L'amore è eterno finchè dura...

“L’amore è eterno… finchè dura…”

Sì, lo so,  il titolo non è originale, l’hanno già usato, anzi direi già abusato, però che volete… è martedì, è novembre e fuori fa umido…
Se di sta cosa ne parlassi con Luì mi direbbe: “Se è amore dura, eterno è un casino di tempo, però se è amore dura, se non dura non è amore!”. E alla mia obiezione: “Luì, non ne conosco uno che abbia durato in eterno…”, Luì risponderebbe: “Due, se te ne porto due ho ragione, ne bastano due, li conosco, farei un po’ fatica a convincerli che li devo portare da te per una verifica, ma esistono, fidati di me”.

Se ne parlassi con un mio amico, la cui vera identità  celerò dietro lo pseudonimo di “Mister X” (una gran trovata), mi direbbe:  “L’amore non dura, anzi forse non esiste, le parole non costano niente, te l’ho già detto mille volte, e se mi avessi ascoltato avresti evitato un po’ di guai. Esiste l’innamoramento, esiste la voglia di trasgredire, esiste il lo-voglio-e-me-lo-prendo-poi-me-lo-tengo-per-un-po’-finchè-non-mi-sono-accorta-di-averlo-in pugno-quindi-lo-cestino-con-quattro-cazzate (tutto declinato al femminile così per caso), e in corso d’opera può esser stato pure bello, sembrava quasi sentimento, se non proprio sentimento sembrava… sembrava? Insomma sembrava e basta. Quindi non stare a perdere tempo, non ci pensare nemmeno che non fa costrutto”.
Se ne parlassi con un po’ di amiche che ho conosciuto ultimamente, mi direbbero: “Va bene che non è eterno, ma così mi sembra un po’ troppo rapido. Va bene ti capisco, ma una via di mezzo?!”. E alla mia obiezione: “Non esistono le vie di mezzo”, risponderebbero in modo non proprio gentile che non voglio star qui a ripeterlo che non sta bene.

Insomma, ancora una volta, è una questione di punti di vista. Però io credo che  l’amore eterno esista. Cambia nome, con il tempo e con le situazioni l’amore eterno cambia nome, ecco questo sì, questo succede...
All’inizio è “amore 24ore”, e funziona così: “Ti passo a prendere alle 7.30 così ti accompagno in ufficio?”-“7.30? Ma non è tardi, devo entrare alle 9.00? Non riusciamo a stare insieme nemmeno un attimo!”-“Hai ragione, sono da te alle 5.00, sotto casa! Poi pensavo, pausa pranzo verrei a salutarti, mangiamo qualcosa insieme magari?”-“Sì, va bene, così verso le 18 ci possiamo vedere per l’aperitivo” - “Perfetto, però ti riaccompagno presto, così salgo da te, verso le 18.15 magari, si perché sai… ho un po’ voglia di fare l’amore… sono già passate tre ore dall’ultima volta.. e mi piacerebbe provare  sul divano, in cucina, in bagno, nel sottoscala, in giardino, al parco di fronte casa, in macchina come quando avevamo 18 anni, sull’asse da stiro, sulla lavatrice, anzi prima lavatrice poi asse da stiro, in cambusa…” – “Non abbiamo la cambusa” – “Non c’è problema amore, usiamo quella del vicino”.

