L'amante di Babbo Natale

Ma Babbo Natale ce l'ha l'amante?
Son cose che magari non ci si pensa, è Natale, lui arriva, legge le letterine, passa la biada alle renne, porta i regali, i bambini, il camino, il latte, i biscotti, il vestito rosso, la barba bianca, le comparsate nei centri commerciali, la vigilia, l'albero, e nessuno a chiedersi se lui l'amante ce l'ha oppure no.
Non è gossip, è psicologia.
Un Babbo Natale fidanzato/sposato con amante a carico, meglio di chiunque altro potrebbe aiutare le genti a superare la festa.
Natale è un incastro, è una convenzione, è un'insieme di convenzioni, sono i regali stanchi che le coppie con le rughe a spigolo si scambiano senza più immaginarsi il perché, ed allora sono le cravatte opache, i pullover finto Ballantyne e l'I-Phone 7 a rate, senza biglietto d'auguri ma con lo scontrino e il piano d'ammortamento del prestito Agos.
Natale è la fuga cronometrata prima della cena del 24, verso le 22.30: "Ho dimenticato le sigarette al Tabacchi! Torno subito!", e lui esce di corsa per chiamare di nascosto lei che invece ha dimenticato le crocchette del cane all'Esselunga: "Buon Natale Amore Mio! Giuro che sarà l'ultima volta così!".
Poi di nuovo a casa, ricordandosi entrambi, all'improvviso, che lui non fuma e lei non ha il cane, ma nessuno chiederà niente, perché è Natale, e fingere è meglio di sapere, soprattutto se non si é ancora mangiato il panettone.
Natale sono gli auguri e i "grazie altrettanto... anche a sua figlia... mi raccomando... ci tengo!!", e poi pensi:  "Ma chi cazzo è questo? E soprattutto, chi è sua figlia?".
Natale sono i brindisi in solitaria dei single loro malgrado, sono le passeggiate lente di fronte a vetrine luccicose dei single che: "Ecco! Del caso comprerei questo!".
Natale sono i baci asciutti delle coppie convenzionali, sono i baci con la lingua a metà pomeriggio delle coppie clandestine, e sono i baci ad occhi aperti e caldi dei passionali.
Natale è il sorriso incontenibile dei bambini, è la messa di mezzanotte, è pure la gioia strabordante tenerezza e passione dei completi a vicenda.
Natale è la neve, anche se non c'è, è la neve dentro, quella che fa atmosfera e non freddo, quella che fa casa-focolare-famiglia-passioni e bob a nastro (rosso con il cupolino blu).
Natale sono le scuse di chi vorrebbe essere da un'altra parte ma è lì perché deve, ma è pure "la gioia che salta" di chi è nel posto giusto al momento giusto.
Natale è la moglie di Babbo Natale, che aspetta tutta la notte e lui fuori a consegnare pacchi.
C'è chi dice che sia Natale anche per i tristi, per gli abbandonati a se stessi, per i disillusi, per gli illusi, per i morti di fame, per gli indecisi, per quelli che rimpiangono quell'altro Natale che, e  per quelli che rincorrono questo Natale qui.
Io credo che Natale sia soprattutto la vigilia di Santo Stefano, ma sono megalomane e di parte.
A Natale si fa l'amore, si beve buon vino e si pensa intensamente a coloro a cui si vuole bene, se dice di culo succede tutto nello stesso spazio, nello stesso istante, nello stesso cuore.
Natale è l'emozione che si scioglie, è l'apoteosi dello shopping spinto, è "che palle sti regali", è il mistico, è il cinepanettone, è la cosa giusta al momento giusto ma può essere la roba sbagliata al momento sbagliato.
Natale ed è già estate, Natale e siamo tutti più buoni.
Natale è Gesù.
Insomma... crocevia di sentimenti, coacervo di ricordi e di sogni di bambino, sborantamila baci e mille abbracci, auguri, speranze, felicità e tristezza, indifferente solo per chi si sforza parecchio, il Natale è caldo dentro e incasinato fuori, le lucine sulla via e l'albero in piazza, e Babbo Natale con l'amante, ne sono certo, riuscirebbe indubbiamente ad interpretare meglio la parte.






Una storia quasi vera

"Cosa fai?!"

"Io sto leggendo un libercolo bianco mentre sorseggio una lacrima di Montenegro in ghiaccio che mi ha offerto un cameriere rumeno con l'accento veneto che nel frattempo sta smontando il ristorante"

"Sembra l'inizio di un film!"

"Un thriller"

"Ma rumeno? Sei sicuro?"

"Direi di sì"


È facendo attenzione ai particolari che si costruiscono le storie, tutte, quelle d'amore, quelle di letto, quelle di lavoro, quelle per sempre e quelle di giornata, anche quelle di vita.

Sono i particolari ad attraversare il tempo.

I particolari giusti, al posto giusto, nel momento giusto, come le lucine di Natale, vanno a dicembre, che poi le incontri passeggiando, e ti fanno sorridere.

Di quel sorridere malinconico, che ti ricorda quanto era veloce il risveglio con la testa nel quartiere generale di Big Jim, che poi tu Babbo Natale non lo hai mai visto ma lo sai che esiste.

Ed esiste ancora adesso che sono passati trent'anni.

Di quel sorridere malinconico, che ti ricorda quanto fa male Big Jim che se ne va.

E allora a Natale poi le luci non hai mica voglia di accenderle, perché cambia tutto, almeno sembra.

Ed ecco allora i particolari, ecco, proprio loro, il cui ricordo riaffiora improvviso, passeggiando lontano da casa, e se il ricordo è così forte allora sono molto più di semplici particolari, sono pezzi di vita vera, che hanno dato il senso, ti hanno fatto grande, ti hanno fatto quel che sei.

E ti faranno trovare la strada giusta ancora una volta, perché la strada giusta si trova sempre. 

Sempre.

Basta ascoltarla.


Già, a me stasera è venuta in mente questa storia qua, cercavo una soluzione e ho trovato il perché.


