vedere il mare a Bagnacavallo, quella che forse riuscirò un giorno a descrivere per chi avrà la pazienza , la voglia e l’interesse di seguire tutti i capitoli di questo “arraffazzonato” racconto  on-line. E quindi? Quindi niente, però “perchè sì”. Cosa vuol dire “perché sì”? All’apparenza niente, in realtà vuol dire che se anche non capisci il perché, ma lo senti che c’è, ti sei già dato la risposta. 

So che vorreste cancellare quest’ultimo pezzo ma è impossibile, il blog è bloccato e lo posso modificare solo io, fottuti.

L'orco incagliato

Questa mattina, leggendo il Giornale durante un cappuccino tristissimo perché si sentiva solo, ho incontrato questa frase di Oriana Fallaci (scrittrice spettacolare, intelligente come un uomo intelligente e stronza come una donna affascinante) che faceva più o meno così: “Sapete, ogni scrittore ha il proprio argomento, un tema e vi ritorna sempre, qualunque cosa scriva, perfino quando sembra che scriva di altro…”.

Fuori pioveva piano, faceva anche un po’ freddo, tutto era molto grigio, umido, le strisce pedonali di fronte al bar viscide e pericolosissime, anche quelle in via Canal Grande erano viscide, che all’apparenza non c’entra niente ma secondo me vale la pena sottolinearlo.

Ora forse la Fallaci mentre diceva questa cosa pensava agli scrittori professionisti, quelli dei libri, non agli scrivani da blog, però in fondo nella sua apparente abanalità, come sempre, ha colto nel segno. Non che su questo abbia costruito la sua conferenza e tantomeno voglio farlo io che non sono neanche capace, però mi son convinto che il concetto spiega la mia fissazione per l’orco e la voglia di raccontare dei fatti che girano attorno a lui. L’orco oggi è il mio tema, uno scrittore vero scrive di amore, di passioni, di giallo, di storia, fa inchiesta, fa piangere o fa ridere, io invece scrivo di orchi e questo in parte spiega perché non riuscirò mai a pubblicare un libro, ma non importa, è solo per precisare.

L’orco l’abbiamo lasciato che non era per niente tecnico, correva sì, forse sarebbe più corretto dire che annaspava, un giorno ha deciso pure di correre col tacco 12 però è caduto mentre faceva una pausa sul tetto di una piadineria vista mare, si è quasi rotto un ginocchio tanto che ora corre con la ginocchiera, tacco 12 da ginnastica e ginocchiera da sciatica, panta attillato e maglietta fasciante che lascia intravedere un addominale non proprio proprio scolpito ma un bel po’ rassicurante, quel rassicurante che può pure inebriare se lo guardi di fronte e non di profilo.  Il ginocchio quasi rotto l’ha reso però più riflessivo, oddio riflessivo…, un po’ meno impulsivo, oddio meno impulsivo…, più equilibrato, oddio più equlibrato… eehh.. il ginocchio quasi rotto non ha assolutamente cambiato la condizione dell’orco: l’orco è matto.

Ora non piove quasi più, fa un po’ meno freddo, ancora tutto è grigio, le strisce pedonali in via Canal Grande continuano ad essere viscide, quelle di fronte al bar pure.

L’orco nel suo correre zoppicante si è fatto pure fermare dai Carabinieri, l’ha fermato il maresciallo, il capo dei Carabinieri: “Scusi lei… cosa corre?”, “Maahh, io veramente…, si corro perché ho fretta, corro perché ho un sacco di cose da fare, corro perché poi c’è qualcuno che scappa, corro perché già sono arrivato tardi una volta che se fossi arrivato al momento giusto forse poi sarebbe stato diverso. Ecco sì corro per questo, per recuperare il tempo giusto! Ho deciso che è questa la risposta!”. “Guardi che non si recupera il tempo giusto, e poi cos’è il tempo giusto? Il tempo è tempo e giusto è giusto, il tempo arriva quando arriva”, “Sì, fa presto lei Maresciallo a dire così, e quindi cosa mi consiglia?”, “Ma cosa vuole che le consigli?  Io faccio l’etilometro, faccio le contravvenzioni, faccio le indagini, pedino, seguo, vigilo, faccio i turni di notte, controllo gli insonni, non lo so che cosa consigliare…, correre comporta dei  rischi, ma pure stare fermi comporta rischi e quindi forse piuttosto che non fare è meglio fare, e quindi piuttosto che star fermi è meglio correre, sempre che ne valga la pena. Ma ne vale pena o no?”. “Ne vale la pena??? Cioè lei mi chiede se ne vale la pena?? Ma Maresciallo oggi piove, è nuvoloso, le strisce pedonali sono viscide, ma lei ha visto il verde com’è verde? E il giallo com’è giallo? E il sole com’è sole? E la terra? No ma lei l’ha mai vista una terra così, così..., così eccezionalmente terra? E l’aria, lo sente il profumo dell’aria, sa di primavera!”, “Macchè primavera che siamo a gennaio e deve ancora nevicare, ma lei è ubriaco? Guardi che le faccio il test? Anzi no lei è matto, sì decisamente lei è matto.  E allora sa cosa le dico? E continui a correre che tanto matto lo è è già e di peggio le può capitare ben poco”.

Non piove più, sono andate via anche le nuvole, non si sono dissolte, si sono nascoste dietro al sole, al sole primaverile di inizio gennaio, le strisce pedonali sono asciutte, quelle in via Canal Grande no, forse c’è una perdita d’acqua nelle tubature di Hera.

Quindi vedete che si può scrivere di niente per raccontare tutto girando attorno a un tema che diventa ricorrente, lo scrivano come lo scrittore ha le sue fissazioni, anzi direi i suoi incagli, incagli che escono fuori con grande frequenza, direi quotidianamente, fino a quando il giallo è giallo, il verde è verde, il sole è sole e  l’orco lascia le porte aperte ma non entra perché sta troppo bene fuori  e se ne frega se poi gli tocca di passare una vita per strada, perché lo scrivano che racconta dell’orco è troppo affascinato-preso-dipendente  da quello che sta fuori dalla porta e vuole continuare a raccontare di questo, vuol far vivere al suo personaggio nuove disastrose avventure che però danno il senso a tutta la storia. Una storia che,  per inciso,  lo scrivano  non riuscirebbe neanche ad immaginare senza l’orco che corre.

Ed ecco allora che la domanda che chiude questo capitolo, una sorta di morale della storia,  non puo’ essere che una: “Quindi???”.