“L’amore 24ore” può durare dai sei mesi ai tre anni, poi diventa “amore esco un attimo con Giulio/a”. E’ sempre amore ma  funziona così: “Sei tornato presto oggi tesoro?”-“Sì”- sdleng (rumore di ragazza che viene appoggiata dolcemente sul lato interno della porta di casa)- “Ma che cosa fai, dai…” – slacc (con la c dolce, rumore della gonna che cade sul pavimento dopo lungo lancio) – “Ma, guarda… davvero… amore... ora però te la sei cercata…” – stock – (rumore di ragazzo che rovina a terra sul pavimento di fianco alla gonna e per una serie di combinazioni geometriche non riesce più a muoversi da quella posizione per almeno 13 minuti). “Amore mio, scusa se sono rientrato un po’ prima ma avevo bisogno di te oggi” – “Tesoro” – “Cucciolo… ah dimenticavo, stasera verso le otto vado con Giulio a giocare a calcetto, torno presto” – “Non ti preoccupare piccolo, volevo dirti che anche io vado da Giulia, andiamo a bere una cosa, è da una vita che non ci vediamo”.
“L’amore esco un attimo con Giulia/a” dura dai tre ai sette anni, poi diventa “Amore ma Giulio/a dov’è?”. E’ una fase delicata questa, potrebbe sembrare caotica ma ha una sua logica, preserva e fortifica, funziona più o meno così: “Piccola ma mi ha detto Giulio che non ti faceva così preparata a centrocampo, padronanza della palla, dice che giochi a calcetto meglio di un uomo, che ok, non è femminilissimo ma… caspita!” -  “Dai ma perché tu e Giulia non venite a vedere una partita una sera di queste, che fate sempre a parlare di lavoro, scuola, figli, in quel bar poi, ci credo che lei è depressa, mica puoi farle tu da analista, deve distrarsi, dai venite domani..” – “Ok, però ora andiamo a dormire…” – ah-ah-ah-ohh (rumore di effusioni controllate ma non troppo che fanno tranquillità)seguito da “trrr” – “trrr” (rumore di cellulari che vibrano in sincrono per l’arrivo di  sms il cui testo indicativo è: “Notte calciatrice, a domani. Giulio” – “Notte dottore, a domani. Giulia”.

“L’amore ma Giulio/a dov’è?” dura di media dai sette ai dodici anni poi diventa “Amore Giulia e Giulio, chi l’avrebbe mai detto!”. Questa è la  fase più bella, quella del ritorno pieno, dell’amore eterno che si sublima, funziona più o meno così: “’Sai ho visto la figlia di Giulia oggi, domani parte, va a trovare la mamma e Giulio, resta con loro fino a Natale” - “Belli, davvero una bella coppia, si sono trovati, avete fatto bene quella sera a venire a vedere la partita!” – “Sì, dai ma noi restiamo i più forti, dodici anni e ancora qui, innamorati come il primo giorno” – “E’ vero, che bello, che dici, perché non ci facciamo una vacanza, da soli io e te!” – smack (rumore di bacio che parte lentamente ma che a tre quarti ha un’accelerazione improvvisa e si trasforma in slinguata doc) – “Hei tesoro, alla tua età ancora, così… così…” – “Sei tu che mi fai sentire così… così…” -  frou-frou (rumore di lenzuola che si alzano e ricadono ai piedi del letto) – “Hei, sei sempre fantastica, è anche per questo che sono così innamorato di te” – “Amore, bella l’idea della vacanza, però non andiamo da Giulio e Giulia, c’hanno invitato ok, ma sono di una noia ultimamente…” – “Non ci penso nemmeno, sole, mare, Sambuca Molinari, io e te. Come sempre”.

Sì… ho deciso... l’amore può essere eterno.... e così dura... anche dopo dodici anni.

La tristezza del felice...

“Pago un Sauvignon rosso..” – “Quattro euro” – “Grazie… buona serata” – “A te… a presto”.

Aperitivo post ufficio, leggermente forte,  anzi decisamente forte, forte dopo una giornata dura, anzi decisamente dura.
Esco dal locale, la scarpa in cuoio sull’asfalto viscido è molto pericolosa, ho rischiato di schiantarmi a terra almeno dieci volte oggi, scivolata plastica con aria disinvolta, ci mancava solo una “trullallero trallalà” per fingere indifferenza.

Tre gradini, due passi, incontro Fox, un’amica che avevo conosciuto tempo fa con Master….
“Ciao Luì! E’ da tanto!!”

“Ciao Fox, sì è da tanto”
“Hei sei triste? Cos’è quella faccia?”

“Ma no dai, tutto bene, forse la pioggia… e poi ho appena bevuto un calice di sauvignon, il rosso di solito mi commuove, forse è questo!”
“Sìì, certo, il rosso… Ho letto da qualche parte una cosa che dice più o meno che non c’è niente di peggio della tristezza di un felice, sì perché te ne accorgi subito, salta agli occhi. E il tuo sorriso addormentato è chiaro sintomo di questo: sei un felice intristito. Non ti vedo da un mese e me ne sono accorta subito, sarà che ti conosco bene o sarà che sei discretamente espressivo…. ma…  me lo dici perché?”

