L’aglio nel ragù

Ma Giorgio, vi ricordate di lui? Se ne scriveva qui qualche giorno fa…. ecco Giorgio… si proprio lui… chi è davvero Giorgio, ammesso che esista?

Bene, proviamo a raccontare un altro pezzetto….

Quel giorno tirava vento, ma proprio un vento della madonna, una roba assurda, una roba tipo… sì insomma tipo oggi. 

Il nostro stava sorseggiando un vinello fresco e degustava delicati stuzzichini…. anche se sarebbe stato molto più corretto scrivere “beveva vino, mangiava tramezzini e panini al salame come non ci fosse un domani visto che non toccava praticamente cibo da due giorni”, però avrebbe fatto molto meno narrazione e molto più uomo qualunque… e il profilo di Giorgio ne avrebbe risentito, quindi sorseggiava e degustava, punto.

E fu allora che ricevette un messaggio: “se fossimo lineari, ci saremmo vicendevolmente annoiati🤷‍♀️“.

Fu esitazione, direi dubbio, certamente sorpresa, non pensò ad un errore perché sapeva che il mittente non sbagliava mai, quindi rilesse, ordinò un altro bicchiere e due noccioline, ché le noccioline con i tramezzini sono la morte sua… ed aggiunse “ce l’hai un po’ di parmigiano per favore?!”, ché pure il parmigiano ha il suo perché..

Lineare Giorgio effettivamente non lo era stato mai, grassoccio sì, abbronzato a volte, serio abbastanza, di buon gusto pure, educato anche, fedele absolutely, ma lineare in effetti no, proprio non era una delle sue qualità, e nemmeno uno dei suoi tanti difetti. Nonostante questo fu sorpreso di ricevere quel messaggio, alle 11.00 di un sabato qualunque di un aprile qualunque tipo oggi, Quindi pensò.

Il messaggio proveniva da Ancilla, classe 1979, “lavoratrice indefessa e sposa amorevole”, intelligente e profonda con risacche di non detto, amica fraterna di Giorgio da una vita, anche se da sei anni né si vedevano né si sentivano, forse problemi di linea telefonica e traffico dati, un classico di questi tempi. 

“Dove sei? Mi raggiungi?” fu la risposta.

“Arrivo” 

“Arrivi dove? Se non sai nemmeno dove ho parcheggiato l’auto!”

“Inviami la posizione”

“Come facevi tu di solito?”

“No quella vera stavolta, ho un problema, voglio parlartene”.

Ancilla aveva un problema e dopo sei anni, per risolverlo o anche solo per sfogarsi, voleva raccontarlo a Giorgio.

Raccontarlo a lui? Lui che di problemi ne aveva almeno 36 quel giorno? Lui che 16 finti, 8 risolvibili, 4 no, 3 forse, 2 erano altrui, 1 se lo era dimenticato, 1 era amletico e per l’ultimo infine serviva la Sambuca. 

“Manno cheppalle, e io che pensavo mi scrivesse per chiedermi di sposarla…”, pensò, ma poi “Posizione inviata”.

Ancilla arrivò alle 12.15, Giorgio aveva solo pochi minuti che alle 13 suonava la campanella del fine turno alla “fratelli Rosselli” di Boncellino a Mare e doveva andare a prendere il figlio di Elena, glielo aveva promesso, terminava di lavorare proprio a quell’ora e la sua auto era stata sequestrata per via di quella storia della guida in stato di ebrezza. “Concilia?”, e il giovane aveva conciliato, ma non servì a evitargli il ritiro della patente, ed ecco che per Giorgio si era materializzato il 37esimo problema, catalogabile tra i facilmente risolvibili certo, ma pur sempre un problema.

“Avevo voglia di vederti”

“Ma non hai detto che avevi un problema?”

“Appunto, non ti sembra un problema questo?”

“Beh effettivamente sì, ma come posso risolverlo?”

“Non puoi”

“Quindi?”

“Offri un bicchiere pure a me?”

“Non lo so..”

“Un bianco per favore, grazie, paga lui”

“Ma sono passati sei anni?”

“E allora?”

“Beh in effetti…”

Il vento non accennava a diminuire, est-sud-est, 48km orari, la polvere si lasciava trasportare nel vino e sul panino al salame, ecco il 38esimo problema….

“Perché avevi voglia di vedermi oggi?”

“Così”

“Così non è una risposta”

“Vuoi che menta?”

