Racconto inutile di una storia quasi inventata


Azzeccato,  credo di aver fatto una bella scelta: “Terrazza bar Al Ponte”. E’ una bella locandosteria (tuttattaccato!), calda accogliente,  ben frequentata (in realtà non lo so chi la frequenta, non sono mai andato ma è certamente così).

Nel tavolo a fianco si sono appena sedute due ragazze molto carine, molto eleganti, direi fashion, soprattutto la bionda, io nel frattempo ho scelto un vino bianco, profumato, non so il nome, non l’ho chiesto, mi sono fidato, provvederò.

Ora il locale è pieno, alla mia sinistra una coppia atipica, direi assurda, anzi dispari, apparentemente squilibrata, lei avrà venticinque anni, lui quarantacinque, lei sportiva, direi alternativa, pitbull al guinzaglio, collare con borchie (il pitbull con il collare non lei). Lui elegante, faccia da marpione in trasferta, barba curata con venature bianche, sembra Marcolin, il mio professore di Tecnica Bancaria ai tempi dell’Oriani. Indossa un cappotto nero serioso che contrasta con il pearcing argento che lei porta all’angolo del sopracciglio sinistro. La guardo meglio, ha un viso spigoloso, pelle olivastra, all’apparenza indiana ma con accento veneto, veneto stretto.

E’ difficile farsi gli affari degli altri senza dare nell’occhio, guardare dando l’impressione di non farlo, difficile ma divertente, soprattutto quando non hai nulla da fare, è un modo sciocco di occupare spazio e tempo.

Resta un ultimo tavolo, tre signori e due signore di mezza età, abbronzatissimi, costosissimi, fintosnobbissimi, una delle due signore ha il capello lungo e biondo, i jeans 9.2 a vita bassa e il tacco dodici. Molto aggressiva, saluta tutti, bacia tutti, tocca tutti, svampeggia, fa pure un po’ ridicolo, ma non sta bene dirlo. L’altra invece è più classica, si atteggia meno, leggermente ma non troppo, forse perché le labbra rifatte le impediscono la risata  e le rughe da lampada UV le danno un’espressione sorniona e leggermente patacca, un pidocchio rifatto con i capelli ricci e la camicia di Hermes.

Secondo calice di vino, ho chiesto pure il nome ma me lo sono già dimenticato. Perfetto, sono rincoglionito.

Il pitbull si sta spazientendo, vorrebbe starsene fuori a passeggiare e a fare la pipì una volta ogni due alberi, mentre la padroncina indiana con l’aria alternativa e l’accento veneto, il volto olivastro e spigoloso, beve l’ennesimo Spritz e si lascia intortare dal marpionaccio con il cappotto che pensa a tutto tranne che a quello di cui parla.

Guardo meglio, l’alternativa è un bluff,  si atteggia a centro socialista ma il borsone a tre ante è una L.V. originale, il jeans non so cosa ma il prezzo non è inferiore ai 180 euro, chiude il personaggio un piumino verde e uno stivale scamosciato con pelo che fa un casino moda.

Il pittbull è sempre più nervoso. Si sono alzati, se ne sono andati, lei non gliela darà, sarei pronto a scommetterci, lui sarà deluso ma non troppo, è la prima tappa di un investimento sentimental-carnale, persevererà (brutta parola ma fa lo stesso), persevererà almeno per altre due volte poi o riesce o niente, bello deciso non risponderà al telefono fino a quando lei non lo chiamerà, passeranno almeno tre settimane, lei lo chiamerà quando avrà voglia di farsi un altro paio di spritz in compagnia del cane. Un classico.

La bionda mezza età è ubriaca, sta continuando a salutare tutti, anche quelli che non conosce, ha salutato anche me: “Buonasera caro”, “Buonasera signora”, avrei aggiunto “come sta tutto bene? E i figli?” che fa molto buona educazione, l’avrei fatto per confonderla, lei avrebbe pensato tre giorni a chi cavolo io fossi “lo conosco, devo conoscerlo sicuramente, ma chi è??”, magari mi avrebbe presentato la figlia così avrei chiesto direttamente a lei delle condizioni di salute.

Basta, chiedo il conto, lo chiedono contemporaneamente tutti quelli che sono ancora in sala, è un classico, sindrome da conto collettivo, la bionda ondeggia, la sua amica riccia ghigna (ricordate le labbra al silicone?), i tre signori ridono, risata sorda e volutamente volgare, serve per ostentare.

Tredici euro e cinquantaquattro centesimi è il mio conto, “Vuole anche i centesimi?” “Si certo, le do il resto”, “Grazie, lei è un amico caro, mi saluti la signora”.

“La signora? Ma chi è questo? Dovrei conoscerlo! Anzi no lo conosce la signora, zoccola, lo sapevo”.

Mezzanotte, il portiere d’albergo mi saluta: “Buonanotte caro!”. Preferivo una portiera.


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