La piadina e il tacco dodici

Tacco dodici e piadina, sembra facile, ma bisogna saperlo portare, e soprattutto bisogna saperla mangiare.

E’ un po’ come abbinare uno splendido abito nero, molto mini e molto nero, molto elegante e molto mozza fiato, ad uno strozza zucchine e gamberetti annaffiato da un buon Vintage Tunina sul lungo mare di Rimini.
Ecco questa sera è una di quelle dove ti eserciti a ricordare i particolari così, senza una ragione, oppure per mille ragioni, che poi è la stessa cosa. 
Stai un po’ sul divano con un liquore cent’erbe, poltrisci, pensi, ripensi, sorridi, sì sì sorridi, diventi nostalgico di un tempo passato da poche settimane, insomma ti crogioli, sì ecco ti crogioli. E crogiolandoti fai confusione con i ricordi, e capita che la voglia di scrivere di una bella serata diventi un mix di belle serate, di emozioni sovrapposte, di dettagli ammucchiati, perché in fondo sei un po’ “azabjato” e chissenefrega se non sei proprio preciso preciso….
“Dove mi porti questa sera?”
 “Stasera semplicità, libertà, fascino e salsedine”
“Cioè??”
“Una piadina, mangiata sul tetto della barachina, poco barachina e molto fashion che se stai attenta, in lontananza, dietro a quelle case là, scorgi pure il mare... e se stai molto attenta e chiudi gli occhi e bevi quella birra artigianale che ti piace tanto e sorridi, lo puoi pure sentire,”
“Mi piace la piadina, la mia preferita la fanno a Bagnacavallo, rucola-prosciutto e fontina, mi porti a Bagnacavallo?”
“Ma no, a Bagnacavallo non c’è il mare!”
“Sì che c’è il mare a Bagnacavallo, sei distratto, e la fantasia? Ma non sei tu il teorico della fantasia??”

Ed è così che può partire un’uscita,  seconda puntata di una capatina fuori porta, iniziata con il vestitino nero di prima, quello corto-elegante mozza fiato  che fa pandan con il capello nero che pensa al rosso, fluente  e incontrollato, e tu con la camicia nuova comprata apposta perché volevi fare bella figura, come quando avevi quindici anni, e poi la spiaggia dove non si può entrare perché è sera e non hai quindici anni nonostante la camicia, poi i vicini di tavolo che ti guardano un po’ invidiosi perché si capisce che tu sei più felice di loro, un po’ perché sei matto, un po’ perché la baci, un po' perchè sei davvero più felice di loro, incoscientemente felice.

E quando ti trovi di fronte ad una piadina mangiata sul tetto della barachina, e il tacco dodici che ti sfiora il mocassino, e la birra artigianale a dissetarti, e qualche gocciolina di pioggia che scende all’improvviso ma tu te ne freghi, ecco in quelle occasioni racconti tutto di te. E ti capita a volte di chiederti “ma perché diavolo ti sto raccontando tutto? Dovrei moderarmi, troppa vita, troppi segreti, troppe emozioni, troppe figuracce…“, poi fai una foto a lei e la guardi, e arriva il titolare che ti dice “Bravo, bravo, fotografa, fotografa pure, così quando ti molla ti guardi la foto”, e ride, e tu pensi: “ma vaffanculo che cazzarola ridi”, però ridi anche te perché sei matto, anzi sei diventato matto, perché quella è una di quelle sere che lasciano il segno, e non il segno del tacco sul mocassino perché quello si spazzola via, l’altro no.

E poi ritorni a casa, e in macchina che non è la tua perché la tua è rotta canti Mina, anzi tu pensi e lei canta, perché a tutto ci deve essere un limite e tu che canti significherebbe oltrepassarlo quel limite, e appena rientrati  vi fermate un secondo sul divano, il divano che stasera ti fa ricordare, un divano studiato in America, perché ha strani poteri, poteri magici e lì fate scelte importanti, scelte da grandi mica da quindicenni , scelte importanti contrattualizzate via sms, sborantamila sms si diceva un tempo, una storia di sms, anzi una storia in sms.

E la mattina seguente ti svegli, esci di casa e corri a prendere un caffè che quasi quasi ancora albeggia, perché da qualche tempo a questa parte il caffè non è più quello di una volta e sì sa che quando il caffè arriva è meglio esserci... perché prima o poi (e anche questo si sa) finisce…



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