Si fa presto a dire single....


E poi finisce che fai tardi in ufficio.

E’ venerdì e non dovresti fare tardi, settimana corta o week end lungo, dipende dalla prospettiva da cui guardi.

Fai tardi perché? Perché hai troppo da fare o perché non hai niente da fare, a ben pensare anche in questo caso è questione  di prospettiva.

Beh, esci tardi insomma.

Il manuale del “single” quarantenne sancisce che all’uscita dall’ufficio deve scattare l’aperitivo, per inciso l’aperitivo non si prende, si fa. “Ci facciamo un aperitivo?”, “Abbiamo fatto l’aperitivo”, quasi vivessimo in un mondo di baristi, anzi scusate di barman. Il mio amico cantante oriundo-americano del lago di Garda direbbe: “Tu voi fa l’aperitivo, l’aperitivo, ma si nato in Italy” e aggiungerebbe “It’s soo good” (scritto così!), ma questa è un’altra storia e l’ho già raccontata, quindi torniamo all’aperitivo del single di tendenza e ai suoi rituali, soprattutto ai suoi “chi”.

Sono affascinato dal “chi” perché probabilmente vorrei capire a quale “chi” appartengo io.

All’aperitivo il venerdì trovi diverse categorie di “chi”.

Uno dei “chi” più frequenti e' l'impegnato-single che non può stare senza far niente nemmeno dieci minuti, l’aperitivo è la giusta occasione per impiegare il tempo che va dallo spegnimento delle luci dell’ufficio al momento in cui prende posto al ristorante blasonato quattro cucchiai e tre calici. La serata inizia tardi, tardi per cenare intendo, il ristorante in questione è frequentato da gente top, che fa comunication e socializzazione interattiva, l’impegnato-single, individuo meglio la categoria, è impegnato perché ha sempre un sacco da fare, tanto da fare che è “single di conseguenza”. Solitamente l’impegnato-single è maschio, l’equivalente femminile è la carrierista-single, discende dal vitellone anni 70, è solitamente un nipote, figlio di fratello, che è non mica come quel buono a nulla dello zio, “c’ho da fare veramente io”, “faccio business, bevo buon vino, bollicine, buon wisky e folleggio, non capisco una minchia di niente ma sono un piacione, e mi piace fare il piacione”, l’occhiale giusto, il muscolo giusto, la scarpina giusta, il jeans giusto, la pochette giusta.

L’impegnato single non è mai separato, né tantomeno divorziato, nelle vene ha sangue da vitellone con il fiuto per l’affare, l’impegnato single è single per scelta salvo poi piangere ogni sera per la propria situazione di solitudine. Solitamente l’impegnato-single piange in bagno, di fronte allo specchio, con la luce principale spenta e la lucina dello specchio accesa, si guarda per compiacersi e per autocommiserarsi: “Cazz… sono single, sono bello, sono molto bello, sono intelligente, tutte mi vogliono ma io sono troppo impegnato per concedermi” e subito dopo si chiede “..e allora perché piango?”, poi si accorge di essere troppo impegnato per rispondere quindi spegne la luce e abbandona la scena. Solitamente gli amici del locale lo chiamano per cognome, cognome preceduto da articolo determinativo (il Rossi, il Neri, il Della Gherardesca…), quando lo salutano strascicano le parole: “ciaaaoo Neriii, ci vediamo domaniiii seraaaa…”, E lui immancabilmente: “Oeh, non so se riesco, c’ho da fare”.

Il contrario dell’impegnato-single è il “single afflitto”, anche qui il genere è tipicamente maschile, se proprio vogliamo trovare un equivalente femminile si potrebbe pensare alla “ziona ammalata” alla continua ricerca del sentimento vero e che s’innamora costantemente del “single poligamo”, tipica categoria maschile dotata di elevato senso pratico esperto di statistica e di grandi numeri, in sostanza ogni lasciata è persa e “ogni buco è trincea” come diceva una mia conoscente.

