La tristezza del felice...

“Pago un Sauvignon rosso..” – “Quattro euro” – “Grazie… buona serata” – “A te… a presto”.

Aperitivo post ufficio, leggermente forte,  anzi decisamente forte, forte dopo una giornata dura, anzi decisamente dura.
Esco dal locale, la scarpa in cuoio sull’asfalto viscido è molto pericolosa, ho rischiato di schiantarmi a terra almeno dieci volte oggi, scivolata plastica con aria disinvolta, ci mancava solo una “trullallero trallalà” per fingere indifferenza.

Tre gradini, due passi, incontro Fox, un’amica che avevo conosciuto tempo fa con Master….
“Ciao Luì! E’ da tanto!!”

“Ciao Fox, sì è da tanto”
“Hei sei triste? Cos’è quella faccia?”

“Ma no dai, tutto bene, forse la pioggia… e poi ho appena bevuto un calice di sauvignon, il rosso di solito mi commuove, forse è questo!”
“Sìì, certo, il rosso… Ho letto da qualche parte una cosa che dice più o meno che non c’è niente di peggio della tristezza di un felice, sì perché te ne accorgi subito, salta agli occhi. E il tuo sorriso addormentato è chiaro sintomo di questo: sei un felice intristito. Non ti vedo da un mese e me ne sono accorta subito, sarà che ti conosco bene o sarà che sei discretamente espressivo…. ma…  me lo dici perché?”

La tristezza del felice. Che roba è?  E’ una contraddizione in termini? Oppure una malattia? Ci penso… un attimo… ho deciso… è una malattia. Sì, una malattia, una di quelle che non si curano neanche con l’antibiotico, ti prende così, un po’ alla volta, di solito inizia al mattino presto, poi si acutizza in pausa pranzo, e poi alle cinque del pomeriggio, l’ora della febbre, esplode in tutta la sua virulenza. Al massimo si può alleviare con la Novolgina (è una tachipirina vintage!). La notte non ti fa dormire, come il raffreddore, ma fa più male, perché spesso si “mischia” col sogno, si alimenta di libri con una dedica che il tempo ha reso finta, di ricordi, di occhiate al cellulare che sta sul comodino, di cuscini stropicciati.  Servirebbe una flebo.
“..allora me lo dici?”

“Ora mi ricordo perché non ti chiamo da un mese, sei  insistente!”
“Veramente sono io che non ti ho chiamato,  ti ricordi il perché? Mi hai detto che non dovevo affezionarmi a te, non dovevo affezionarmi perché tu eri già molto affezionato a qualcun altra, che non hai detto affezionato, non correggermi che lo so benissimo, ma ho cancellato le parole esatte perché altrimenti ora dovrei menarti e  non preoccuparmi del perché sei triste!”

“Va bè, sono stato sincero. Tu mi hai chiesto di esserlo! Mi preferivi in versione ti racconto della rava e della fava tanto le parole non costano niente e posso dirti quello che voglio che tanto dopo un modo per uscirne lo trovo? Un modo tipo non ti rispondo più al telefono, non rispondo più ai tuoi messaggi, mi faccio vedere in giro con una in piena negatività plausibile? Sarebbe durata ancora sai? Tre, quattro settimane, il tempo di abituarmi e godermi, poi tanto l’abitudine uccide, chi fugge vince,  mi sarei divertito, avrei vinto facile e ti avrei detto che dovevamo smettere perché era giusto soprattutto per te. E tu magari ci avresti pure creduto! C’avrei creduto pure io!!”
“Sai Luì che se poi sei triste mi frega quasi nulla? Starai mica diventando un cinico?”

“Macchè cinico… è solo realismo!”
Il felice che si intristisce diventa  cinico, ha ragione Fox, un cinismo d’avanguardia però, un buon cinico, non è colpa sua, è la vita che l’ha fatto diventare così: distaccato. Distaccato dalla realtà, fisso sui propri pensieri, incurante del resto, un nostalgico, un nostalgico che si credeva forte (che cos’è questo l’ho spiegato nel post precedente), lì seduto a leccarsi le ferite oppure qualche volta a rincorrere avventure al solo scopo di gratificare il proprio ego, un ego triste pure lui, da cui nascono avventure tristi, inevitabilmente tristi.

“Sì, comunque sono triste Fox, non è grave, tranquilla, adesso passa, se non passa adesso passerà domani, sono triste perché sono arrabbiato, perché piove, perché  è grigio e più guardo fuori e più tutto resta così, mi ricordo che una volta i colori cambiavano, il verde diventava più verde, il giallo più giallo, il rosso più rosso… ”
“Ti va un altro sauvignon?”

“Dai perché no, rientriamo?”

“Sì, offri tu però”

2 commenti:

  1. Ho appena finito di leggere un libro e sono triste. Mi piaceva molto leggerlo, l'ho iniziato ieri sera, 340 pagine. Il finale è stato perfetto. Un attimo fa stavo leggendo ed ero felice, ora il viaggio è finito e sono triste. E' questa l'essenza della felicità, è tutto nella sua natura effimera e temporanea, nella sua contraddittorietà. La felicità non è una condizione stabile. Si alimenta di situazioni che non sono durevoli. Leggo un libro che mi piace, ma poi arriva l'ultima pagina. Compro un paio di scarpe che adoro, ma poi la moda cambia. E mi fanno pure male ai piedi, perciò le metto solo una volta e poi le scaravento nella scarpiera dimenticandomele per sempre. Vado in vacanza a Parigi col mio fidanzato, ma dopo cinque giorni tocca tornare a casa... per fortuna, dato che dopo la litigata al Louvre quasi non ci parliamo più!
    Non credo che esista una persona che sia sempre felice (uno stupido, forse? un buon selvaggio? Forrest Gump?), di persone tristi invece ce ne sono fin troppe. Non bisognerebbe mai farsi vedere tristi... la tristezza è un segno di debolezza, unita alla nostalgia è un mix letale e il cinismo, il distacco e la rabbia sono ben misere difese, quando si mostra così tanto il fianco. La tristezza è una malattia ed è contagiosa, come ti senti se un tuo amico è triste? Se vedi una persona che piange? Se entri in un cimitero o in un ospedale, uno di quei posti dove intorno hai solo persone che hanno perso qualcosa di importante? La tristezza è la lebbra del Ventunesimo secolo.
    Perciò sorridi. Anche se non sei felice, anche se hai il cuore a pezzi e ti hanno spaccato tutti i denti, perché hai fatto a botte durante una sbornia triste.
    Sorridi, perché sarai felice ancora. E ancora una volta non durerà. Ma è così che funziona.
    F

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  2. Tutto vero F, la felicità finisce perché il tempo passa o perché credevi di essere felice, te l'avevano raccontato e invece era un bluff, passa perché il destino semplicemente ci mette la sua, passa perché subentra la noia (anzi la noia è la conseguenza della felicità che passa), tutto vero ma il normalmente felice, quello che ci crede anche se la vita l'ha tritato, quello che il sorriso c'è l'ha dentro, quello che non molla mai, ecco se è lui quello triste allora fa molto più rumore, si percepisce con più chiarezza e si diventa ancora più tristi...

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