"Forse non è rumeno, aveva solo fretta di chiudere e parlava a scatti, era questo a tradire l'accento. Mi ha pure raccontato che lunedì è giorno di chiusura, perché il lunedì non si fanno affari, e dovrò trovare un altro ristorante per la cena"






Gli Intesi

Si diceva dell'intesa mi pare, quella mentale, "incastro di cervelli" la chiamano.
Si diceva che l'intesa mentale è più forte della passione, del sesso e anche del tempo, quello che precede e quello che succede.
Si dice che l'intesa mentale si nutra di coincidenze, di attimi che si rincorrono e di parole non dette, perché tanto non importa... "gli intesi" arrivano un attimo prima, giusto giusto quei due secondi che servono a capire che non serve dire, è già tutto terribilmente chiaro al primo sguardo.
Se approfondiamo poi, ci si rende conto che è chiaro pure se lo sguardo non c'è, "gli intesi" si capiscono e basta, hanno il cuore sincronizzato, al 70% dalla nascita e al 30% dalla prima volta che hanno fatto l'amore.
L'intesa la puoi pesare, 20 chili, tutti lì a schiacciare il bisogno che c'è di incontrarsi, di sentirsi e di cercarsi. 
Cercarsi sempre, sempre nel tempo e sempre nello spazio, durante, prima e dopo, sempre.
L'intesa è sexy e "gli intesi" godono, godono da pazzi, si godono a vicenda, sudano, ridono, piangono, si lasciano travolgere e stravolgere, tanto da non poterne più fare a meno, salvo uscirne inariditi, tristi, vissuti ed esigenti, dei futuri incontentabili, che spesso rinnegandosi si rifugiano nel "piuttosto", quel posto lì freddo e ammuffito che sa di carta di giornale bagnata e che prima o poi li espellerà accartocciandoli.
"Gli intesi" non sono uguali, questo ha da esser chiaro, a volte sono simili ma sempre certamente si completano. 
È per questo che non puoi separarli, mai per davvero, mai fino in fondo perlomeno, sarebbe solo finzione, e pure apatia, tipo nebbia e cioccolato con le mandorle amare cotte al vapore, che detto così pare non aver senso, ma se provi ad assaggiarlo in una sera di metà novembre, in una vaschetta da mezzo chilo senza cucchiaino tra le valli di Comacchio, poi lo capisci che cosa volevo rappresentare.

Metti una sera a cena da solo...

Cittadella... enoteca, cena da solo dentro la porta, la serata sa di mura antiche, vino rosso, lardo e crostini, sangue di tagliata, ragazzi che spritzano.

Sedersi di fianco a due francesi agée, che hanno ordinato polenta e porcini con contorno di costata di manzo, e ad una coppia di amici probabilmente lombardi che stanno importunando in inglese la cameriera di colore con accento veneto, ha tutto il suo perché.

Poco distanti, due tavoli a margine, stanno due coppie clandestine, evidentemente clandestine, ma clandestine tristi.

Sono diverse, diverse e tristi.

Una è lei che c'ha sonno e lui che c'ha sete; l'altra è lui che fa il galante e lei che fa la figa annoiata... "ho caldo, la luce è troppo forte, posso cambiare sedia, si può abbassare la filodiffusione, possiamo cambiare tavolo?".

Lei che c'ha sonno sta cercando di ravvivare la serata, spiega, si atteggia, si avvicina, si posiziona di profilo con la gamba accavallata e raccoglie i capelli per mostrare il profilo greco, che forse è un po' troppo greco e un po' troppo profilo.

Lei che si annoia, col capello rosso arrabbiato, cambia tavolo davvero e si destreggia per ancheggiare svaccando, con l'espressione da Crudelia de Mon (che non so se si scrive così ma va bene chè internet non funziona e non posso verificare). 

La lei che c'ha sonno ora ride, ride e toglie briciole dal tavolo, ride e in un impeto di romanticismo spinto poggia la mano sulla spalla di lui. 

Arriva un tiramisù.

Il lui della lei che si annoia si alza sconsolato, camicia sbottonata al quarto bottone, pelo sul petto con riporto, chiede il conto. 

Ora l'espressione di lei è simile a quella di Mano nella terza puntata della "Famiglia Addams".

Non ci sono più i clandestini di una volta, no, no... tristi pure loro, la nuova frontiera dell'evasione sarà la singoltudine irregolare, l'accoppiato insoddisfatto non cercherà più la trasgressione della relazione parallela, racconterà invece di una partita a calcetto il lunedì sera per uscire da solo.

Birra e salsiccia, You Porn e pop corn per sesso onirico e fuga dalla realtà, ma se vuole lasciare le briciole sul tavolo nessuno gli romperà i coglioni, e la musica a palla, e la sedia scomoda e il tavolo sotto ad un faro a led, e il vino, corposo, abbondante, rosso, in calici ampi, molto ma molto ampi.

La lei che c'ha sonno sta bevendo a carretta e si lascia andare ad un bacio appassionato a metà, però sorride, sembra un po' meno triste; la lei annoiata sta aspettando al tavolo, il lui che fa il figo è scappato con la cameriera veneta di colore, il titolare dell'enoteca è incazzato per la perdita della dipendente, io sto aspettando il conto, mi serve la ricevuta che poi devo fare il rimborso.

Una lacrima di grappa morbida addolcisce.

La serata sa di mura antiche, vino rosso, lardo e crostini, sangue di tagliata, ragazzi che spritzano.


Si fa presto a dire: "vado ad un corso di formazione"

Ora, dico io, e ci pensavo giusto due minuti fa in auto mentre rientravo da una cena all'aperto, la vita è bella piena di incertezza. 
Di incertezza sì, e poi di instabilità, di treni in ritardo, di rapporti annoiati, di profilattici bucati, di fughe in avanti, di lavoro che c'è e non c'è, di "non so cosa mettere questa sera", di serate con la valigietta rossa non si sa mai a casa di chi, e di un sacco di eccetera, eccetera ed eccetera, ma con un'unica grande certezza, una, una sola: i corsi di formazione aziendale fuori sede, su più giornate, colleghi e colleghe e docenti, con pausa pranzo preparatoria, aperitivo alcolico, cena ancora più alcolica in "ristorantino tipico e figo che lo conosco io", albergo 4 stelle S con simil jacuzzi, sono la madre di tutti i mali.

Sì, è così, il Corso di Formazione è nemico della serenità.
Perché è il mix di situazioni concomitanti che crea il disagio. 
Il giro di tavolo in apertura è il primo tassello, l'ignaro partecipante inizialmente guarda i colleghi in maniera apparentemente distratta, e per ognuna di loro si fa un bel filmettino (sono passato subito alla specifica di genere perché solitamente il partecipante ignaro e fintamente distratto è maschio, la donna o è distratta vera o è attenta punto):
"Mmhh, carina, aria saccente, silenziosa, sarà sposata? E figli? E quell'orologio? E la gonna sopra il ginocchio? E che c'azzecca lì a ridere con quel suo vicino di posto che è pure spettinato per fare il figo? Secondo me è insoddisfatta (della vita, non del vicino di banco - nda)."

E dopo l'analisi silenziosa e apparentemente distratta parte la fase di ascolto della presentazione: 

- "Ciao, sono Agata, vengo da Forlì, sono la responsabile commerciale dell'area nord-est del perimetro nord della divisione non-food del compartimento strumenti di misurazione avanzata, ho due figli, il primo ha poco meno di sei anni, il secondo poco più di sei mesi, amo cavalcare, il venerdì esco con le amiche, dal lunedì al giovedì faccio il budget, mio marito mi trascura, il mio fidanzato è un coglione però li amo tanto"

Il partecipante ignaro non è certo di aver sentito le ultime 10 parole, anzi al 99,99% non sono mai state pronunciate, ma lui si convince che lei le abbia dette, o perlomeno pensate, o che sicuramente le penserà, e questo è il secondo tassello: il tarlo.

