Ma è possibile raccontare una storia lunga lunga usando parole sparse apparentemente senza nessun filo logico lasciando che ognuno dia il senso che vuole? Riconoscendosi e perdendosi nel pensare al racconto che potrebbe essere, essere stato o che sarà?
Esperimentiamo.
Mare, palazzo e finestre, freddo freddo quasi gelato, anni, il gabbiano, brividi, la punta, il tempo, eri giovane e lo sarai per sempre, sorrisi pieni di lacrime, e il caminetto, la sera, la notte, messaggi e massaggi.
Abbaglianti, le coincidenze, il numero che viene subito dopo il sedici e un attimo prima del diciotto, il letto del mio nonno,
il vento e la neve, e ogni cosa parla, i silenzi, primavera-estate-autunno-inverno, il natale che è sempre un po’ meno Natale,
la bici rubata, il caffè ☕️, le telefonate, i sogni, la paura, sole-cuore-amore, Anna Oxa, dobermann, brividi, brivido, pensare e non pensare, il lavoro, la via Emilia, la Fiesta, le Fiesta, le feste, la pizza, le fragole, le fughe in avanti indietro e di lato, le rincorse, le corse.
Il brivido. Il diesel. L’automobile. La mia. La tua. La sua.
Il futuro? Il passato? Il presente? Ieri oggi e Maurizio Costanzo?
Il vino e i suoi tannini, la birra e i suoi luppoli, l’acqua, l’Oriani e la corriera.
Sentimenti dal sen fuggiti e nel sen rientrati.
Io, lei, lui, lei, io, noi, gli altri, tutti, troppi, nessuno, troppo tardi e troppo presto.
Le galline, il gallo, il blues.
Il brivido che trapassa.
Il ponte, la rosa, le risa, le sorprese, il raffreddore.
La maionese, le fideiussioni, la nutella e la cipolla, il senso e il non senso.
Il brivido che resta.
Papà ti voglio bene.
Papà ti voglio bene.
Freddo, il mare, il gabbiano, la rotonda.
Ecco, dietro ad ogni parola un mondo, ad ognuno il suo a me il mio.
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