La contabilità industriale e la formula di "quel tanto che basta"

“Quant’è?”

“3 euro e cinquantaduecentesimi”

“3 euro e cinquantaducentesimi per una birra? Ma che prezzo è cinquantaduecentesimi?”

“Faccio il listino tenendo conto dei costi fissi, contabilità industriale, sono precisa io, il tavolino a tre gambe e la sedia di ferro su cui sei seduto ora che li ho comprati da Lombardi lo scorso anno li ho pagati 25 euro e settantatrecentesimi, che ho ricaricato sulla birra media a cinquantaducentesimi! Sono precisa io!”
“Ahh, in effetti, contabilità industriale…”

“Esatto, faccio anche una contabilità industriale delle persone, tu ad esempio l’anno scorso, più o meno verso il 18 alle ore 18 e ventitreminuti hai bevuto due birre, due di 4, anzi 1 e mezzo di 3!”
“EHH?”

“Sì, una birra media e 1 birra piccola, per due che eravate, fanno l'equivalente di 3 medie. E non hai pagato tu altrimenti ti ricorderesti che il prezzo era di 3 euro e quarantaquattrocentesimi, a quel tempo avevo comprato solo il tavolino a  tre gambe, la sedia era di plastica e l’avevo ammortizzata e non c’era neanche la nebbia come ho saputo che tu vai cianciando in giro”
“Ahh… ho capito. Ma tu non sei una Oste, tu sei una socio-ragioniera chiaroveggente con entrature nel servizio di intelligence, non l’avrei mai detto”

“Eh già, intelligence, quella che tu hai dimenticato sulla ruota panoramica sul lungo molo”
“Ma io non ci sono mai andato sulla ruota panoramica sul lungo molo!?”

“Appunto, perché sei un ingenuo, dovevi andarci e poi tornarci ogni volta che ne hai avuto l’occasione, tutti te lo dicevano, ogni lasciata è persa… com’era? Ogni buco è trincea,  ma tanto tu non cambierai mai, ho già visto da come stai seduto, stessa posizione dello scorso anno, stessa espressione, oddio, l’espressione è un po’ diversa, parecchio diversa anzi, sembra quasi che tu ti sia spento, poi sbadigli sempre ultimamente, hai sonno?”
“No, mi annoio, non mi stimolo”

“Ah, non ti stimoli. Ho capito. E per quanto?”
“Quanto cosa?”

“Per quanto non ti stimolerai?”
“Per quel quanto che basta”

“Ah, per quel quanto che basta. Sei strano. E credi forse che qualcuno se ne accorga o lo apprezzi?”
“Assolutamente no, ma mica lo faccio per essere apprezzato o accorto. Lo faccio perché sono fatto così e non ho mica intenzione di cambiare alla mia età, giusto o sbagliato mi sono fatto grande… ma scusa mettiti a sedere che in piedi mi metti agitazione e tanto non c’è nessuno a parte me e quello sulla sedia di latta con i fori a forma di fiore che ha già bevuto”

“Guarda che quanto basta è quasi come dire per sempre o due giorni o tre mesi o quattro anni o una vita e mezzo, non è un’unità di misura.”
“Vedi... allora ti racconto una storia breve, te hai presente il Fiat 662 verde?”