“Sì”

“Perché oggi è maggio, e a maggio il mondo è bello e pieno di colori e ancora sugli alberi ci sono solo fiori”

“Oggi è aprile”

“È vero, ma mi hai chiesto di mentire”

Ad Ancilla la logica non aveva mai fatto difetto.

“È tardi sai, devo andare, mi aspetta il figlio di Elena, sai la patente…”

“Mi è piaciuto sai?”

“Rivedermi?”

“No, il vino. Ti chiamo in settimana, ne voglio un altro bicchiere”

Giorgio salì in auto, non tirava più vento, era ancora aprile, due passi da un anno in più, Elena chiamò: “tutto bene con Enzo, sei già lì?!”

“Sto andando, stai serena, ha 27 anni, credo non corra il rischio di essere rapito all’uscita dal lavoro”

“Hai ragione, ti fermi a pranzo da noi?”

“Dipende”

“Da cosa?”

“Hai messo l’aglio nel ragù?!”


Racconti di una sera a cavallo tra due stagioni


Polpettine di coda di rospo in salsa di carote profumata allo zenzero, patate gentili delicatamente arrostite, una ribolla gialla 2020 Collio, un gruppettino silenzioso ed agée lato sud est della sala da pranzo, una coppia clandestina (che si capiva chiaramente dalla gonna di lei e dalla posizione della gamba tesa e pronta allo scatto di lui) nel tavolo rotondo vista ingresso lato toilette, candele qua e là, una lampada ad incandescenza, musica jazz soffusa tutta tromba e jam session a fare da colonna sonora, ed ecco descritta la soirée di Giorgio.

"Il Pesce Innamorato", così si chiamava il locale, fuori mano, fuori stagione, fuori porta, fuori tempo, vista alberghi che solo dopo vista mare, Giorgio lo frequentava di tanto in quanto, quella sera era venerdì, lui era solo, gli altri apparentemente no. 

Sofia, la cameriera con le tette grosse e lo sguardo gentile di chi conosce i congiuntivi, si avvicinò discreta come al solito, il sorriso delicato di chi ricorda i dettagli e: "una lacrima ghiaccio e mosca?" - "certo Sofia, grazie". Il rapporto tra Giorgio e la Sambuca è sempre stato enigmatico, nessuno che abbia mai capito cosa ci trovasse davvero, il profumo di Anice lo infastidiva., e secondo me il profumo di Giorgio infastidiva la Sambuca.

Fu proprio sorseggiando la Molinari che si accorse di lei, alta, jeans blu aderente ma con stile, cardigan color champagne ambrato, sotto seta blu, capello lungo castano avvolgente, mani ben curate, sguardo rapido, un anello platino sull'indice della sinistra, un velo di tristezza, lo stivaletto tacco dieci, le gambe lunghe, il conto da pagare, la carta di credito, la porta che si apre, lei che esce, pluff, finito.

"Ma dove se ne stava seduta? E da quanto poi? E checcazzo era sola!", sono queste le due domande tipo e l'esclamazione standard che l'avventore medio di un ordinario venerdì sera si fa in queste occasioni, Giorgio invece restò in silenzio, chiese il conto, indugiò per un attimo ancora su di lei che si stava allontanando senza fretta, salutò Sofia ed uscì pure lui.

Sul tratto di spiaggia libera zona molo di fronte all'ancora quella sera avrebbero bruciato la fogheraccia, la sera prima della festa del papà, a cavallo tra due stagioni. Giorgio aveva deciso di andare, poco importa se non aveva la scarpa da sabbia e l'aplomb del lupo di mare a riposo, a lui il fuoco piaceva, piaceva da sempre, amava tutto quel bruciare di passioni, di emozioni, di rabbia, di sogni, di tempo, tra fiamme che fanno l'amore partorendo scintille e regalando calore. 

Dal muretto lato scogli lo spettacolo era davvero bello, direi incandescente, il crepitio della legna ardente metteva allegria, l'aria sapeva di salsedine arrosto e fragole.  

"Buona la Ribolla?!"

Giorgio ancora una volta si accorse di lei solo quando se la trovò di fianco, stava sorridendo, si sistemò a trentaquattro cm da lui, gomiti sul muretto, viso sulle mani, lo guardava.

"Ciao" - disse Giorgio. "Ciao" disse lei.

A volte ci sono cose che iniziano per caso, proseguono per caso, finiscono in meno di niente, lasciano un retrogusto di cioccolato fondente 70%, e il giorno dopo ci si chiede se sia successo davvero, convincendosi che probabilmente no, non é successo davvero nulla perché nulla mai succede davvero davvero. Tra loro andò così.