Il problema in questo caso è il tempo, per fare diventare il tarlo numero di telefono c'è meno di niente, l'obiettivo deve essere raggiunto entro la fine della pausa pranzo, e allora il nostro parte così:

- "Ciao, sono Ugo, lavoro in Direzione Generale, sono il responsabile dell'uffico comunicazioni integrate e digitali per le relazioni esterno/interno (centralinista capo - nda), sono separato quasi divorziato da dieci anni, ho un figlio che vive praticamente con me a parte i lunedì-martedì-mercoledì-giovedì-venerdì e domenica pomeriggio, sono sensibile, odio il calcio e non lo guardo mai a parte le domeniche di campionato e i mercoledì di coppa. 
Oggi vado a pranzo alla Lampara e questa sera mi piacerebbe fare un aperitivo in uno di quei localini sul lungo viale insieme a tutti quelli di Forlì a cui lascio volentieri il mio numero per gli accordi del caso".

Se "quelli di Forlì" sorridono, è molto probabile che la serenità subisca il secondo importante colpo.

Poi il terzo tassello, la prova del nove: la pausa caffè del pomeriggio.

Ugo, professionista sgamato e un po' fintamente goffo, esce lentamente dall'aula ben attento a farsi individuare e seguire fino al barettino di fianco, se è molto professionista tra le 14.30 e le 14.45 è già riuscito ad ottenere l'amicizia su FB da parte di Agata, ringraziando via wa con una faccina arrossata e la manina che fa ciao. 
Al banco ordina due caffè, uno lungo per lui e uno ristretto per lei, entrambi senza zucchero, imposta la voce, la guarda sornione, e: 
"Mi fa molto piacere averti conosciuta, colleghi da tanto e mai incontrati, sarebbe stato di certo più piacevole faticare se fosse successo prima".

Se lei sorride e più o meno pensa: 
"Certo che la giacca gli cade davvero bene su quella cravatta autorevole", 
e più o meno dice: 
"Ma quel localino sul viale di cui dicevi poco fa, lo conosci personalmente?", beh in questo caso la serenità e sull'orlo del suicidio.

A questo punto è inutile raccontare la serata, ognuno si può immaginare ciò che più l'aggrada, soprattutto i colleghi di corso il giorno dopo, che per capire davvero dovrebbero controllare le espressioni e i gesti a colazione: 
se "quelli di Forlì" è la prima a scendere giusto due minuti dopo l'alba ed Ugo immediatamente a seguire, e poi tavolo isolato ma non troppo, sguardi volutamente distanti e mani che si incrociano "per errore" nel vassoietto del burro, magari indugiando sulla fetta biscottata con un tono di voce tra lo smieloso e lo smarrito, beh qui ci sono tutti i sintomi di una serenità ormai definitivamente perduta; 
se invece è un saluto impacciato dieci minuti prima della sessione d'aula, lui Nutella e lei salato, e poi tavolo comune e affollato a parlare a voce alta della lezione in divenire, beh qui la serenità è ancora recuperabile e la serata precedente, usando un neologismo forbito, si è conclusa decisamente alla cazzo.

Ecco, è così, manca solo l'ultimo tassello, quello che permetterà di capire il proseguio della vicenda, e riguarda la frequenza con cui verranno organizzati i prossimi corsi di formazione, che in caso di storia evoluta od evolvente saranno sempre più numerosi e sempre più spesso convocati a ridosso di we lunghi, in zone scarsamente coperte da cellulare ma ottimamente dipinte da tramonti ramati, con aule comode e matrimoniali, orari allungati e pause rarefatte, paesini isolati che prenderanno il posto degli uffici di formazione zona Duomo, così davvero troppo rumorosa e moderna per un apprendimento adeguato!!

Donna, i 40 per te iniziano a 35.

Lo sostengo da sempre: per una donna i "40" iniziano a 35. 
Anni intendo, anni.
Nulla a che fare con l'età biologica, no, quella ognuno gestisce la propria, parlo di età celebrale.
Oggi la donna al compiere dei 35 entra nella fase del "tutto è possibile", no limiti e soprattutto vivere ad oltranza.
I sintomi sono facilmente individuabili, il primo, quello più potente, si manifesta con una malcelata insoddisfazione, insoddisfazione per tutto ciò che la circonda.
Insoddisfatta della routine familiare soprattutto, dove il marito è troppo marito, i figli troppo figli, la casa troppo casa, la suocera troppo suocera, i fine settimana troppo fine settimana. 
Poi insoddisfatta di quello che non è famiglia e allora anche il lavoro è troppo lavoro e il tempo libero diventa annoiante, e poi è poco, troppo poco, anzi "devo iniziare a ritagliarmi i miei spazi".
L'insoddisfazione a questo punto diventa apatia acida, con venature di incazzatura rapida, rapida nel senso che basta un niente, e allora il troppo marito, che potrebbe essere anche un troppo fidanzato, inizia a somatizzare.
Ed è con la somatizzazione che inizia un circolo perverso, perché un marito somatizzato diventa una vera piaga, si imbruttisce, si aliena dalla realtà, la barba non è "volutamente incolta che fa maledetto", ma semplicemente "rasata alla cazzo che fa trasandato". 
La pancia non è più interessante ma prolassata, il sesso diventa ecumenico, nel senso che se va bene ci si ricorda di santificarlo a Natale, la birra diventa la vera alternativa, il calcio in TV una ragione di vita, il beccaccino al bar una fuga dai problemi che riconcilia con il mondo.
E la donna, giustamente, diventa ancora più insoddisfatta, ma a questo punto con un però: "insoddisfatta però creativa".
Il "però creativa" si concretizza a seconda delle attitudini, ma il fine è solo uno: riappropriarsi del proprio essere sia interiore che esteriore.
Ed è così che iniziano i corsi di pilates, il footing, il rafting, il tango argentino, i corsi di inglese avanzato, lo yoga, le serate di kamasutra illustrato e commentato al circolo del bridge, le specializzazioni in fotografia, e soprattutto vere e proprie full immersion di social network, tutti, nessuno escluso: FB che si linka con Instagram che condivide con Google che twitta su Pinterest!
E sui social iniziano ad apparire foto a nastro, spesso risalenti ad almeno dieci anni prima, al 75% senza figli, al 99,99% senza marito.
E questo con una costante: il dopo "attività creativa" si chiude con le compagne di corso in qualche locale di tendenza.
Ed è qui che si consuma il disastro, sì perché le frustrazioni passano a fattor comune e banalmente sono benzina sul fuoco, ed  è dopo queste serate che si affacciano prepotentemente lo smalto a caldo, il tacco progressivo (cioè che aumenta di un centimetro la settimana) e il perizoma d'ordinanza che non si sa mai.
E perché dicevo tutto questo inizia con i 35? Perchè il combinato disposto di quanto sopra descritto si fonde spesso con una fisicità che affascina. 
Non più la forza acerba dell'adolescenza, ma la potenzialità discreta della milf che non perdona.
E la Milf che non perdona diventa tutta consapevolezza ed emozione.
Terreno di caccia per toy boy e quarantenni deleteri e d'assalto con la faccia da paraculi.
Il circolo sì che a questo punto è diventato davvero perverso, il ritorno a casa dopo la serata post corso è terrificante, "e quello là" sdraiato sul divano addormentato di fronte alla TV inizia pure a puzzare (quello là è il troppo marito - nda).
A questo punto, in modalità "silenzioso" off course, partono le chat con le amiche su wa e su telegram, fatte di commenti estasiati, anzi proprio eccitati, sugli addominali del toy boy o sul savoir-faire del brizzolato.
Ed il mattino seguente, ça va sans dire, sarà un fiorire di nuove richieste di amicizia su FB, che entro le tredici diventeranno messaggi marpioni su messanger e nuove foto del profilo dove oltre a smalto, tacco e perizoma, faranno capolino le prime labbra a cuore, non ancora botulino, siamo sui 35 ed è quasi tutto naturale.
Un dettaglio: i professionisti del genere (toy boy e quarantenne deleterio) non mollano mai, amano esagerare, non sarà solo un messaggio, sarà una gragnuola, saranno sborantamila messaggini e mille squilli, saranno suadenti, audaci, corteggianti, sapranno capire se di fronte si trovano la 35enne "goodbye and thank you" o la romantica in cerca di un sentimento, e si regoleranno di conseguenza.
Per l'evolversi delle storie rimando agli altri racconti, ho scritto parecchio sui quarantenni e le loro paturnie socio sentimentali che si intrecciano indissolubilmente con le nostre trentacinquenni, qua stavolta mi interessava raccontare il prequel lato donna, capire dove e come inizia, non il perché, sì perché il "perché" è troppo difficile, per questo non basta un banale osservatore come me, servirebbe di più, un quarantenne deleterio e professionista ad esempio, o al massimo un toy boy, sono loro quelli che sanno davvero!!
Vi sembra brutto? Stereotipato e cinico? Può essere, ma cosa volete, la mia visione è distorta, sarà l'età...