Il single afflitto fa l’aperitivo abbastanza presto, verso le 16.30, non beve vino ma nove volte su dieci ordina un’acqua tonica con ghiaccio non troppo freddo e magari una fettina di limone, a parte s’intende. L’afflitto non mangia gli stuzzichini, il barman nemmeno glieli serve, al massimo gli smolla una ciotolina di noccioline cariche di sale, di quelle che sporcano le dita, unte, secche, sporche.

Il single afflitto solitamente ha pochi capelli e con la forfora, non è necessariamente brutto o mal vestito, ha la forfora e l’espressione rassegnata. Beve l’acqua tonica, non parla con nessuno, legge un giornale di cronaca locale, guarda il calendario delle sagre a cui non andrà perché c’è troppa confusione, paga, prende lo scontrino che conserva con cura, saluta cordialmente, esce dal locale, va a casa, cucina una paillard, due patate lesse, si lava i denti, mette il pigiama di flanella e va a letto. Letto a una piazza, forse tre-quarti di piazza, ha venduto il matrimoniale perché vuole fugare il pensiero. Punta la radio sveglia, e usa il sapone secco contro la forfora.

Altro “chi” molto interessante è il single di ritorno, da non confondere con il ritorno del single, molto più agguerrito. Il single di ritorno è acido. Non prende l’aperitivo, prende un caffè deca, guarda gli altri che bevono e pensa: “ridi, ridi, va là che non dura mica”. La variante femminile è “la single agitata”, donna falsissima che ti guarda e mentre ti ringrazia per averle offerto da bere sorride e inizia a chiederti: “Ma vivi da solo? Che lavoro fai? Hai figli? Hai mai tradito tua moglie? La tradiresti su tu ne avessi una? Russi? Ti lavi i piedi prima di andare a letto? Quando hai le prossime ferie? Dormi con il pigiama o senza? Ti piacciono le donne con i calzettoni di lana grossa? Sai stirare? Il venerdì esci con gli amici? Ti piace il calcio? Fai la pipì in piedi o seduto? Io amo a 360 gradi, tu?”, poi aggiungono “…così, solo per parlare del più e del meno, sei un tipo interessante come se ne trovano pochi, mi piace sapere come vivi!”.

Il single di ritorno nove volte su dieci va in ansia da prestazione quando non si addormenta prima. Il single di ritorno solitamente si accoppia con la “zitella problematica”,   variante celebrale della “ziona ammalata”. 

Infine abbiamo la categoria peggiore, anzi non peggiore stramba: il single-misterioso. Non si sa esattamente chi è, non si sa se è davvero single, si dice che abbia molte donne ma lo si vede sempre solo e lui dice di essere solo, il suo aperitivo preferito è un vinello rosso scuro barricato (barricato perché fa più mistero), mentre beve legge, legge quotidiani di tutti i tipi, preferibilmente legge di sera quando la notizia è già vecchia ma legge in profondità (arriva un po’ dopo ma è preciso). Il single misterioso non parla quasi mai, sussurra, “Vorrei un Vigorerello signora”, dice buongiorno e buonasera, non dice ciao. Quando entra nel locale c’è chi lo scambia per uno della finanza e chi per un testimone di geova pentito. Il single misterioso ha sempre un paio di storie finite male alle spalle, qualche volta un figlio, qualche volta un cane, qualche volta due (due figli e due cani), nessuno di questi vive con lui, il single-misterioso è solo.

Il single misterioso fa poco sport, lo fa di nascosto,  non è costante. Il single misterioso qualche volta è amante, amante di un’impegnata non single, in quel caso è single-part time con la sindrome da week-end e festività natalizie. Il single-misterioso-amante è sempre a scadenza, da consumarsi preferibilmente entro il, però da consumare tutto, ed infatti di solito le storie sono brevi ma intense e fanno curriculum, aumentano l’alone di mistero. A volte, poche poche, il single misterioso si innamora (le altre si commuove), se è sincero lo ammette altrimenti lo pensa e basta. Il single misterioso è geloso, è geloso del suo status, del suo amore, del suo lavoro. Il single misterioso è possessivo al limite dell’egoismo.