Il buffet della colazione era abbondante, i quotidiani pure, Giorgio però si accontentò di un caffè americano, anzi in realtà non so se si accontentò o proprio quello voleva, conoscendolo propendo per la seconda, ed è pure più grave perché dico io: "visto che la paghi approfittane, quando ti ricapitano pancake con sciroppo d'acero e uova al bacon?"

Oreste, il concierge dello Sporting, si avvicinò discreto: "la signora è uscita presto, mi ha pregato di darle questo" - "Grazie Oreste" - "Si figuri".

Giorgio si ritrovò tra le mani un bigliettino color avorio, la carta leggermente ruvida era stata strappata da un taccuino toscano, si capiva dall'odore: "non chiederti perché, non importa, le cose a volte succedono a volte no, ciò che conta è l'intensità. Ciao M."

Non credo che il nostro protagonista sia stato molto d'accordo con sta roba qua, anzi azzarderei senza paura di essere smentito che a lui proprio sia sembrata una stronzata sesquipedale, perché si va bene "le cose succedono", e va bene anche "per caso", e va bene pure che non succedano mai, e figuriamoci se non va benissimo l'intensità, ma tutto sto casino solo per una notte beh... insomma... 

Il bigliettino però all’alba del decimo giorno non l'aveva ancora gettato, anzi lo custodiva gelosamente a mo' di reliquia, di tanto in tanto lo apriva e lo rileggeva... "ciò che conta è l'intensità" Ciao M.". 

Fu la sera del dodicesimo giorno che decise per il distacco definitivo, riportò il bigliettino là dove lo aveva ricevuto, lo riconsegnò ad Oreste perché lo conservasse a futura memoria, non prima però di aver aggiunto un rapido virgolettato: "Minchiate, l'intensità è niente se non le dai il tempo di viverti. L'ho imparato tardi ma l'ho imparato. Ciao G."     

 



  

Gli aggettivi

Non sarà mai tutto perfetto, ma può essere bello, divertente, intenso, colorato, a volte pure triste, fiammante, appassionante, impossibile, coinvolgente, invadente, delicato, ma anche sexy, veloce, lento, improvvisamente noioso, ma pure eccitante, bagnato, caldo, silenzioso, stropicciato come lenzuola dopo l’amore, e perché non anche fragoroso? Poi incomprensibile, confuso e subito dopo splendidamente o paurosamente chiaro, certamente elegante, vero, razionale ed irrazionale allo stesso tempo, umano… sì umano. Quindi complicato, per questo affascinante, perché l’inutile non porta né dubbi né fuochi d’artificio.

Il segreto sta negli aggettivi, sì proprio lì, gli aggettivi, lo sostengo da sempre, tutti quelli che ci stanno, tutti dentro la stessa storia, più sono e più è storia.

Che poi tutti siamo concentrati a definire quello che viviamo, a catalogare, a sostantivare, a questo e quello, al giusto e allo sbagliato, la libertà si e la libertà no, ma perdiamo di vista il senso, lo perdiamo di vista e ce lo lasciamo sfuggire. 

Ed è proprio per evitare di perde il senso che abbiamo bisogno degli aggettivi, ci servono fantastico, troppo, spettacolare, incredibile, suoermegatop, brutto e bruttissimo, terribile, luminosa, fascinosa, Bella al limite della gnoccaggine… vedete come suona diverso?

Una volta “qualificato”, il segreto è correre il rischio, il rischio di vincere o di perdere, tutto insieme, tutto subito, tutto dopo, tutto sempre, ma anche tutto mai ahimè… o ahinoi… o anche solo ahivoi. L’importante però è fare, insistere, provare, e bisogna fare pervicacemente, ostinatamente, follemente, leggermente, insensatamente, senza paura di avere paura, perché tanto quella ci sarà a prescindere, perché solo l’inutile non fa paura.

Le storie galleggiano su un mare di gocce di caso, di fortuna, di scelte sbagliate o giuste o niente., galleggiano su fatti accaduti e non accaduti, ma anche su un sacco di parole, dette e non dette, dette troppo, non dette per nulla.

Ci vuole del culo, ma ci vuole pure chi la fortuna la sfida, anche se a volte lo dimentichiamo, così… …. In una sorta di Alzheimer adolescenziale la cui unica cura è l’incoscienza dell’agire.