Agata ti ricordi come ci siamo conosciuti?

C’è chi li chiama ricordi, altri  amano invece definirli “pezzetti di me”.

Luì appartiene a questa seconda categoria, un collezionista di “pezzetti di me”, un conservatore seriale di sensazioni andate, di profumi, di colori, di attimi, di espressioni, di situazioni, di sapori, di rumori e anche di silenzi... e di pezze giustificative s’intende...
Eh sì, Luì conserva a pacchi, conserva foto, biglietti e bigliettini, lettere colorate e lettere in bianco e nero, dediche,  oggetti apparentemente insignificanti, fredde mail e veri e propri ammassi di neuroni e loro connessioni. 
Luì è un accumulatore di sinapsi, indelebili banche dati di tutto il suo vivere... e credo anche (e soprattutto) di tutto il suo essere.
Scatole di  🍕 d’asporto, cappuccini, sms, vino rosso, il bip di un telepass, pasticcini, cravatte troppo strette, la bici, la giacca, Zattaglia, Bologna, Rimini, le terme, la spiaggia, il 17 e il 26, il 28 e il primo, il 6310, whatsapp tuttattaccato, sborantamila, la gianetta, le finestre aperte, i capelli bagnati,  sono tutte allegorie di un tempo immobile eppure così vivo.

Agata lo sa, sa che quel ragazzo convive da anni con tutto quel sempre piccolo ed ingombrante, profondo come un attimo interminabile e a volte superficiale come un lungo bacio senza passione, salato come il mare , dolce come una canzone smielosa, conturbante come uno sguardo che non si distoglie, potente come un brivido che non si riproduce.
Agata lo sa... ed è per questo che ha imparato fin da subito a capire i tanti non detto, ed è per questo che Luì non si è mai preoccupato di fingere... sarebbe stato completamente inutile.

“E ora dici?”
“Ora sì! Che farai ora?”
“Niente, vivrò come sempre, il tempo in fondo passa...”
“Per gli altri sì...”
“Anche per me ti assicuro, guarda la barba!”
“No per te no, per te passano gli anni ma non il tempo, sei un adulto con la pancia di un bambino, un vecchio cucciolo di uomo, un vintage col PC portatile che non capisce che le cose attorno a te succedono e portano fatti e conseguenze,  non si può ricominciare da capo ogni volta!”
“E chi lo dice?!?”
“Luì! Lo dice la vita!”
“Agata! Ma che ne sa la vita?!”
“... ....”
“Agata?”
“Sì, dimmi, anche se non ho voglia di ascoltarti”
“Agata ti ricordi come ci siamo conosciuti?”
“... sei incorreggibile...”
“Vieni, prendiamoci un caffè, te lo racconto...”

La convivenza ai tempi del coronavirus

Toccare questo argomento di questi tempi rischia di aggiungere noia a banalità, già detto a scontato, e sarebbe pertanto meglio evitare, però cosa volete, sono le diciotto e zero cinque e qualcosa bisognerà pur fare prima di cena….

La convivenza a parer mio è difficile già di suo, molto difficile, difficilissima direi, e questo è vero a prescindere, anche quando viene intervallata dal lavoro, dalle uscite con gli amici, dai corsi di Yoga, dalla piscina, dall'aperitivo con Edgardo, dall'uscita dei figli da scuola, dalla spesa, dalle gare al circolo bocce di Villa Inferno, dalle cene di lavoro, dai pigiama party che costringono uno dei due a dormire in garage e altre cosucce del genere.
Ma in una situazione come questa, in isolamento Covid intendo, lo stare insieme in otto vani (bagno compreso) e centotré metri quadrati calpestabili (garage escluso), diventa se non altro impegnativo, anzi direi... bello impegnativo.
Figli con o figli senza, non è determinante.
Non è colpa di nessuno, vorrei sottolinearlo, è banalmente una questione di geni, geni nel senso di genetica, i geni della coppia costretti nello stesso spazio e per periodi prolungati (più di 72 ore consecutive) perdono la naturale elasticità.
Direte voi che l'elasticità del gene non è qualcosa di scientificamente fondato, non esiste in sostanza, è una fake news come va di moda dire oggi, beh vi dico io che non è vero.
Il gene elastico esiste, ne è prova la capacità di adattamento di una coppia media in periodi normali, l'elasticità del gene consente ai due coesistenti di evolvere nell'insieme, di gestire il quotidiano, di stare l'uno con l'altra pur in assenza di amorosi sensi, perché se è vero che l'amore è chimica la convivenza è elasticità.
Gli effetti dell'elastico sono diversi a seconda si tratti di uomo o di donna.