Il single misterioso fa un sacco di km in macchina, va non si capisce bene dove, lui va, conosce tutto e tutti, saluta a destra e a manca ma lo fa distrattamente, il single misterioso e il più single di tutti, si crogiola nella single-tudine, diventa la sua copertina (di cashmere pero’…  se non è un morto di fame). Il single-misterioso è maschio, ha vissuto molto, è giovane ma non troppo ma contemporaneamente non invecchia, matura, diventa interessante, (interessante le prime tre settimane a dire il vero perché dopo rompe le balle),il capello si brizzola, è solcato da rughe di espressione, un’espressione misteriosa però, non porta mai il cappello. Il single misterioso ad un certo punto scompare, nessuno sa più dov’è, cosa fa, quando lo fa, nessuno sa più nulla di lui, il mistero prende il sopravvento.

E’ venerdì, non si dovrebbe far tardi in ufficio, la settimana corta, il week end lungo, nulla da fare o troppo da fare, la prospettiva da cui guardi, il mistero, i zioni, le zione, la gelosia , il possesso…. no, non si dovrebbe far tardi in ufficio.

La nebbia il 18 di giugno c'era, l'ho vista.


“Scusa ma non avevi un appuntamento a Verona alle 20.00?”
“Eh sì, va bè ma riesco, mezz’oretta e ci sono, insomma un tre quarti d’ora via, toh ad andar piano un’oretta…”

Ed è così che in una sera di inizio estate, ma poteva essere tranquillamente un pomeriggio di tarda primavera, decidi consapevolmente di fare tardi, sai che ti dovrai inventare una scusa plausibile per giustificare il ritardo, ok che è un’amica e non rischi, però qualcosa dovrai dire, dovrà essere qualcosa di serio ma non di tragico altrimenti dovresti essere triste, non troppo lavoro perché equivale a "balla matematica", potresti raccontare la verità oppure potresti dire che c’era la nebbia, che a ben pensare non è troppo distante dalla realtà.

“Ciao, scusa il ritardo, è che ho incontrato una nebbia esagerata, non vedevo davvero nulla!”
“La nebbia? A giugno?”
“C’era, lo giuro, a banchi si intende, non fitta fitta però c'era!”
“Sì ok, va bene,  come stai??”

La nebbia a giugno a volte c’è. La nebbia a giugno è molto pericolosa. La nebbia a giugno ti fa fare tardi. La nebbia a giugno ti azabaja. Quel pomeriggio la nebbia c’era.  Era calata verso le 16.58, tu sei ancora in ufficio e ti viene voglia di un aperitivo, allora invii un messaggio, formuli un invito generico non impegnativo che ti possa lasciare una via d’uscita, del tipo: “Io vado a prendere un aperitivo perché devo fare un lungo viaggio in auto”.

Qual è la via d’uscita? “Io vado…”, cioè io vado in ogni caso e se anche a te va piuttosto che andare da sola lasciati fare compagnia da me che poi forse non è così male.

“Bello, ci facciamo un birrozzo??”.

A te la birra non piace molto, pensavi ad un bicchiere di vino, la birra fine a se stessa ti fa acidità, la bevi solo quando mangi la pizza o la piadina, birra e pizza, è un classico, in fondo tu sei classico, però rispondi: “Uauuu, birra, è proprio quello che volevo!”. Ma il bello è che non stai mentendo, ad un tratto ti è davvero venuta voglia di birra, una media (perché dura di più), bionda (perché fa contrasto col capello), fredda (perché tu hai già caldo a sufficienza, direi un caldo della madonna che rende di più l’idea anche se non sta bene).

17.15 e siete seduti all’ombra di un viale, seggiolina di plastica modello Parigi, tavolino di ferro modello Lombardi di Borgo Rivola, due birre medie freddissime  offerte da lei perché tu hai già prenotato una cena di pesce per contraccambiare e non si pensi ad un trucco per scroccare una bevuta, tu al mare ci vuoi andare davvero, saresti pure disposto a firmare un post-datato a garanzia già intestato al ristoratore da lasciare in deposito in una cassetta di sicurezza nella filiale di Riccione, lo fai presente, insisti, “non scherzo”, “giuro” no perché fa troppo melodramma.