La tristezza del felice. Che roba è?  E’ una contraddizione in termini? Oppure una malattia? Ci penso… un attimo… ho deciso… è una malattia. Sì, una malattia, una di quelle che non si curano neanche con l’antibiotico, ti prende così, un po’ alla volta, di solito inizia al mattino presto, poi si acutizza in pausa pranzo, e poi alle cinque del pomeriggio, l’ora della febbre, esplode in tutta la sua virulenza. Al massimo si può alleviare con la Novolgina (è una tachipirina vintage!). La notte non ti fa dormire, come il raffreddore, ma fa più male, perché spesso si “mischia” col sogno, si alimenta di libri con una dedica che il tempo ha reso finta, di ricordi, di occhiate al cellulare che sta sul comodino, di cuscini stropicciati.  Servirebbe una flebo.
“..allora me lo dici?”

“Ora mi ricordo perché non ti chiamo da un mese, sei  insistente!”
“Veramente sono io che non ti ho chiamato,  ti ricordi il perché? Mi hai detto che non dovevo affezionarmi a te, non dovevo affezionarmi perché tu eri già molto affezionato a qualcun altra, che non hai detto affezionato, non correggermi che lo so benissimo, ma ho cancellato le parole esatte perché altrimenti ora dovrei menarti e  non preoccuparmi del perché sei triste!”

“Va bè, sono stato sincero. Tu mi hai chiesto di esserlo! Mi preferivi in versione ti racconto della rava e della fava tanto le parole non costano niente e posso dirti quello che voglio che tanto dopo un modo per uscirne lo trovo? Un modo tipo non ti rispondo più al telefono, non rispondo più ai tuoi messaggi, mi faccio vedere in giro con una in piena negatività plausibile? Sarebbe durata ancora sai? Tre, quattro settimane, il tempo di abituarmi e godermi, poi tanto l’abitudine uccide, chi fugge vince,  mi sarei divertito, avrei vinto facile e ti avrei detto che dovevamo smettere perché era giusto soprattutto per te. E tu magari ci avresti pure creduto! C’avrei creduto pure io!!”
“Sai Luì che se poi sei triste mi frega quasi nulla? Starai mica diventando un cinico?”

“Macchè cinico… è solo realismo!”
Il felice che si intristisce diventa  cinico, ha ragione Fox, un cinismo d’avanguardia però, un buon cinico, non è colpa sua, è la vita che l’ha fatto diventare così: distaccato. Distaccato dalla realtà, fisso sui propri pensieri, incurante del resto, un nostalgico, un nostalgico che si credeva forte (che cos’è questo l’ho spiegato nel post precedente), lì seduto a leccarsi le ferite oppure qualche volta a rincorrere avventure al solo scopo di gratificare il proprio ego, un ego triste pure lui, da cui nascono avventure tristi, inevitabilmente tristi.

“Sì, comunque sono triste Fox, non è grave, tranquilla, adesso passa, se non passa adesso passerà domani, sono triste perché sono arrabbiato, perché piove, perché  è grigio e più guardo fuori e più tutto resta così, mi ricordo che una volta i colori cambiavano, il verde diventava più verde, il giallo più giallo, il rosso più rosso… ”
“Ti va un altro sauvignon?”

“Dai perché no, rientriamo?”

“Sì, offri tu però”

La nostalgia è dei deboli? No, non ci credo...