Il primo effetto dell'elasticità si dispiega sull'udito del maschio, la capacità di ascolto dell'uomo convivente è inversamente proporzionale al tono di voce della donna, più questo si alza più il timpano di lui rimbalza dolcemente, sfuma le asperità, attutisce gli acuti, si fa spugna: immagazzina le onde acustiche per poi rilasciarle gradualmente quando il volume in entrata scende.
E' questo il fenomeno che fa apparire lui vagamente disinteressato alle discussioni, che conferisce all'uomo quell'espressione vaga, di qualcuno che pensa ad altro... ad altro tipo "dai, otto minuti ed esco a gettare la busta dell'umido dall'altra parte di Corso Garibaldi, così chiamo Eros e organizziamo la birra di giovedì".
Il timpano elastico è lo stesso che si attiva in caso di discussioni silenziose o di basso tono, dove lei quasi bisbiglia, in quel caso i neurotrasmettitori si invertono e lanciano tutti lo stesso segnale: "PERICOLO, PERICOLO, PERICOLO", qui l'elastico si tira e la soglia di attenzione sale ai massimi in meno di tre decimi di secondo.

Dopo aver agito adeguatamente sull'udito, l'elasticità (e siamo sempre in ambito uomo) si propaga a quella parte del cervello che custodisce le frasi fatte ed accomodanti, non so dove si trova esattamente, nel frontespizio occipitale credo (esiste? Non lo so e non verificatelo per favore, ché altrimenti mi fate fare brutta figura) ma indipendentemente dal dove, a questo punto, si attivano le sinapsi che fanno partire le frasi ad hoc: "hai ragione, sono stato disattento, scusami, non volevo, non capiterà più, amoruccio uccio uccio, vieni qua...".
Già al primo "hai ragione" il tutto potrebbe rientrare con lui che può ritornare in bagno a chattare con Luisa e lei a pensare "stronzo, lo so che ho ragione".

Il movimento di ritorno dell'elastico, quello sconclusionato prima della ritrovata quiete, quello che è tanto più forte quanto più l'elastico è nuovo, potrebbe poi agire sulla libido, l'uomo dopo essersi sublimato "nell'hai ragione" risolutivo, obnubilato incautamente dagli afrori della vittoria, nove volte su dieci si lancia in un approccio soave e carico di romanticismo, si avvicina delicatamente e sussurra un voluttuoso "sei così bella quando ti arrabbi… è in questi momenti che mi ricordo del perchè ti amo, luce dei miei occhi, senso della mia vita, cosa dici, trombiamo?".

L'elasticità dei geni femminili è pressoché speculare a quella del partner, all'udito elastico dell'uomo risponde la voglia elastica della donna di scaraventargli sulla faccia la moka ancora bollente, ma dopo il picco di tensione l'effetto rientra e si trasforma in un salvifico "stroonzo, tornaa da tuua maadre".
Alle frasi fatte le sinapsi della donna rispondono con i pensieri in anticipo: "ecco adesso la dice, adesso crede di risolvere tutto con il suo hai ragione di merda, ecco lo dice, lo diCE, lo DICE…", se non ci fosse elasticità a questo punto sarebbe la catastrofe e invece il tutto rientra… "facciamo finire questa sceneggiata il prima possibile che poi se ne esce a gettare l'umido e chiamo Ernesto..".
Al movimento di ritorno, quello della libido, la donna risponde in maniera differente a seconda dei momenti che lei sta vivendo, solo e soltanto lei ne ha il controllo sia chiaro, potrebbe essere quindi un "sì, togliamocelo dalle balle velocemente" - "sì, che quando ricapita altrimenti" - "si che Ernesto pure ieri è uscito con la moglie" - "no" - "valà che se la vuoi devi insistere almeno fino alle quattro di domani pomeriggio".

Quando invece tutto è costretto oltre le 72 ore, quando l'elastico non ha spazio sufficiente per dispiegare il suo movimento tipico, quando la coppia è travolta dal bagno occupato, dalla tv sempre sul programma sbagliato, dalla mancata libertà di chat, dal pigiama sdrucito di lei e dalla tuta macchiata di lui, dalla moka pericolosamente sul fornello, dall'alito pesante, dai capelli nel lavello, dal russare assordante sul divano, dalla peluria inguinale incipiente, dalla routine, dalle canzoni sul balcone, dalla frase sbagliata al momento sbagliato, dai silenzi prolungati, dal "devo fare tutto io", dalle domande cadute nel vuoto, dalla connessione che rallenta e Porno Hub che conseguentemente procede a tentoni, beh in questa grave situazione la coppia è a rischio, in una scala da uno a dieci siamo a otto e mezzo quasi nove.