Ogni tradimento ha il suo perchè....

Bar in zona centrale, tavolino ombreggiato, un caffè per far compagnia al mio quotidiano d’abitudine, di fianco due donne, una signora ed una ragazza, bionde, capirò poi essere madre e figlia.

La ragazza ad un certo punto attacca: “Ricordi Giulia?? Sandro l’ha beccata con Valerio, a casa di lui, alle due del pomeriggio, a letto, quasi nudi, lui ancora con i calzini, lei con le meches appena rifatte, rosse. Ma scusa…,  ma perché diavolo si tradisce!? E con il calzino calzato poi!!”

La risposta è stata fulminea: “Semplice cara… è per fuggire alla noia di un rapporto troppo rassicurante, salvo poi rientrare ogni sera nella noia di un rapporto doverosamente rassicurante. E’ una questione di aggettivi.”

Fantastico, ho iniziato lentamente ad avvicinarmi a loro, fingendo nochalance e un vago "mi sposto perchè ho caldo",  mi interessava origliare, storie di vita, intrighi, amplessi e dolori.
E’ stato molto istruttivo, ne è uscito un fantastico e tragico quadro d’insieme, una “specizzazione” del tradimento e dei traditori, partendo dall’assunto che è la noia il vero motore dell’instabile rapporto di coppia, ed è sempre la noia il collante del duraturo rapporto di coppia.

La conversazione fra le due è stata interessantissima, veloce e nevrotica, uno spaccato di vissuti, mai un giudizio, una semplice serie di punti di vista, racconti e considerazioni, di donne e di uomini, innamorati e disillusi, felici e tristi.
Provo a raccontarla come l’ho ascoltata, la specizzazione del perché, e tu che leggi sii consapevole che i perché del tradimento sono molteplici, ad ognuno il suo.

Ed ecco che allora c’è chi tradisce perché non può farne a meno, due è meglio di uno, esistono in natura bulimici da relazione sessuale multipla e clandestina, è la ricerca della quantità che apparentemente appaga, uomini e donne pari sono, entrambi i generi si muovono in maniera frenetica.
Bugiardi professionisti, freddi racconta balle, specialisti della negatività plausibile che si abbandonano all’evidenza proprio per renderla incredibile.
Non si innamorano mai, a casa, di fianco, hanno sempre la persona che avrebbero voluto come padre o madre dei propri figli. Il tradimento? Per loro è solo un modo per rendere più sopportabile il rapporto primitivo (nel senso di "quello che è venuto prima"), l’amore è un sentimento troppo pesante per reggerlo in due, serve essere almeno tre.
La noia è la molla? Probabilmente sono annoiati dentro e cercano invano di fuggire da questo senza accorgersi di abituarsi all’eccesso, dimenticando però che l’abitudine, qualunque essa sia, comunque annoia.

C’è invece chi tradisce perché non lo ha mai fatto. 
E’ un po’ come andare al cinema da soli, all’inizio non lo fai perché ti sembra brutto, fa triste, però ne hai voglia, c’è proprio quel film lì che ti piacerebbe un sacco e a tua moglie “non le va”, tuo marito ha il calcetto, e tu le balle piene, ed è a questo punto che te ne freghi: prendi e vai, vuoi vedere l’effetto che fa.  Arrivi tardi, giusto 30 secondi prima dell’inizio della proiezione, ti infili in silenzio nel posto assegnato e ti abbassi sulla poltroncina per non dare troppo nell’occhio.
Ecco, il traditore e la traditrice di questa specie  fanno così. Non è mai capitato loro e la curiosità li divora, vorrebbero ma non si può, “eh ma però chissà... ma poi però che sarà??”, “non l’ho mai fatto in fondo… per una volta…”. Si giustificano con “nella vita bisogna provare tutto”, arrivano giusto 30 secondi prima dell’inizio della pausa pranzo, si infilano in silenzio in macchina di lei e si abbassano sul sedile per non dare troppo nell’occhio. Spesso questo è l’inizio della fine, sì perché mancando di professionismo corrono due rischi clamorosi: farsi beccare, innamorarsi.
La noia è la molla? Probabilmente sono solo noiosi in cerca di riscatto.