Ho quasi finito di leggere un libro, “Resistere non serve” credo di averne già parlato da qualche parte, poco più di trecento pagine, ho impiegato le prime 70 a capire di cosa raccontava, il senso, il senso della storia, tutto troppo incasinato, non mi piacevano né il senso né la storia, sono andato avanti lo stesso, non riesco quasi mai ad abbandonare un libro prima di averlo finito nemmeno se mi fa schifo, mi sembra un’incompiuta, magari leggo velocemente senza seguire il filo, non memorizzo i nomi né i luoghi né il significato delle frasi, ma vado avanti. E’ un difetto, lo so, anche un po’ stupido, chi mi obbliga a proseguire in qualcosa che non mi piace? Mah… nessuno fondamentalmente se non il mio carattere un po’ sciocco (lo faccio solo con i libri però!!).  Non vi racconto del libro, sarebbe la recensione di un incompetente, poi non mi piace interpretare e criticare quello che altri vogliono dire, mica c’ero nella testa dell’autore. Tutto questo preambolo per dire cosa allora? A questo punto del mio scritto ancora non lo so,  posso dire che da pagina 100 in poi la storia ha iniziato a catalizzare la mia attenzione, sarà che si parlava di bancari, donne, intrighi, dietrologiche cospirazioni, fanta-finanza, politica, forze occulte tipo spectre,  ancora donne, ancora bancari, sarà che come sosteneva una intellettuale da bar che ho avuto occasione di incontrare in passato (mi permetto di ri-elaborare sintetizzandone il profondo pensare): “i bancari sono attratti dal mondo dei bancari, chissà che cosa ci troveranno poi??”. Be’ ecco da pagina 100 mi sono fatto prendere,  non l’ho ancora finito perché temo la fine sarà tragica,  oppure semplicemente non felice,  quindi prendo tempo,  tergiverso, intramezzo con la scrittura, la corsa, gli aperitivi, la tv, non mi piacciono le storie che finiscono male o semplicemente che non finiscono come pare a me.

Poi ad un tratto, poco fa, l’autore, il Walter Siti, ha piazzato lì, quasi verso la fine, sta domanda: “…e la nostalgia non è già di per se stessa un segno di debolezza?”.  Cazzarola. E se fosse vero? Decontestualizzo per un attimo, decontestualizzo perché non ho più pensato alla storia che stavo leggendo, ho pensato al nostalgico.  No perché io ho sempre creduto che la nostalgia fosse sì un segno, anzi un sogno, ma non di debolezza. Forse il segno di un sogno che è svampato.  Il nostalgico io lo immagino uno che inizia a far sogni ricorrenti e ripetitivi quando sente la mancanza, la mancanza di qualcuno o di qualcosa o anche solo di una situazione.  Il nostalgico però io lo facevo uno forte, uno che ha il coraggio di ricordare, di crogiolarsi, un malinconico che sorride, qualche volta che si incazza pure, ma non un debole. Un debole è uno che fugge il ricordo quando questo è troppo ingombrante, un debole io me lo immagino ogni sera a cena con una “piuttosto” diversa, uno che nel rapporto di coppia per fingere di non inzerbirnarsi contraddice anche quando la pensa allo stesso modo (ricordate il p.c.??), uno che guarda sempre avanti perché avanti c’è sempre una possibile alternativa, un nostalgico è uno che ha combattuto fino alla fine per l’alternativa che stava dietro e dopo se la ricorda, anche troppo, ma d'altra parte cosa fai? Combatti fino alla fine per qualcosa che non vale nemmeno la pena essere ricordato con grande rammarico? (e se l’hai persa, l’alternativa, e se ne valeva davvero la pena, il rammarico c’ha da essere).
E adesso? Adesso salta fuori che “la nostalgia è un segno di debolezza”. E io che mi chiedo pure: “se fosse vero?”. C’è qualcosa che non va. Ho provato la stessa sensazione di quando una volta un mio amico, mi pare si chiamasse Luì, mi raccontò di una sua ex che incontrò dopo qualche tempo: “Ciao, come stai?” – “Ma, benino, dai bene.. si va!” – “Sei solo?” – “Ora?” – “No scemo, nella vita!” – “Sì” – “Perché? Neanche qualche storiella così?” – “No, che senso avrebbe, lo sai no?” – “Sì lo so, ti fa onore però è un peccato…” – “Peccato cosa?” – “No così, mi sembra uno spreco” – “Ah, ok, uno spreco… ho capito… uno spreco… tu me lo dici… ok… ho capito” – “Ciao eh..” – “Ciao a presto”. Ecco la stessa sensazione. Una convinzione che vacilla.

