Io c’ho un po’ fretta, per questo prendo la metro

Io “c’avevo” fretta, e “c’ho” sempre avuto fretta, e “c’ho” ancora fretta, e lo scrivo così  volutamente che è brutto da leggere ma il suono mi piace.
E volevo che il tempo passasse, e stavo lì a spostare avanti gli obiettivi, e farò, e vedrò, e adesso vedrai, e dall’imperfetto si va al presente, con un salto nel futuro e qualche accenno di gerundio.

Sono buffi gli uomini, prima sempre di corsa e poi sempre a frenare, nel tentativo di fermare gli anni che avanzano, cinture di sicurezza allacciate e 300 all’ora per dire stop all’inerzia.
Un po’ come un Ogino e anche un Knaus qualsiasi che usano il coito interrotto: 32 secondi belli tirati e poi un finale a metà che non soddisfa nessuno... o quasi nessuno..., sì perché in effetti dipende un attimo dalla situazione c’è da dire.

Rapido. 
A parte la giustizia è tutto molto rapido, le storie d’amore, le storie di letto, le storie di lavoro, le storie di storie. 
Ti risvegli a quarant’anni che sembrano quarantaquattro ed è un attimo che sono quarantacinque.
Sarebbe opportuno mediare, rallentare all’inizio, velocizzare lentamente nell’intermedio, prendere tempo sul quasi finale per stare sulla metà corsa il più a lungo possibile.
Oppure che so, preliminari medio-veloci, poi passione adrenalinica medio-lenta, poi sudore medio-profumato, poi relax (con o senza botola dipende).
Per contestualizzare: arrivare a trentacinque con calma, indugiare molto a lungo sui trentotto e lasciarsi trascinare dai quaranta ai quarantadue.

Il tempo.
Sta diventando un po’ una fissa, perso nella ricerca del come e dopo tanto riflettere, credo di aver trovato la soluzione, e credo che la soluzione sia fregarsene e non cambiare mai, acquisire quell’arroganza tipica del tu passi e io ti fotto, sì io ti fotto... sì io ti fotto perché io “sto fermo”.

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