C’è poi chi tradisce perché cerca "fuori dalla coppia" quello che non riesce a trovare "dentro la coppia". La trasgressione ad esempio, il sesso spinto, l’amore spontaneo, le parolacce, i sorrisi e gli sguardi, i complimenti che non si fanno e non si ricevono più, il “voglio prendere l’iniziativa io”. Vogliono quello che non hanno, ma non lo vogliono tutti i giorni, solo un po’, di tanto in tanto, tipo la cioccolata al latte che se la mangi a nastro poi non te la gusti più.
Due vite parallele, la routine e l’eccitante, il rassicurante e l’imprevedibile, il canonico e l’esaltante, il doveroso e lo spontaneo, due facce di tante medaglie.
La noia è la molla? Probabilmente la noia è l’anticamera dell’insoddisfazione, con la coppia ufficiale che diventa il medicinale generico che cura ma non guarisce e la coppia clandestina che diventa l’originale, che guarisce sì, ma c’ha pure, e dico “c’ha”, un sacco di effetti collaterali.

C’è poi chi tradisce perché lo fanno tutti. Questi sono dei fedifraghi modaioli, dei traditori da passerella. Tradiscono e vogliono che si sappia, fanno finta ma poi gigioneggiano, dei poveretti oserei dire, nove volte su dieci sono pure cornuti, cornuti dentro fra l’altro. Non hanno nemmeno la capacità di scegliere con convinzione, saltano sul primo amante che trovano.
La noia è la molla? Sì, probabilmente è stata la molla della loro partner ufficiale, che ha tradito per prima tra l’altro, e non per moda, per convinzione, la convinzione di essersi messe con un coglione.

E poi c’è chi tradisce perché è “meglio prima io che prima lei”, e altre che lo fanno perché “lui lavora troppo”, e quelle che “sei cambiato, voglio quello che eri una volta, c’è giusto il nostro vicino che somiglia da pazzi a quando avevi vent’anni”.

C’è chi tradisce perché la vita è difficile, è arida, e poi i figli, i problemi, l’Imu, la Tasi, Renzi, l’Isis, il TG, la mafia, la macchina dal gommista, le domeniche all’Ikea, il dentista, e poi “perché non facciamo più l’amore??”.
C’è chi tradisce perché “gli voglio troppo bene per lasciarlo, ma non sono più innamorata e voglio sentire il mio cuore battere ancora”.
C’è chi tradisce perché “non avevo niente da fare”.
C’è chi tradisce perché “sono depresso” - “e perché sei depresso?” - “perché non godo più del vivere insieme”.
C’è chi tradisce perché "fatta la prima fatte tutte".
Ci sono quelli che tradiscono “solo con il pensiero” e anche quelli che tradiscono “solo con il corpo”.
C’è chi tradisce perché “mi sono sbagliato”, c’è chi tradisce “non lo so il perché”, e chi tradisce perché vuole rimanere giovane.

E poi c’è chi tradisce per caso, ed è su questo che hanno convenuto le due donne: “Cara sappi che c’è chi tradisce per caso”.
Credo sia un buon venticinque per cento del totale.
Può capitare così all’improvviso, senza un perché apparente: “ero lì sull’autobus che leggevo il giornale ed ero appena andato a comprare i calzini da Calzedonia che guarda te che roba, mah… proprio fuori porta Mascarella!”.
E se s’innamorano? Eh a volte succede, a volte si innamorano, a volte capita.
E se capita è un gran casino, sì un bel casino, con due sole alternative tra l'altro: farsi del male o fare del male. 
Ed il brutto è che spesso sono vere entrambe.
E si può evitare? Io questo non lo so, forse no, al caso non si comanda, ci sono gli antidoti certo, e ce n’è uno che si chiama “amore vero”, una roba rara, ma per caso può pure capitare che ci si possa sbagliare nel valutare "se era proprio amore vero”, così ad esempio: "Ohhh i sintomi c’erano tutti, ma io... Io mi sono sbagliato mi sono”.
Sia chiaro, questa volta lo sbaglio più grande non è stato tradire ma far finta di essersi innamorati.

Sono uno sporco possibilista? Un giustificazionista irresponsabile? Può darsi, non credo ma può essere, in questi casi però bisognerebbe avere chiara una roba: “Se ti sei sbagliato, rimedia”.

Ecco, è così, è finita, un bel dedalo di lui e di lei, e le due hanno pagato il caffè, e io ho pagato il caffè, e solo una domanda è rimasta senza risposta: “Ma perché cazzarola Valerio non si è tolto i calzini??”.

Elogio dell'improvvisato

"Ma come si fa a essere così?"
A chi non è mai capitato di sentirselo dire?! A tutti direi.
E un "Ma come fai??" aggiunto subito dopo per ribadire il concetto?! A quasi tutti penso.
Se poi si chiude con "...io ci do su!", allora siamo proprio nel qualunquismo spinto, rasenti rasenti lo scontato.
E pensare che tutto questo è solo per una pizza, sì una pizza, che tu magari arrivi a casa, hai fame, il frigorifero è "non totalmente fornito", senti un bisogno di carboidrati piuttosto intenso, il gatto del vicino ti è entrato in giardino, fuori il sole sta tramontando, e quindi la risposta viene da se: è la pizza, non altro.
E allora cosa rispondi al "Ma come fai?" di prima? Semplice, rispondi che a volte la soluzione è una sola: improvvisare. 
Rispondi che tu sei un improvvisatore, perché è nell'inaspettato che sta il bello, è nel pensato di fretta che si nascondono le emozioni più forti, è nell'istinto che si scatena la passione, è un profumo che prepotentemente ti occupa il cuscino che si fa ricordare, è su di un bacio rubato a morsi con il dubbio che sia troppo presto ma te ne freghi, che nascono le storie d'amore.
È l'improvvisazione che combatte la noia, sono gli appuntamenti puzzle scritti a matita sul Quo Vadis che costruiscono la settimana, è il guizzo che ti fa chiudere il contratto a sorpresa ed ecco che arrivano le sborantamila tonnellate che fanno l'Mbo.
Sono gli amplessi di corsa che fanno perdere la testa. È svenire al Posada senza avvisare che movimenta la serata, è impazzire sul divano appena rientrati a casa che la risolve.

"Ma come fai?"... Organizzo l'inaspettato, ecco cosa faccio. 

Pizza oggi, pomini e mela su letto d'insalata al sapore di tonno domani, riunioni, l'auto che ti abbandona al primo appuntamento, la linea che cade, la telefonata in attesa che si trasforma in teleconferenza di lavoro a tre tipo tu-lei-l'altra, il perizoma che non si trova, lei che nella foga di una trattativa ti dice che si "riposiziona sul mercato" e tu invece pensi "fantastico, proprio in questa riposizione la volevo".

Ecco questo organizzo, così faccio, non altro.