Basta non voglio più leggere libri impegnati, adesso vado a comprare Fabio Volo, la fine la decide lui, se non mi piace la cambio.

PIUTTOSTO CHE NIENTE E' MEGLIO... NIENTE!

Piuttosto che niente è meglio… niente.

Ora capisco che se la guardiamo dal punto di vista di “piuttosto” la cosa non è carina, se la regola fosse questa ci sarebbe un sacco di gente che va al cinema da sola, che passeggia sulla spiaggia da sola, che cena da sola, che va in vacanza da sola, che si addormenta da sola, e si concluderebbero di certo un minor numero di affari e nascerebbero meno bambini e si sarebbe tutti un po’ più nervosi, ma qui voglio analizzare il punto di vista di “niente”, “piuttosto” qualcosa con cui consolarsi lo trova sempre.

Perché questo argomento?  Mah, essenzialmente perché ci pensavo poco fa mentre rientravo dall’ufficio, finestrino semi aperto in direzione casa, e ci pensavo anche mentre cenavo, e ci pensavo anche mentre sono uscito per prendere il mio solito caffè concilia-sonno e ci pensavo anche prima sotto la doccia che ho provato anche a fare uno schema sul cristallo che si appannava causa vapore ma, sinceramente, non è venuto un granché.  E ci pensavo anche quest’estate, e anche due anni fa, e anche al matrimonio di uno che conosco bene, e anche… insomma ci pensavo da un po’.
Il concetto è estendibile a diversi ambiti: rapporti di coppia, di amicizia, pezzi di vita quotidiana tipo meglio il mio solito sapone neutro o meglio lavarsi  con l’acqua e basta se questo è finito e la ditta che lo produce è fallita.

Io qui voglio scrivere due o tre righe due sul concetto del “meglio niente che piuttosto” applicato al rapporto di coppia.  Sì, lo so, qualcuno potrebbe dire che sono monotematico ma lo faccio perché lo devo a una mia amica, che continua a ripetermi: “Dai scrivi un manuale”, che io le ho pure spiegato che non so fare e l’unica volta che ho provato a scrivere un libro ne è uscita una storia talmente assurda e insensata che ho cancellato tutto (dal pc). Quindi un manuale no, ma un paio di concetti veloci modello bignami sì, con la solita premessa che le faccio sempre (così la smetterà di rinfacciarmi che per colpa mia non si è ancora fidanzata!!): “leggi e fai esattamente il contrario”.
Anzitutto nel rapporto di coppia, o meglio nella fase pre-rapporto, è indispensabile capire quando si è in presenza del “piuttosto”,  sì perché… intendiamoci… si capisce subito e una volta capito scegliere è un attimo. Non voglio dilungarmi troppo, provo a spiegarlo in negativo, ad esempio metti una sera che esci a cena con il potenziale candidato/a (vale per entrambi i sessi) oppure vai a bere una cosa che è meno impegnativo, ecco metti che parli, sorseggi, mangi, sbadigli oppure no, guardi l’orologio oppure no, ordini il dolce, il caffè, l’amaro, un altro caffè, due biscottini, una Citrosodina solubile, insomma fai serata. Ecco metti tutto questo, saltiamo come finisce che  non è importante, può succedere qualsiasi cosa, non è questo il punto, il punto è quando ritorni a casa, la tua, apri la porta, la richiudi dietro di te e possono succedere due cose:

1 -    “Devo chiudere bene che in giro ci sono i ladri, domani mattina alle otto dove devo andare? Che sonno, faccio la doccia ora o al risveglio? Ho dimenticato di chiamare il mio analista… lo farò giovedì. Ho gettato l’immondizia? Buona la tagliata, il vino un po’ troppo barricato con quel retrogusto di pesche mature e pere volpine che persiste al palato in maniera eccessiva. In tv non c’è niente, che palle… Prendo un’altra Citrosodina, è meglio. Ahh domani mattina la chiamo (o lo chiamo – è uguale, l'ho detto – nda),si dai va che la chiamo, verso le 11 magari, oppure primo pomeriggio, magari alle 16.30 quando esco dall’ufficio, oppure alle 18.45 mentre vado al supermercato a comprare i fagioli con le cotiche. A che ora l’appuntamento con il dentista? Devo controllare, meglio farlo subito. Comunque dai, vestita bene, bellina quella camicia bianca… o era marrone? Forse rossa? Va bè ho lavorato molto oggi, se poi non la chiamo alle 18.45 magari la chiamo giovedì prossimo, a noo cazzarola… giovedì ho l’analista,  sì però la chiamo, non si sa mai (non si sa mai è devastante, primo passo verso la negazione di se stessi – nda)”.

