Quella sera di quei due giorni alle terme del lago...


Una vacanza in solitaria, oddio vacanza, una due giorni.
Ho pensato tante volte di partire solo,  però ho sempre avuto bisogno di una scusa,  che so…. l’alibi del lavoro, un corso, un appuntamento,  andare a trovare un amico, magari un’amica, ma solo fine a se stesso mai. Invece stavolta sì.  Nessuna scusa, solo, luogo semi-abituale in perfetto stile (il mio stile di abitudinario), terme, cena, due passi, Moleskine, caffè, caffè lungo, poi ristretto, poi orzo, poi americano, poi un bar, una veranda, due/tre giornali, mai Repubblica che continua ad “urticarmi” al solo contatto, due chiacchere, ancora un po’ di Moleskine, ancora due passi.
Non è male in vacanza da soli, pochi giorni e si assapora il gusto della libertà, la libertà alle terme è salata, ha il sapore dello zolfo, dell’acqua salsobromoiodica (e giuro che non so se l’acqua era sta roba però fa), vista lago (il Garda), ha il sapore del meglio soli che mal accompagnati, meglio soli che “accontentati”.

Poi soli ti accorgi di quello che ti sta attorno, a volte te ne accorgi pure troppo, però incontri anche situazioni curiose, divertenti.  Il luogo migliore per osservare è a cena, fingi indifferenza, fingi di essere molto impegnato, pensoso (non pensieroso, pensoso è diverso, sta tra l’assorto e il sto cambiando il mondo, pensieroso sta invece tra l’assorto e il mondo sta cambiando me),  certo bisogna far attenzione ai ristoranti perché può pure capitare di ritrovarti in una verandina centro piazzetta, chiedi: “C’è posto per UNO?”, “Sì certo, dove vuole lei signore”, poi  quattro camerieri esagitati, tatuati, buri e palestrati, decidono che è ora di smontare il locale, spengono le candele finte, ammassano i coprimacchia, corrono prendendo la comanda, “dica… e poi??”, ordini l’acqua tre volte, il dolce due, ti agiti anche tu, mangi alla velocità della luce, temi ti possano smontare il tavolo, decidi di aver voglia di un dolce, chiedi la carta, ti accorgi di aver fatto malissimo,  te la portano, torta e gelati, foto “dal vero”, la torta sa di colla, sa di colla sulla carta e sa di colla sul piatto, lo so, ordino mousse di pere e cannella,  la portano, anzi la lanciano, potevo scegliere pera e cioccolato o marmellata e cannella, il sapore sarebbe stato lo stesso: colla.
Mangio la mousse, la mangio tutta, ho paura che il tatuato mi meni se faccio avanzi, “Altro?”, “No grazie, sono a posto così, prendo il conto, poco cotto, grazie”. Sul lato destro-veranda si affacciano tre ragazze biondissime, bellissime, elegantissime, vogliono cenare, forse risolvo la serata, mi faccio ancora più pensoso, pensosissimo, “E’ troppo tardi”, certo è troppo tardi, è troppo tardi perché se volete farle cenare dovreste rimontare la sala! La più carina delle tre ha rischiato di farsi travolgere da un cameriere in transito, quello più abbronzato. Serata non risolta.
Il caffè lo prendo nel bar di fronte, bello il bar, bellissima la barista, stralunato l’aiutante al banco, osceno il caffè. Cattivo, ma cattivo cattivo, bruciato, la cremina è un ricordo, sbiadito e lontano nel tempo. Ho voglia di dolce ma ho ancora la torta sullo stomaco, mi allontano dal triangolo degli assurdi locali del centro, ora sono vicino all’Hotel Ristorante Pace, sono a sedere su di una panchina, carina, nuova, finanziata con contributi europei per l’arredo urbano, in sottofondo la musica di un piano bar/ristorante, un cantante Italiano che canta e suona in Inglese, anzi Americano, non lo vedo ma lo sento, sta suonando per un gruppo di inglesi, inglesi veri, “Mai Inglisc è no gud”, sembra il mio, lo giuro ha detto così, ora intona “That’s Amore”, è bellissima, è bellissima cantata da lui in perfetto napoletano inglesizzato, non ho conosciuto le tre biondine ma questo tipo sì  mi ha risolto la serata.

Meglio del dolce, è fantastico, così come è fantastico il brusio degli Inglesi in sottofondo, non capisco una mazza di quello che dicono, primo perché non capisco niente di Inglese poi perché sono ubriachi, ubriachi persi. “Bravvo, bravvo, its so good”, parlano come lui, sono entrati in simbiosi.
Elvis, si chiama così, ha raccolto pubblico anche esternamente, coppie miste e mistiche, dilatate nel  tempo con lei giovanissima e lui di mezza età, dilatate nello spazio con lui molto grasso e lei molto magra, lui basso e lei alta, lui pelato e lei bionda. Sì lo so pelato non è il contrario di bionda, ma che importa?

Un cane sta demolendo un’aiuola, la sua padroncina biondina, con gli occhialini e carina, Inglese pure lei, lo sta guardando attentamente, palettina e sacchettino raccoglifeci. Il cane ha fatto la cacca, la padroncina la raccoglie e gli dice bravo, anzi gli dice “good”, l’aiuola è demolita, anzi arata, ma il marciapiede è pulito, ahh la civiltà anglosassone.
Una coppia di mezza età scarsa sta ballando un lento, Elvis suona  un rock, ma loro ballano un lento, si baciano, lei è innamorata, lui forse , ha i baffi, sembra piuttosto commosso, non so se per la situazione, la canzone, o per la brezza che spira dal lago.

La bella e il pappone con la giacca bianca (il grasso e la magra di poche righe fa), si sono seduti nella panchina di fianco, mi guardano... mi guardano mentre scrivo, “Chi è questo? Cos'è che fa??” e lei pensa: “Sarà mica uno scrittore”, lui pensa: “Sarà mica della Finanza?”. Io penso: “Effettivamente chi sono, e soprattutto che diavolo sto scrivendo??”

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