Improvvisare fa diventare grandi senza diventare seri, ti fa abbandonare il certo per il fantastico, ti fa scegliere, ti fa pure sciogliere come mi suggerisce il correttore, ti fa sorridere, fa sorridere pure lei a volte, ti lascia senza cena se improvvisi troppo tardi, fa incontrare amori e amici alle giostre, ti fa la vita, te la costruisce ogni giorno un po', di corsa, con la tosse e anche senza.

Improvvisare non è il contrario di pensare, è solo un pensare senza riflettere, un pensare che quando arriva arriva, non c'è rimedio, c'è solo da rassegnarsi!

Dilf, l'evoluzione dell'uomo.

Ci siamo, la letteratura più chic e il giornalismo d’inchiesta si sono buttati sull’argomento, Vanity Fair all’ultimo momento ha bruciato il reportage “Clitorideo o vaginale, quale futuro per l’orgasmo femminile??” per dedicare sette pagine centrali al tema davvero caldo del momento: “il Dilf, storie di uomini che forse ce la fanno”.

Viviamo in un’epoca utero-centrica, Milf e Cougar spadroneggiano, quote rosa ovunque,  l’uomo sentimentale è tale solo “in funzione di”. Pensate: è toy boy in quanto oggetto di piacere per donne alla ricerca di testosterone; è spesso marito per un desiderio di maternità; è amante per un desiderio di lei di fuggire dalla noia di un rapporto acido ma rassicurante;  è muratore perché lei c’ha la casa da ristrutturare; è imbianchino perché ha bisogno del doppio lavoro per pagare gli alimenti a lei; c’è perfino un Renzi qualunque che è Presidente del Consiglio perché Maria Elena voleva fare la ministra.

Lo so che ora almeno tre donne sono partite alla ricerca della mia auto, e tutte e tre con un solo obiettivo: essere la prima a bruciarmi la macchina! Ma perdonatemi, il gusto del paradosso mi stuzzica e diventa necessità quando si vuole porre l’attenzione sul problema.

Sì perché un problema c’è, ed è il baratro in cui sta cadendo l’uomo medio, soprattutto il “brav’uomo”, scritto così, con l’apostrofo.

Il “brav’uomo” è l’evoluzione del bravo ragazzo, non aggiungo altro, si capisce già.

Ma come in tutte le catastrofi, perché di questo si tratta, giusto un attimo prima che la categoria imploda definitivamente,  ecco che arriva lui: il Dilf.

Il Dilf non è l’equivalente maschile della Milf attenzione, troppo riduttivo, il Dilf è uno stile di vita, uno stile nato dalla necessità di sopravvivenza, è l’evoluzione della specie, ecco questo è, l’evoluzione della specie, sono sicuro.

Il Dilf da piccolo era un bravo bambino, quello con i capelli a caschetto, le mani pulite e le scarpe lucide; poi è diventato un bravo ragazzo, quello che non faceva mai buco, che “permesso e scusatemi”, che ha dato il primo bacio a 23 anni non per “portare rispetto” ma perché non sapeva esattamente dove mettere la lingua e si vergognava.
Poi eccolo diventare un “brav’uomo”, quello con un lavoro impegnativo, i capelli neri, la macchina nera, le corna e le scarpe lucide, poi quarant’anni compiuti.
Sì le corna, poi sì.. quarant’anni compiuti.

E qui però il confine diventa labile,  non tutti i “brav’uomini” diventano Dilf, alcuni diventano semplicemente rassegnati.  
Rassegnati tipo bicicletta e beccaccino, carne alla griglia e Gazzetta dello Sport, Tv, divano di stoffa, pay-Tv, pigiama, Tv satellitare, espressione triste, la forfora, il lavoro, il pettegolezzo acido, la nostalgia, la Gazzetta dello Sport, la forfora, il capello che non diventa brizzolato... assume contorni di beige.
Il “brav’uomo” è un bravo papà, ma è spento.

Il brav’uomo che diventa Dilf invece perde l’apostrofo e cambia l’ordine, diventa un uomo bravo. Provate a leggerlo di corsa, sì così… velocemente, “un uomo bravo”, sentirete che fa tutto un altro effetto.
Un uomo bravo nell’intorno dei quaranta. Spettacolo puro.

L’uomo bravo che evolve due sono le cose che fa per iniziare, anzi tre, quasi una testimonianza di cambiamento: compra un piumone all’Ikea, una camicia di jeans e impara a limonare.

La prima perché il piumone fa! Fa caldo, fa moderno, fa pure un po’ modernariato, è l’evoluzione della coperta imbottita e fa sembrare il capello un po’ più brizzolato e un po’ meno beige. Il piumone Ikea è simbolo di libertà, libertà di dormire senza pigiama e pure senza maglietta, e dormire senza pigiama fa pandan con il jeans stretto senza scarpa e senza ciabatta, piede nudo su parquet. Che un attimo dopo sei due paia di piedi nudi su parquet, e due attimi dopo è un po’ di tutto su parquet.
La seconda non lo so perché, ma io un Dilf me lo immagino con la camicia di jeans.
La terza è perchè deve riscattare tutti gli under 23 che sono ancora lì a capire dove devono mettere la lingua.

Il Dilf è un bravo papà, ma è vivo.

Il Dilf nei primi anni di attività ha una vita sentimentale disastrata, un insoddisfatto, un non accontentabile, un cacciatore di emozioni a prescindere. Spesso il lavoro prende il sopravvento sul sociale, e il sociale diventa fatto di pochi amici, tanti conoscenti, amiche, solitudine, calici di media ampiezza, vino rosso e spremute d’arancio, acqua naturale, libri e giornali, cartoni animati, un-due-tre per le vie di Roma, nascondino, l’affare del secolo, la noia, tutto assolutamente fatto solo perché lo vuol fare.

Il “brav’uomo” invece  lo fa perché “altrimenti cosa faccio alla mia età…”.

Il Dilf tiene le aspettative basse, che “beh pensavo peggio…” è molto meglio di “e io che credevo…”, e poi è rassicurante, caldo, uno che ti puoi fidare, c’ha pure la pancia ed è passionale che non te lo immagini.

E la donna del Dilf? Quella vera intendo?
Il Dilf cerca la donna sicura, impegnata, impegnativa, con un bel culo, imprevedibile  nella sua maniacale organizzazione, e assolutamente un po’ paracula, proprio come lui.
Quella insomma che: “Certo che sarebbe certamente più saggio aspettare, ma se lo voglio, lo voglio subito”.
La vuole anche in carriera, non importa quale, l’importante è che abbia aspettative, proprio come lui.
Se poi usa pure lei jeans stretti senza scarpe basta solo un parquet e l’acronimo è servito.
E poi vuole quella che legge “Vanity Fair” e “Così parlò Zarathustra”, che usa la mail, l’I-pad, l’I-phone, che registra Grey’s AnatomY, ma se deve scrivere una cosa importante usa un post-it giallo, e lo appiccica in bagno.
Perché è libera, libera di scegliere, tanto libera da scrivere persino le cose importanti in bagno mentre fa la pipì.