Quindi, non c'è davvero via d'uscita?
Beh sì, due possono essere i freni alla tragedia in assenza di elasticità:
a) Il mutuo cointestato con una durata residua superiore al 50% della durata iniziale e con le fidejussioni incrociate dei rispettivi suoceri
b) L'amore. Ma qui siamo nell'ambito del "se non altro è raro" e non c'è sufficiente casistica per fare un'analisi incontrovertibile...

Saluti.










Una volta un bambino mi raccontò una favola proprio il giorno della festa del papà

La neve aveva smesso di cadere già da qualche giorno, il cielo era limpido che manco una nuvoletta aveva il coraggio di affacciarsi e fuori faceva ancora un sacco di freddo... un sacco di freddo freddo... un freddo freddissimo a voler essere precisi, così freddo che congelarono persino le ali di quattro passerotti che vivevano sotto la seconda traversa del ponte di ferro, sul lato destro, spalle alla salita del bosco di sopra.
Ma il problema vero era che i poveretti non riuscivano più a volare con le ali congelate, solo camminare e salterellare, e per un passerotto non è certo una bella cosa, non si era mai vista, i passeri volano, sono i conigli che saltano, lo sanno tutti!  

Sembrava proprio che in tutto questo ghiaccio e in tutta questa neve solo Gigi "testa storta" si trovasse a proprio agio, se ne stava fuori casa tutto il giorno, saliva e scendeva dalla bicicletta bianca con la sella nera a cui aveva montato catene antislittamento fatte con le graffette numero 6 da ufficio, che in realtà non servivano a nulla e la bici slittava a manetta, ma Gigi era convinto facessero figo.

Peccato che "testa storta" non avesse uno slittino, sarebbe stato certamente il re della pista del Gualdo di sopra, magro com'era avrebbe cavalcato i fiocchi di neve prima ancora che cadessero, ma niente, ne era proprio sprovvisto, solo la bici e un sacco di graffette numero 6 da ufficio.

Quella sera Gigi ritornò a casa più tardi del solito, passato di fianco al ponte di ferro provò a scongelare le ali del passerotto più piccolo, l'ultimo nato della famiglia, gli faceva pena vederlo così.
Ci riuscì a metà, nel senso che riuscì a scongelare solo l'ala di destra, non fu un gran lavoro in realtà, sì.. meglio di niente direte voi, ma ora il passerotto piccolo non solo continuava a non volare ma quando si muoveva faceva due passi, un salto, un salto più lungo, si piegava di lato (dalla parte congelata), traballava e si ribaltava, e poi ancora due passi, un salto, un salto più lungo, si piegava di lato, traballava e si ribaltava... e così senza sosta...un salto e un traballo dopo l'altro.
Non era una bella cosa, non si era mai vista, i passeri volano non traballano, lo sanno tutti!

Il povero Gigi "testa storta", deluso ed affranto, si avviò sulla strada del ritorno e in poco più  che quasi niente si ritrovò di fronte al cancello di casa propria, scalvalcò (aveva dimenticato le chiavi) ed entrò poi dalla porta che dava sul garage.
Quattro passi veloci e in meno di Amen fu ai piedi della scala a chiocciola che portava al piano di sopra, anzi più che veloci direi saettanti, sì perchè Gigi aveva una paura fottutta di quel posto, era convinto che nel suo garage dopo le sei di sera vivessero i fantasmi, e lui dei fantasmi aveva paura e credeva che le uniche soluzioni per vincerli fossero stare lontano dal garage o correre più forte di loro.

Salendo la chiocciola, gli piaceva chiamarla così, si accorse che il suo papà se ne stava seduto a guardare la tv al solito posto, si fermò un attimo ad osservarlo senza essere visto, portava gli occhiali quella sera, aveva i capelli un po' più lunghi del solito, la brillantina, il pullover grigio con il collo alto, lo sguardo triste, il braccio sul bracciolo. 
Gigi lo raggiunse in silenzio, lo abbracciò da dietro e "Ciao papà!! C'è ancora un sacco di neve fuori!".
Il suo papà sorrise, lo rimproverò bonariamente per essere rientrato troppo tardi, gli chiese dei fantasmi del garage (voleva sapere come stavano, ci teneva che la casa fosse abitata da fantasmi in forma!) e disse "dai, vai a lavare le mani che dobbiamo mangiare!".

