Siamo tutti Amilcare Rossi... almeno un po’.

Lei stava seduta alla sua scrivania, tutto un ticchettare di tastiera, concentrata sul video ma con un occhio al display del fisso, se Amilcare Rossi avesse chiamato che cosa avrebbe potuto raccontargli? La pratica non era finita, anzi non era nemmeno stata iniziata, era tutta ancora nella testa dell’Amilcare e nelle due pagine di appunti gualciti (fogli a quadretti) che aveva preso durante il primo incontro in azienda, ormai tre settimane prima.

Ritardo imperdonabile, tre settimane tre senza metterci mano, ma quell’abitino nero, sexyserioso tuttoattaccato, la rendeva davvero e comunque irresistibile e faceva un pendant che mai con quelle gambe che uau!!

Lui sfidava la sabbia, crudo e squacquerone, panchina e battigia, Moretti e vento di tramontana, il mare a fare da cornice. Amilcare Rossi non lo conosceva, con quel nome gli stava pure un po’ sulle balle, della sua pratica non sapeva nulla, fosse per lui avrebbe declinato a prescindere, ma lei aveva un sorriso davvero entusiasmante, anzi coinvolgente, anzi impertinente, anzi distraente (distraente sta a significare che se tu la guardi sorridere mentre un altro ti parla tu non capisci cosa dice l’altro ma fai comunque di sì con la testa ed aggiungi “eh già” ad intervalli semiregolari - tutto senza virgole che rende di più l’idea) che non riuscì a pensare ad altro nei settantacinque minuti successivi.

Lei era bella, ma di quel bello che fatichi a descriverlo perché troppo singolare per essere banalizzato in quattro righe.

Lui aveva la pancia pronunciata, pronunciata da chi no si sa ma obiettivamente eccessiva per quella stagione della sua vita, avrebbe dovuto fare qualcosa.

Lei andava verso il domani di corsa, occhiale e savoir faire.

Lui cercava di aggrapparsi ad un ieri più affascinante che  bello, jeans e laissez faire.

Lei ostriche e gazzosa.

Lui champagne e piadina.

Il bagnino del bagno due nell’ottobre scorso aveva abbandonato un moscone lungo la riva, la mega ruspa che spianava la spiaggia doveva zigzagare per non travolgerlo, poteva farlo ma ne aveva rispetto, il quasi natante s’era fatto tutto l’inverno a sfidare le onde, aveva ospitato nelle rare giornate di sole due gabbiani, una coppia di amanti infoiati, un barbone calvo, il direttore commerciale della Case Stratosferic Bank in trasferta in riviera, una farfalla, settemiliardinovecentottanovemilioni di granelli di sabbia, una bottiglia di Sangiovese esaurito (il vignaiolo era ricoverato in una clinica psichiatrica), e ancora lasciava che trovasse ristoro sulla panca a prua il ricordo di quell’unico bacio che lei e lui si diedero in quella fresca mattina di un giorno qualsiasi.

Vedete quante cose si scoprono osservando ciò che ci circonda? Ogni persona una storia, ogni sguardo una passione, ogni giorno un pezzetto di qualcosa che si accatasta da sé.

È divertente osservare ed immaginare, immaginare ciò che è e pure ciò che non è, in questo modo nascono i romanzi, la vita, le gioie, la felicità, le fughe, le coincidenze, le parole inventate, gli incontri, gli scontri, gli aggettivi e pure Amilcare Rossi (a cui - per inciso - il fido non lo concederà mai nessuno).

Dentro ad ogni fantasia c’è un tocco di realtà, in ogni realtà c’è un stilla di fantasia, scrivere è divertente per questo, si confondono le cose così... così che (quasi) tutto diventa possibile.

Firmato A.R.