2-  “mmh… però… ehhh… in effetti… quel vestitino in lana modello colazione da Tiffany tre-virgola-quattro centimetri sopra il ginocchio e l’anello in pandan con l’orecchino, e le tessere magnetiche nel portafoglio tutte belle ordinate, e come è salità in macchina, no dico... com’è-salita-in-macchina, pazzesco, un piede dopo l’altro, che gamba, che equilibrio. Mmh però… ma se le faccio uno squillo ora (sono le 3 e 45 di notte – nda) cos’è disturbo? No va bè, magari domani… (passa la notte… )… Cazzarola ho dormito con la porta aperta… va bè però… mmh… in effetti… sms: “Buongiorno! Niente, avevo un gran bisogno di salutarti.. niente.. ciao”.

Ecco il secondo caso non è “piuttosto”.

Una volta individuata la fattispecie, amica mia, si passa alla seconda fase: la decisione.

Caso 1, dopo una settimana da solo/a e tutti i tuoi amici che vanno al cinema in due, a mangiare in due, a volte in quattro, a volte in sei, che vanno al mare a giocare a racchettone, che prenotano le vacanze per l’estate prossima, che hanno l’influenza ma non devono uscire perché tanto ci va lui/lei a comprarti la Tachipirina, che va bè cazzarola è già una settimana che… anch’io ho le mie esigenze… ecco che succede: “Ciao, come stai? Scusa se non ti ho chiamato prima, ma mi hanno rubato il telefono e ho impiegato un po’ a ritrovare il numero, che dici stasera? Ci sei?”. Piuttosto risponde: “Si ci sono.. certo che ci sono…” e contemporaneamente pensa: “Ma chi è questo?? Ahh quello della scorsa settimana! Il biondo.. o è moro?” (questo perchè il piuttosto... è piuttosto per tutti!!) e conclude: “…mi fa davvero molto piacere, anzi un piacere immenso, aspettavo la tua chiamata con ansia, non ci speravo più! Facciamo alle 20?”. E tu: “Ok, alle 19.55 sono da te”.

Caso 2, ore 8.15 del giorno dopo, dopo l’sms delle 7.45, chiami: “Buongiorno, no ti chiamo perché salutarti solo via sms mi sembrava che ti avevo salutato poco, e poi volevo chiederti che cosa fai questa sera alle 16.45… Come dici? 16.45 è ancora pomeriggio? Va bè, sempre attenta al particolare tu…”.

Ora amica mia, non ti fissare sulla risposta che il candidato o la candidata daranno al caso 2, non è neanche quello il punto, il punto è che se il candidato dirà sì tu alle 16.30 sarai sotto casa sua e avrai saltato pure la pausa pranzo perché non avrai fame, se invece il candidato  dirà no, alle 20.45 sarai ancora in ufficio e avrai saltato la pausa pranzo e pure la cena perché non avrai fame. In entrambi i casi, la sera, quando rientrerai a casa continuerai a pensare: “mmmh, però, ehh, non è la stessa cosa… no, no, decisamente non è la stessa cosa” e se la risposta sarò no,  capiterà forse che 8 week end dopo,  magari, ti ritroverai al cinema da solo/a a vedere “Un castello in Italia”, e farai pure attenzione a non sporcare perché avrai portato un po’ di sabbia sulla poltroncina, il pomeriggio faceva caldo, piuttosto che stare a parlare di piuttosto meglio una passeggiata in riva al mare a fare niente….

Ecco piuttosto che niente è meglio niente…. tu  però pensaci e decidi, ma ricordati, fai sempre il contrario di quello che ti suggerisco io…. e sappi che la colpa di ogni scelta non è mai di piuttosto ma solo la tua!!