Tutti questi sono dettagli che a mio avviso confermano la tesi, l’uomo se vuole evolve, e il Dilf ne è la dimostrazione. Non mi è ancora chiaro che cosa serve esattamente per fare lo scatto, certamente la pancia, leggermente accennata magari  e il saperla portare soprattutto, anche sotto al piumone dell’Ikea, sì perché il resto, tutto il resto, bhe…  è fuffa.

Le cose succedono, chi ci pensa è perduto

Poi dice che le cose succedono in fretta... 

"Ma no, non va affatto bene... tu sei troppo istintivo, sei così, fai paura, sei l'irrazionale... e io, io invece ragiono, penso, rifletto, organizzo, i ristoranti li prenoto e le 8.20 sono le 8.20, e un bacio non è una roba che si dà così a lingua leggera, va pensato, gustato, ragionato, serve il suo tempo.".

Che io invece penso che non è mica vero, le cose succedono, succedono e basta, la fretta è relativa, aspetta chi ha tempo di aspettare oppure chi ha per le mani qualcosa di poco interessante.
Aspettano gli stanchi, i noiosi, i persi e i perdenti, aspettano gli spenti, i pessimisti e i paurosi. 
Aspetta chi "non ne vale la pena", aspettano quelli che si fanno condizionare dal futuro (un futuro troppo bello per essere vero), aspettano i pallidi e i debosciati.
Io invece non sono tipo da aspettare, io sono della categoria che: "ci devo pensare", mi fa una pippa.
Soprattutto quando si fa la guerra con i sentimenti.
I sentimenti non si aspettano.
Aspetti l'autobus, l'inizio del film, l'Agenzia delle Entrate allo scoccare del quarto anno post dichiarazione dei redditi, ma non i sentimenti.

"Ma com'è che mi sembra di conoscerti da una vita e sono passati solo cinque minuti?!".

È che sono stati cinque minuti intensi, di quelli dove ti racconti tutto in tre parole e due abbracci e ti svegli al mattino con indosso una maglietta tutta sgualcita e la scritta Panamà che ti sta larga.

"Mi sono addormentata qua, ero stanca, faceva caldo, io... veramente... non volevo, cercavo la botola ma non l'ho trovata... sei stato scorretto con tutto quell'istinto..."

Non sono scorretto, le cose succedono. 
Capita a volte di non accorgersi di un particolare e l'occasione sfugge e non torna più, ma può pure capitare che "questa volta non mi scappi", e ti lasci guidare dall'inquietudine. 
L'inquietudine tiene l'uomo vivo e le donne innamorate, o viceversa, che tanto è la stessa cosa.

"Tu sei un po' paraculo, dici quello che le donne vogliono sentirsi raccontare, fai quello che le donne vogliono farsi fare"

Io questo non è affatto vero... ma pure tu invece sei solo te stessa, racconti quello che vuoi raccontare e fai semplicemente quello che vuoi fare.
Ed è stato questo che ci ha fatto incontrare, è stato questo che "abbiamo fatto così in fretta".
Ti spiego una cosa: non cercare di capire, studiare, budgettizzare, pianificare ogni cosa, non c'è un Mbo dell'innamoramento, non c'è un piano b a prescindere, non c'è sempre una via di fuga, c'è un bancone al mercato del pesce, c'è un filo giallo, una bottiglia di vino, la voglia di esserci, il rischio di esserci, il caldo di un piumino dell'Ikea, un buffone serio, una sera di quasi primavera...


Ho quasi cambiato idea, io "per esempio" continuo a non esserne capace, sarà l'inquietudine, però....

Giornata di lavoro difficile, come tante ultimamente, iniziato presto, finito tardi, rientro al telefono, la Zanzara “on the air”, Cruciani-Parenzo, sarebbe bene andare immediatamente a casa e bersi una mezza bottiglia di Bombardino riserva, guardare Bones sul canale 38 e poi andare a dormire… sbronzi.

Ma è lunedì, ed un salto alle Cicogne il lunedì è da fare, a comprare niente, due cose giusto così, ricordate no?? Il lunedì è la giornata single e si può andare per intortare, o semplicemente per osservare, oppure per acquistare "ad esempio" le bacche di Goji Berries.

Io questo ho fatto, le bacche intendo, e lì… tra uno scaffale e l’altro, tra un carrello e l’altro, cercando di evitare una coppia che limonava al reparto latticini nascosta dietro la pubblicità della mozzarella di bufala d.o.p., non riuscivo a non pensare a quello che giusto ieri, un’amica così per caso, mi ha scritto: “..l’amore, quello vero, talmente intenso da dare inquietudine…. è il solo che merita di essere cercato, trovato e raccontato…”.

Che guardate non è una roba banale, ma proprio per niente.
Io avevo appena pubblicato su questo mio blog una storia datata che raccontava di uomini che si stavano abituando alla negazione del romanticismo, e questo per senso pratico e soprattutto per colpa di donne ciniche-pretenziose-fredde-utilitaristiche-con la fissa della misure over performance, che questa giovine tutto ad un tratto se ne esce con una cosa così.
Un’apologia “dell’amore vero che da inquietudine”!! Mah?!

Ok, ancora qui sono a parare, lo so che qualche mio amico poi domani dirà: “hai rotto le balle con queste storie”, ma cosa volete, questo concetto merita di essere approfondito, ne sento giusto il bisogno e mi diverte.
Sì perché mi sono detto: “Vuoi vedere che esistono donne romantiche per davvero?!”, donne romantiche che cercano uomini romantici? Donne inquiete che cercano uomini inquieti per relazioni inquiete? Va a finire che esistono donne che cercano l’esagerazione e fuggono, ma fuggono sul serio, il caldo noioso ed accogliente di una storia termosifone, che scalda i piedi ma non il cuore e la testa??
Pensate, forse esistono donne che cercano uomini che al ristorante, sempre "ad esempio", seduti l'uno di fronte all’altra, riescono perfino a parlare! Sì parlare, e non solo a controllare se il risvoltino del pantalone fa pendant con il coprimacchia!

Ecco io credo che se queste esistono davvero allora l’uomo ha ancora una piccola speranza di riuscire a salvarsi dal suo inarrestabile e autoindotto processo sentimental-disgregativo! (Quest’ultima considerazione tutta senza punteggiatura mi sembra proprio forbita!!).

Immaginate che cosa può succedere se due così si incontrano, non è importante lo stato di partenza, non conta se single, fidanzati, sposati, separati, divorziati, disinteressati (categoria quest’ultima che va per la maggiore over-40), si incontrano e basta.

Beh signori, potrebbero essere scintille… io immagino un po' di segnali di base e se questo fosse un tema direi: ed ora lo “svolgimento” dei fatti a partire da quella volta che quei due si incontrarono magari per un caffè.