17.30 e parte una conversazione complicata sui cromosomi e sul DNA, che può apparire anche un po’ strana come cosa, direi pretenziosa,  non è proprio un argomento da aperitivo e non siamo neanche studiosi del genoma umano, però il dialogo converge sull’importanza dell’X e dell’Y. Uomo donna/donna uomo. Lei mi dice che non ho la faccia, ma c’è un po’ di X in me che la incuriosisce, io un po’ mi offendo: “X a chi? E poi che faccia?”, ma mi offendo per finta, in fondo in lei c’è un poi di Y che la fa apparire molto interessante, è nascosto bene, dietro ad un sacco di X, ma c’è.
 
E comunque sarà per la birra, sarà la nebbiolina estiva, sarà il viale, saranno i cromosomi X/Y, sarà che stai facendo tardi ma non te ne potrebbe fregare di meno, anzi speri di fare ancora più tardi, ma quello finisce che non è un aperitivo normale. Finisce che finisci la birra e sei emozionato e non capisci il perché, provi la stessa emozione che hai provato quella volta che hai comprato la cornice nuova per il tuo splendido quadro tirolese, una chicca di arte naif che fa bella mostra di sé nell’angolo più in vista della tua casa.
Pensi meglio e ti accorgi che stai provando la stessa emozione della la prima volta che ti ha appoggiato la tazzina del caffè sul giornale e dopo averlo bevuto ti ha chiesto: "Posso??".
Insomma, per capirci, un’emozione mica da ridere e non passeggera, un’emozione che ti lascia il retrogusto, è sì perché sei emozionato anche quando sali in macchina e parti alla volta del tuo appuntamento in ritardo di circa due ore, e sei emozionato anche quando arrivi e dici: “Ciao, come stai, è da un sacco che non ci si vede”, e il tuo appuntamento risponde: “Sì, quasi tre anni e arrivi pure tardi, bell’amico che sei! E poi la scusa della nebbia.. a giugno?”.
Ma la nebbia c’era davvero, e  tu lo sai che sei stato un po’ cafone però non sei troppo dispiaciuto, troppo buona la birra nel viale per potersela perdere,  e ti rendi conto di essere davvero cafone quando “bip-bip messaggio sul cellulare” e te ne vai in bagno, e non ne hai bisogno, vai in bagno perché devi rispondere, potresti farlo tranquillamente anche lì al tavolo,  sei con una tua paziente amica storica, non si formalizzerebbe, ma hai bisogno di concentrarti  da solo.

Devi dare una risposta intelligente, lei ti ha detto che ora sta guardando i cartoni animati ma la serata è sta splendida e l'aperitivo divertente e ora voleva solo augurarti la buonanotte, il bagno è angusto e non ti offre il massimo dell'ispirazione, ma tu non puoi fare la figura del banale maschio comune, e dopo prove e riprove, cancellazioni e correzioni, scrivi: “Buonanotte piccola”.

Bravo, intelligente, davvero sopra la media, colpo perfetto, indimenticabile, nessuno avrebbe fatto di meglio.

Torni al tavolo, la tua amica inizia a spazientirsi, tu continui ad essere distratto, oltre ad essere emozionato ora sei anche preoccupato di non aver lasciato il segno giusto, quello del maschio fuori dal comune, quello che "da danno", quello che avrebbe dovuto farle rispondere: “non c’è contatto di mucosa con mucosa e pur mi infetto di te”, che l’hanno già scritto altri ma ti avrebbe davvero fatto piacere sentirtelo dire e a questo punto sarebbe perfetto.