“Assolutamente no!”
“Vedi è un camion, anzi era un camion, un camion verde che oggi non esiste più. Due posti con il motore al centro che occupava uno spazio incerto tra i due sedili, ricoperto da una specie di semicupola allungata che un bambino di più o meno dieci anni virgola cinque poteva starci a cavalcioni e tenendosi alla maniglia centrale, e poteva fingere di essere un caw boy a cavallo. E’ difficile da descrivere e anche da immaginare se non lo hai mai visto, dovrei farti un disegno ma qui poi non riuscirei a postarlo. Spero comunque di aver reso l’idea. Ecco comunque su quel semicofano interno in metallo pesante color vaniglia, io avevo attaccato un sacco di adesivi, mi piacevano, avevo la fissa degli adesivi, così come avevo la fissa dei cowboy e dei cavalli. I cavalli veri mi facevano paura però, tipo Soraya, che una volta se ne scappò al trotto con me sopra e io mi reggevo alle briglie e urlavo e stringevo quelle gambotte piccole alla sella, una sella che Lui l’aveva comprata a Monghidoro quando era giovane e molto felice anche se io non c’ero ancora, e mi piaceva più la sella del cavallo, chè mi divertivo più a cavalcare quella poggiandola sulla cisterna in vetroresina che guarda caso aveva lo stesso odore del cliente che ho incontrato poco fa. Oggi di odori che mi hanno stimolato ricordi ne ho sentiti almeno un paio, uno di questi sapeva di vetroresina, l’altro sapeva di buono, ma buono parecchio, parecchio punto, un buono che fa quasi male… sì quasi… ecco ti assicuro che gli odori come i colori sono bastardi, ti restano impressi. Tipo il rosso ceralacca, dentro al 662 c’era un pentolino ricolmo di ceralacca solidificata, sai quante volte l’ho guardato di nascosto? Di nascosto perché era vietato, l’ho capito solo dopo qualche anno il perché, ma da allora mi è rimasta la fissa, tanto che ho comprato pure un sigillo con le iniziali che stampiglio su quattro gocce di cera laccarossa con cui chiudo ogni cosa “bella” che scrivo, anzi scrivevo, a parte ‘na roba che sigillai per errore e di bello non aveva proprio nulla.  E il rosso ceralacca che stava dentro a quel pentolino si abbina molto all’odore di buono che ho risentito oggi…”

“Ohh, difficile seguirti..”
“Macchè difficile! Ascoltami, devo finire, il profumo di buono oggi aveva un colore rosso laccato che mi sono avvicinato per un attimo alle labbra che volevo assaggiarne il sapore, anche questo era da un po’ che non lo sentivo, buono pure quello, molto buono, buono punto. Poi pero’ è un casino, perché l’odore ti resta nelle narici, il sapore sulle labbra e tutti e due ti entrano contemporaneamente nella testa. E lì restano, restano quel tanto che basta, possono restare una sera, che non riesci a cancellarli nemmeno se fai i gargarismi con il Listerin prima di andare a letto, possono restare una settimana, un mese, tre virgola 5 giorni. Quanto basta insomma. Possono restare 29 anni, come l’odore della vetroresina e il colore rosso ceralacca, che poi non importa se il pentolino qualcuno l’ha gettato o se la cisterna da camion l’hai venduta perché era un po’ scomoda da tenere in giardino, restano gli odori e resta il colore. Così come l’odore e il colore del buono, che non importa se qualcuno si è portato via tutto e loro avevano pure un sacco voglia di farsi portare via, se pure quelli ti sono entrati dentro non c’è nulla da fare, resteranno lì quel tanto che basta. Insomma, hai capito che cosa vuol dire quel tanto che  basta?”

“Sai che credo di aver capito! Non credo di essere d’accordo ma credo di aver capito. Quel tanto che basta non può essere sempre, anche se tu credi il contrario, ma può essere pure parecchio, quel tanto che basta può farti non bastare più tutto il resto, quel tanto che basta è colorato, sa di buono, ti entra dentro, trova il modo di  farsi portare via, non ritorna, cambia estetista perché vuol cambiare vita o cambia vita perché vuol cambiare estetista, quel tanto che basta resta in silenzio perché vuole che tu le cose le capisca da solo senza bisogno di spiegarle, quel tanto che basta può essere pure tanto, perché in fondo se bastasse poco vuol dire che i colori erano tenui e il profumo non poi così buono, magari solo accattivante, quel tanto che basta può essere tantissimo invece se i colori erano luccicanti come la ceralacca e i profumi buoni punto, quel tanto che basta può essere tanto per chi quando dice dice davvero, può essere poco per chi quando dice si convince di dire davvero. Ho capito?!”
“Hai capito! Porta un’altra birra per favore, piccola, che comunque a giugno si beve sempre una birra media più una birra piccola, è la quantità giusta, la quantità che basta, anche se non c’è la nebbia e il sapore del viaggio in macchina è come il colore: smaivito”.