Il bagno era proprio di fianco la camera di Gigi, "testa storta" accese la luce della sua stanza, lasciò cadere il giubbotto sul letto, guardò lo slittino sul pavimento, disse "bene", spense la luce, e poi: "lo slittino????".
Riaccese la luce e riguardò di nuovo sul pavimento, lì di fianco la scrivania faceva bella mostra di sè un bob rosso fiammante col lunotto e i seggiolini blu imbottiti, un bob a due posti, un bob con i freni, un bob con la cordicella per tirarlo in risalita, un bob vero di quelli veri che proprio più veri non si può.

"Papà, papà, il bob, il bob!" e urlava e saltava, e saltava e urlava, e.. e... come... tipo... sì come un bambino a cui era stato appena regalato un bob nuovo, ecco così.
Suo padre lo raggiunse ridendo, si appoggiò allo stipite della porta della stanza a godersi la scena, Gigi era salito sulla slitta, mimava già la discesa (che sembra facile ma provate voi a mimare una discesa!!), immaginava la neve che si alzava sui lati, fischiava, frenava sul pavimento, sorrideva come quasi mai prima, anzi rideva proprio, di gusto, una risata vera, che partiva dalle labbra e raggiungeva gli occhi, rideva come suo papà, si perchè Gigi e il suo papà ridevano proprio nello stesso modo.

Era tardi, fuori faceva freddo e Gigi che non era più testa storta, stava rientrando dall'ufficio.. "basta, promesso, domani esco prima", lo diceva ogni volta, se lo diceva da solo e lo diceva ai fantasmi che viveno in garage mentre parcheggiava l'auto, non gli facevano più paura quei buffi, lui sapeva che loro c'erano e li lasciava vivere (oddio, vivere, lì lasciava in pace ecco, li lasciava scorazzare in pace nel suo garage, nulla più!).
Era tardi, Gigi non aveva troppa fame, aveva pranzato con una cliente, bevuto un sacco di caffè nel pomeriggio e fumato sigarette amare (questo non è vero ma a questo punto della storia mi pare stia bene scrivere una cosa così), si spogliò degli abiti da lavoro e si infilò jeans vecchi senza calzini e quel maglioncino nero a V attillato e sdrucito, accese la tv, infilò gli occhiali, il braccio sul bracciolo, un calice di vino rosso, lo sguardo triste.

Triste? Perchè lo sguardo triste? 
Perchè come ogni sera d'inverno, Gigi prima di cena passava dalla sua vecchia stanza, accendeva la luce, lasciava cadere il cappotto sul letto, spegneva la luce, la riaccendeva... ... ma il bob rosso fiammante, con il lunotto e i sedili imbottiti, non c'era più, svampato, niente, vuoto, freddo, nemmeno la cordicella per trascinarlo lungo la risalita.
E allora prendeva, cenava, si lavava le mani, i piedi, le ascelle e i denti, e andava a sedersi su quella sedia da cui si guarda la tv, sempre quella, quella dove stanno di solito i papà la sera prima di andare a dormire.

Ecco la storia di Gigi, che perchè da piccolo lo chiamassero "testa storta" non s'è mai saputo, ed ecco la storia del suo bob e del suo papà che glielo regalò, ed ecco la storia di tutti i bambini che credono ai fantasmi (e ci credo anch'io sapete?), ed ecco la storia dei sorrisi che si tramandano da padre in figlio, e poi ancora e ancora e ancora, perchè c'è sempre qualcosa che travalica il tempo, che passa dal più grande al più piccolo che dopo diventa lui il più grande.

Le favole a volte hanno un inizio e hanno anche una fine, altre volte semplicemente raccontano un pezzetto senza capo nè coda, al solo scopo di far vivere un'emozione che si nasconde tra i pensieri di chi legge e incuriosita esce fuori a dare un'occhiata.
Sì perchè le emozioni hanno vita propria, nascono e si nascono tra i ricordi, si alimentano di fantasia, pasteggiano col vino rosso, cenano col bianco, si addormentano, si svegliano all'improvviso, prendono forma, tra le pagine di un blog, tra le righe di una mail, tra le onde di un mare amico, ritornano da dove sono venute, vivono sole o anche in coppia, hanno il sapore dolce di quella volta che ti sei emozionato raccontando, a chi ti sapeva ascoltare, di te e di quando eri bambino... ecco caro il mio Gigi qual'è la ragione del tuo sguardo che sembra triste ma che invece è solo assorbito da tutto questo...

Buonanotte caro Gigi, buonanotte a te e al tuo papà....