Vorrà dire che per fare colpo dovrai studiare qualcosa di diverso, che so un regalo prezioso, ma non prezioso-ricco,  un regalo prezioso che parli di te, che le faccia capire che per lei faresti  tutto,  anche regalarle il tuo bellissimo quadro francese di fine ottocento,  olio su tela, tratto deciso per un mix di romanticismo e passione che sei certo le piacerebbe moltissimo, poi pensi che quello potrebbe essere troppo, con quello potrebbe anche innamorarsi subito e non vuoi esagerare, vincere ma non stravincere!!

Poi ritorni, sono passati due giorni dal tuo aperitivo sul viale, sei ancora un po’ perso in quella strana emozione, anzi sei un po' perso punto, e anche un po’ preoccupato per il colpo mancato, quello del danno, pensi, vagheggi con la mente e con la macchina finchè non parcheggi di fronte a casa, ad un tratto in pieno centro ed in pieno giorno vedi lei che arriva in bici, capello semi bagnato, maglietta e costume da bagno senza gonna.

Quando ti vede si ferma: “Ciao, sei tornato? Com’è andata?”, e tu: “Bene dai, tutto bene, ma… posso farti una domanda?”, “Sì certo!”, “Ma… da dove vieni?”, “Piscina, sono andata in piscina!”, “Ahh, piscina… ma… scusa… e la gonna?!”, “La gonna?” risponde lei e si guarda e non diventa rossa ma sorride: “Ahh la gonna, opsss, credo di averla dimenticata negli spogliatoi… sai… sono un po’ distratta, non so bene cos’è ma c’è qualcosa in questi giorni che mi sta, mi sta… non saprei come dire, ecco, sì insomma, mi sta dando  un po’ ... un po'... mi sta dando un po' danno…”.

I fidanzati sul divano


Nel corso della mia vita e del mio lavoro ho incontrato tanti tipi di coppie,  soprattutto del mio lavoro… ed in particolare nel corso del mio passato lavoro di filiale, perché il direttore di filiale gode di un osservatorio privilegiato: incontri la coppia cointestata, ascolti la loro storia cointestata che li spinge ad aprire il rapporto insieme (sentimental-economico), vedi  poi in rapida successione  la realtà dei conti aperti all’insaputa dell’altro, emetti i due bancomat cointestati e i due bancomat “per sicurezza ne tengo un altro sul mio conto nuovo che mi serve per risparmiare che non si sa mai che possa perdere quello sul conto del mio adorato e cointestato partner” (sto volutamente sul generico per evitare di essere accusato di sessismo), blocchi il bancomat cointestato, blocchi il bancomat singolo, chiudi il conto (e ti arrabbi perché non vai a premio), infine passi la posizione a contenzioso perché nessuno dei due accoppiati vuole pagare le spese di estinzione dell’altro, altro che è sempre debosciato-fedifrago e ladro perchè ha sempre rubato la pensione della nonna di lei/lui per scappare da qualche parte con uno nuovo che sì che lo capisce ed è buono-generoso-comprensivo-intelligenti-sensibile. E non pensiate scappare dall’altra parte del mondo, a volte, anzi spesso, si scappa a due km da casa, più comodo, più economico, più gestibile.

Comunque scusate, sto divagando, dicevo delle tante coppie incontrate… coppie tradizionali, coppie di fatto, gli sposati, gli scoppiati, gli accompagnati, gli aronati (avrei voluto scriverlo in romagnolo ma non lo so fare), i fidanzati in casa, i fidanzatini,  i distanziati (fidanzati a distanza), i fidati (fidanzati che si assicurano di non tradirsi), i felici per sempre, i felici finché dura, i felici non lo siamo stati mai, ho incontrato qualche fidanzato che lo sapeva solo lui e qualche altro fidanzato che “ci siamo presi una pausa di riflessione, ancora un quindici anni e vedrai che si ricomincia più forti di prima”,  ma ho incontrato una sola coppia di fidanzati sul divano.

