Quella sera lì che finì quel mattino là

Quella sera rincasò più stanco del solito, la giornata non aveva regalato nulla di buono, solo rogne e riunioni via Teams. 

Il salmone saltato in padella il giorno prima si ostinava persistente tra quelle quattro mura, aprì la finestra nonostante i 6 gradi all’esterno, lei sarebbe arrivata di lì a poco, non avrebbe fatto simpatia quel retrogusto da fine mercato del pesce.

Non guardò nemmeno il videocitofono quando sentì lo squillo, era lei, lo sapeva, aprì. Aprì e si affacciò sulla porta, gli piaceva osservarla entrare nell’androne carica di borse di ogni fattura  e savoir-faire, il passo deciso, il sorriso tirato, lo sguardo intenso, il capello fai da te, quella sera indossava fuseaux felpati e lucidi  “nero-notte-londinese-a-metà-ottobre”, le fasciavano il culo che non te lo racconto nemmeno.

Cucinarono insieme, cenarono insieme, chiacchierarono insieme, brindarono insieme, si guardarono quasi sempre negli occhi, quasi sempre… lo sguardo di lei a tratti si perdeva verso un “non so chi-non so dove-non so cosa” ma so che non stava lì, svampato e vagamente malinconico, venature d’infelicità luccicavano nella profondità di quegli occhi troppo espressivi.

L’antidoto aveva una breve durata, breve ma travolgente, si… non era finzione quella, era forse il loro legame più forte, anzi togliamo il forse, un misto di saliva, passione, istinto, sapori, naturalezza, di più e più volte, sedie, lenzuola gualcite, sincronicità, frasi e bugie bianche sussurrate solo in quei momenti, pulsazioni scomposte di cuori agitati, lingue, silenzi, orologi che battevano un tempo che entrambi - son certo - avrebbero voluto fermare almeno per un po’. Qualcosa di raro questo antidoto, così raro che avrebbe dovuto far riflettere un pelino di più.

Non si fermò a colazione, non si fermava mai a colazione, lui non glielo chiedeva e lei non voleva farselo chiedere, erano abituati così, da sempre, anzi da quel poco di sempre che li aveva accompagnati fin lì.

E dire che lui se l’era immaginato almeno trentasette volte un têt à têt con caffè americano, corn flakes, frutta, yogurt e latte delattizzato, con l’alba a fare da sfondo, l’aria pizzichina che entrava rigenerante da finestre socchiuse, il camion della cooperativa facchini che rompeva  il silenzio (e le balle)  scarrellando i cassonetti del vetro e che avrebbe rotto pure le abitudini ci fosse stato il tempo.

Se l’era immaginato trentasette volte ma a lei non lo aveva mai detto. Perché? Boh, questo a tutt’oggi non mi è dato saperlo. 

La parte più difficile è gestire i profumi, non quello del salmone eh, quello il terzo giorno molla la presa in ogni caso, ma i profumi di chi ha occupato spazio e cuscini, minuti e preziosità vere,  quelli restano per troppo tempo, ristagnano ovunque.

Le fece squillare il telefono poco dopo aver sentito il portone richiudersi, lei non rispose non riusciva, il carro attrezzi le stava rapinando l’auto che aveva lasciato di fronte al garage del numero 32, passo carraissimo, riuscì a convincere tutti che era stato un errore di distrazione, “assoluta buona fede”, negoziò il rientro dell’omino dell’ACI senza caricare il mezzo, convinse il vigilante a non “elevare” nessuna contravvenzione, e partì sorridendo…. la moglie del proprietario del garage insultò il marito fino alle 11.35, perché alla fine le aveva chiesto pure scusa per il disturbo, a lei che aveva ostruito. Pazzesco.

….

“Mi hai chiamato poco fa?”

“Sì”

“Scusa ma ero un attimo impegnata, dimmi, ho dimenticato qualcosa da te?”

“No, ho dimenticato io di dirti qualcosa”

“Ah sì, cosa? Dimmi”

“Sei bella, solo questo, ho dimenticato di dirti che sei sempre la più bella… sappilo”

“…”

Faceva freddo, freddo nonostante il solo fosse già sorto.

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