Di base, sempre "per esempio", potrebbe esserci che lui, nonostante si tratti di primo appuntamento, non senta necessariamente il bisogno di compiacere lei, anzi potrebbe sentire proprio il bisogno di essere se stesso; e lei potrebbe non sentire il bisogno di ridere ad ogni insensata battuta di lui, solo per educazione o semplicemente per rassicurarlo.

Di base, ed è il momento di togliere il dubitativo, lui sente all’improvviso il bisogno di ascoltare quello che lei ha da raccontargli guardandola itensamente negli occhi, certo sentendo anche il bisogno di guardarle spesso le gambe, e magari anche il culo mentre lei si alza per andare in bagno, ma soprattutto gli occhi; e lei, mentre lui parla, si fissa sul tono della voce, gli guarda le mani e pensa,  anche se non lo ammetterà mai quella sera stessa: “incredibile, è proprio quello che volevo dire io!”.

Di base due romantici inquieti che si incontrano la prima volta il caffè lo bevono amaro, e lui racconterà della propria vita come se ne parlasse a se stesso, così, senza filtri, senza chiedersi: “oddio che cosa penserà se non le dico subito che Bulzaga prima di Natale è paragonabile ad un orgasmo multiplo??” (ma poi esisterà davvero mi chiedo?? L’orgasmo multiplo intendo, non Bulzaga!!); e lei, sempre un po’ con i pensieri di corsa, sempre un po’ col telefono in silenzioso se non è completamente sola, gli dirà che tutto sommato lo trova pure un po’ interessante nonostante sia un uomo.

Di base due romantici inquieti dopo il primo caffè si salutano con sofferenza, sì la sofferenza di chi ne ha voglia zero di salutarsi ed andarsene, si accorgono così "per esempio" di avere ancora un sacco di cose da dirsi, che mica se le ricordano che cosa di che cose sono, ma sanno che devono dirsele.
Ma si salutano ugualmente, perché sono tipi interessanti e impegnati e hanno anche un sacco di cose da fare oltre che da dirsi, e se ne vanno, ma appena saliti in auto poi succede che sentano il bisogno di scriversi un attimo, perché c’era giusto quel concetto che era rimasto in sospeso, ed era una roba che riguardava la “guerra dei trent’anni”, sì lui è certo di averle raccontato di quella volta che la maestra lo interrogò su questo, ma poi il discorso era rimasto a metà,  e lui deve assolutamente sapere e allora: “…ciao, scusa, ma volevo chiederti, sai prima…, quando si diceva del il Sacro Romano Impero Germanico…. ecco una curiosità, che cosa fai domani mattina a colazione???”; e lei: “domani mattina a colazione ci vediamo alle 7.45 nel bar di fronte la stazione”.

Di base due romantici inquieti si cercano, ma si cercano un casino, senza motivo apparente, come il ferro con la calamita, come gli stickers di mia figlia con lo sportello della mia automobile, come il cacio e i maccheroni, come la tagliata al sangue e il Sangiovese superiore, come Stanlio e Olio, come Bud Spencer e Terence Hill, come la sabbia e il mare, come le stelle e il cielo, come gli album da disegno delle elementari e il Vinavil, come la fiamma e la candela,  come due che all’improvviso si sono incontranti e non sono più capaci di smetterla. Di incontrarsi intendo, perchè mi piace precisare.

Ho cambiato idea, a guardare attentamente, in fondo in fondo, cacchio cacchio, lemme lemme, l’uomo romantico forse esiste, la donna romantica forse esiste,  ma se ne stanno nascosti ben bene che a far del casino c’è sempre tempo. Sempre?! Sì, insomma, un po’ di tempo, non troppo però, che poi la vita passa.

La "legenda" dell'amore vero

Ma come si distingue l'amore vero dall'amore comodo?
Con gli aggettivi! Son sempre loro che fanno le differenze.

L'amore vero è totalizzante, luccicante, inebriante (questa parola ora che l'ho studiata la scrivo con una nuova consapevolezza), sudato, appiccicato, simbiotico, sintonico (questa non so se esiste ma buttata qui fa colto e voglio che significhi "fatto di sintonie", con la "e" plurale!), malinconico, emozionante, spigoloso, ruvido, dolce, appassionato e appassionante, prezioso, geloso, goloso, impaziente, caldo.

L'amore comodo è noioso, rassicurante, risparmioso, inacidente, calcolato, inconsciamente calcolato, consciamente calcolato, è squallido, ana-emotivo, sonnolento, ripetitivo, asciutto, spento, silenzioso, asettico, lavato, ostentato, sostituibile (con uno più comodo).

Gli innamorati veri inseguono i sogni, quelli comodi vogliono la tessera di socio coop.

Gli innamorati veri sono dei precari dello status ma degli eterni del sentimento.
Gli innamorati comodi sono dei massimizzatori della relazione ordinaria.

I veri sono travolti dal troppo esagerato che non finisce mai, pur essendo sempre sul punto di precipitare, capaci comunque di aggrapparsi un attimo prima, semplicemente guardandosi.
I comodi sono affogati nel riscaldamento a palla di una domenica pomeriggio al centro commerciale, con un selfie d'ordinanza che ritrae un sorriso figlio di una pseudo-paresi facciale.

L'amore vero ti capita tra capo e collo e pancia, così, all'improvviso.
L'amore comodo lo studi a scuola, conosco chi l'ha portato come prima materia orale alla maturità.

L'amore vero non finisce mai, nemmeno quando finisce la coppia.
L'amore comodo fa finta di iniziare.

Gli innamorati veri al ristorante vanno tardi e parlano molto, ridono, mangiano, brindano guardandosi negli occhi, a volte si ubriacano insieme, lui guarda il culo delle altre e lei gli dice: "sei uno stronzo, brindiamo".
Gli innamorati comodi al ristorante vanno presto, mangiano tanto, bevono poco, parlano niente e soprattutto parlano di altri, fanno il punto sui punti coop, lui guarda il culo delle altre senza ricordarsi perché è lei dice: "è basso, andiamo a casa che sono le otto".

Gli innamorati veri sono uno, gli innamorati comodi resteranno sempre due.

L'amore vero è a puntate, l'amore comodo è un documentario sui pesci.

L'amore vero prescinde dal come e se ne frega di quanti sono quando arriva.
L'amore comodo cerca la convenzione, per poi nascondere la vita vera fuori dalla porta blindata della villetta a schiera.

L'amore vero se ne frega, l'amore comodo calcola.

Il primo è prezioso, il secondo è qualunque.

Il primo lo devi conquistare ogni giorno, il secondo è così perché "siamo grandi e la testa deve stare a posto".

Gli innamorati veri si baciano con la lingua anche al mattino, i comodi si sfiorano le labbra pure la sera.

L'amore vero piuttosto sta da solo, l'amore comodo piuttosto fa finta di niente.