Fidanzati sul divano. Detta così può sembrare qualcosa di poco serio ma visto il caso direi “tutt’altro”, i due hanno scelto il divano forse perché meno impegnativo del letto, più serio del fidanzamento in macchina, certamente meno formale del fidanzamento in casa, che a volte per inciso può pure diventare un po’ difficile da spiegare, scomodo quel tanto che basta da non farti passare troppo tempo seduto a pensare e finisce che non ti fidanzi mai, scomodo quel tanto che basta per convincere lei a covinare sul fianco tanto da farla diventare piccola piccola anche se è alta un metro e un’esagerazione, comodo quel tanto che basta per convincere lui che “questo fidanzamento s’ha da fare”, comodo quel tanto che basta per convincere lei che lui "ce l’ha, ce l’ha, le manca", ma in fondo lei è un’altra cosa e lui di questo si è già belle che convinto la prima volta che l'ha vista. E allora nel coacervo di convenzioni utilizzate per descrivere un rapporto a due una definizione bisognava pur trovarla, e i soggetti  questo hanno deciso:  fidanzati sul divano, per il momento senza puff perché non hanno trovato quello che fa. “Quello che fa” finisce così, non c’è bisogno di aggiungere altro.
 “Noi siamo fidanzati sul divano, spalla alta e rigida, un fidanzamento bello deciso”, “ Ce lo apri direttore un conto cointestato?” , ”Non ci servono bancomat, né singoli, né cointestati, non ci serve niente, partiamo così senza pretese, senza aspettative, non vogliamo un conto per risparmiarci, nemmeno un conto per specularci, se ci fai la mifid scrivi che amiamo il rischio e non ti accuseremo mai di averci venduto un divano difettoso, sì lo sappiamo direttore che tu non vendi i divani, ma un conto non ci serve, ci stai simpatico e lo apriamo, perdonaci, siamo un po’ matti, anzi molto matti, lei di più, lo sanno tutti, basta vederci, però che vuoi... ci siamo conosciuti per caso, amici di amiche, così all’improvviso, di corsa, di chimica, per coincidenze, tante, molte, moltissime, forse un po’ in ritardo ma stiamo recuperando, senza pause, crackers e ricotta, marmellata e passione, piadina e prosciutto!”

E io sulle prime sono rimasto pure un po’ spiazzato, non sapevo che dire, chi sono sti due? Dicono e fanno cose strane, ho chiesto anche informazioni al mio amico Notaio: “Ma sti due chi sono?”. “Guarda non lo so… li vedo sempre in giro per bar, sembrano un po' persi, frequentano la Romagna ma non lì conosco,  chiedi all’Architetta!”.
“Architetta, tu che sei donna di mondo e sai le cose, dimmi, chi sono sti due?”; “Guarda non saprei, ho sentito dire che sono una coppia, a guardarli si direbbe davvero, paiono innamorati, poi io non so, ho molto da fare io, al mattino mi alzo presto, sono abitudinaria, frequento sempre le stesse persone, gli stessi posti, però più ci penso e più paiono innamorati ma chi sono non lo so”.

E io il conto alla fine l’ho aperto, sono bravi in fondo, pensate che per festeggiare gli ho offerto pure da bere: “Ordinate quello che volete”, “Un bicchier d’acqua dal rubinetto, l’importante è che sia di Ridracoli perché fa bene!” hanno risposto, sono semplici, e poi sta cosa del divano mi piace, mi ha affascinato, non l’ho capita bene bene, ma poi non c’è mica bisogno di capire sempre tutto, faccio il bancario mica il genio, so cos’è successo nel 476 d.c. perché è storia, chi sono quei due non lo so anche se la loro è una bella storia, molto bella anche se non ho mai visto il divano e non posso nemmeno consigliarli un puff adeguato, però sono felici e allora perché non dargli fiducia??  

La piadina e il tacco dodici

Tacco dodici e piadina, sembra facile, ma bisogna saperlo portare, e soprattutto bisogna saperla mangiare.

E’ un po’ come abbinare uno splendido abito nero, molto mini e molto nero, molto elegante e molto mozza fiato, ad uno strozza zucchine e gamberetti annaffiato da un buon Vintage Tunina sul lungo mare di Rimini.
Ecco questa sera è una di quelle dove ti eserciti a ricordare i particolari così, senza una ragione, oppure per mille ragioni, che poi è la stessa cosa. 
Stai un po’ sul divano con un liquore cent’erbe, poltrisci, pensi, ripensi, sorridi, sì sì sorridi, diventi nostalgico di un tempo passato da poche settimane, insomma ti crogioli, sì ecco ti crogioli. E crogiolandoti fai confusione con i ricordi, e capita che la voglia di scrivere di una bella serata diventi un mix di belle serate, di emozioni sovrapposte, di dettagli ammucchiati, perché in fondo sei un po’ “azabjato” e chissenefrega se non sei proprio preciso preciso….
“Dove mi porti questa sera?”
 “Stasera semplicità, libertà, fascino e salsedine”
“Cioè??”
“Una piadina, mangiata sul tetto della barachina, poco barachina e molto fashion che se stai attenta, in lontananza, dietro a quelle case là, scorgi pure il mare... e se stai molto attenta e chiudi gli occhi e bevi quella birra artigianale che ti piace tanto e sorridi, lo puoi pure sentire,”
“Mi piace la piadina, la mia preferita la fanno a Bagnacavallo, rucola-prosciutto e fontina, mi porti a Bagnacavallo?”
“Ma no, a Bagnacavallo non c’è il mare!”
“Sì che c’è il mare a Bagnacavallo, sei distratto, e la fantasia? Ma non sei tu il teorico della fantasia??”

Ed è così che può partire un’uscita,  seconda puntata di una capatina fuori porta, iniziata con il vestitino nero di prima, quello corto-elegante mozza fiato  che fa pandan con il capello nero che pensa al rosso, fluente  e incontrollato, e tu con la camicia nuova comprata apposta perché volevi fare bella figura, come quando avevi quindici anni, e poi la spiaggia dove non si può entrare perché è sera e non hai quindici anni nonostante la camicia, poi i vicini di tavolo che ti guardano un po’ invidiosi perché si capisce che tu sei più felice di loro, un po’ perché sei matto, un po’ perché la baci, un po' perchè sei davvero più felice di loro, incoscientemente felice.

E quando ti trovi di fronte ad una piadina mangiata sul tetto della barachina, e il tacco dodici che ti sfiora il mocassino, e la birra artigianale a dissetarti, e qualche gocciolina di pioggia che scende all’improvviso ma tu te ne freghi, ecco in quelle occasioni racconti tutto di te. E ti capita a volte di chiederti “ma perché diavolo ti sto raccontando tutto? Dovrei moderarmi, troppa vita, troppi segreti, troppe emozioni, troppe figuracce…“, poi fai una foto a lei e la guardi, e arriva il titolare che ti dice “Bravo, bravo, fotografa, fotografa pure, così quando ti molla ti guardi la foto”, e ride, e tu pensi: “ma vaffanculo che cazzarola ridi”, però ridi anche te perché sei matto, anzi sei diventato matto, perché quella è una di quelle sere che lasciano il segno, e non il segno del tacco sul mocassino perché quello si spazzola via, l’altro no.

E poi ritorni a casa, e in macchina che non è la tua perché la tua è rotta canti Mina, anzi tu pensi e lei canta, perché a tutto ci deve essere un limite e tu che canti significherebbe oltrepassarlo quel limite, e appena rientrati  vi fermate un secondo sul divano, il divano che stasera ti fa ricordare, un divano studiato in America, perché ha strani poteri, poteri magici e lì fate scelte importanti, scelte da grandi mica da quindicenni , scelte importanti contrattualizzate via sms, sborantamila sms si diceva un tempo, una storia di sms, anzi una storia in sms.

E la mattina seguente ti svegli, esci di casa e corri a prendere un caffè che quasi quasi ancora albeggia, perché da qualche tempo a questa parte il caffè non è più quello di una volta e sì sa che quando il caffè arriva è meglio esserci... perché prima o poi (e anche questo si sa) finisce…