Titolo: "IL PREQUEL DELL'ORCO" - Sottotitolo: "racconto un po' troppo lungo ma mi ci sono perso"

Com’è che si chiama? Prequel! Ecco mi sembra si chiami così, lo puoi pronunciare in inglese (prequel per l’appunto) oppure anche in romagnolo (pre-quel, cioè che viene prima “de quel”), insomma è ciò che viene prima.

Mi sono deciso a scrivere questa cosa per fare un po’ di ordine in mezzo a tutti questi racconti di orchi, piadine e prosciutto, scarpe da ginnastica col tacco, ginocchiere, corsa, conti correnti e via discorrendo. Sì perché uno magari legge,  non capisce e può interrogarsi: “Ma cosa scrive questo? Ma cosa dice? Ma chi è, cosa fa, perché lo fa…”, invece se racconti l’inizio, se provi a inquadrare i protagonisti, magari l’insieme è più chiaro e la storia prende forma.

Il protagonista come già sappiamo è il nostro amico orco, anzi no in realtà lui non è il protagonista, lui  è una comparsa, una comparsa nervosa che fa un gran casino, si agita, briga, dice, monologa, sproloquia, corre, diciamo un comprimario. Il protagonista vero è un altro, il protagonista della storia è un plinto.

Sì un plinto, anzi una plinto (plinto resta sempre maschile si badi bene anche se si cambia l’articolo), di quelli belli di cemento armato, duri, compatti, alti e antisismici. Una plinto che un giorno si trovò sulla strada dell’orco. 

L’orco, a cui bisognerebbe dare un nome ma adesso non ne ho voglia, ha un passato da ballerino, faceva il ballerino semi-professionista e internazionale di halli galli, l’halli galli era la sua passione, è stato indeciso fino alla fine tra l’halli galli e lo spinning, poi ha voluto evitare di diventare troppo tonico e ha optato per il ballo, che tra l’altro l’ha pure  portato in giro per il mondo.  La sua compagnia (“The international Orco’s company”) ha fatto un tour anche in Giappone, tre mesi,  poi sono tornati per ballare alle Terme di Riolo, molto più glamour.
L’orco ballava ma era triste, sì triste, spesso apatico, anche un po’ grasso, poi magro, un elastico praticamente, e questo gli ha creato anche qualche problema con la scelta degli abiti, prima tutti larghi e poi tutti stretti, una spesa per rifare il guardaroba ogni volta! Nella fase down (magro) ha rischiato pure di diventare anoressico, è entrato anche in clinica e lì ha conosciuto un’altra paziente  sosia di J.LO (Jennifer Lopez - nda), col sedere leggermente più impostato ma neanche tanto, che poverina non mangiava davvero niente e lo mangiava pure lentamente e per questo si era ridotta tutta ossa e mattoncini (dicasi mattoncino muscolo molto tonico che avvolge  cosce, girovita e mento, tipico di chi pratica spinning ad alti livelli – nello spinning ad alti livelli si tira pure il collo). Dopo quest’incontro quasi mistico l’orco ha deciso che doveva uscire dal tunnel. Ha ripreso un po’ di peso, ha abbandonato l’halli galli, è andato a fare un lavoro serio, insomma abbastanza serio, non so esattamente cosa faceva ma più o meno direi qualcosa di simile al bancario.

L’orco però era ancora triste.  A volte durante le pause pranzo, per cercare di lasciarsi alle spalle quell’apatia che stava cronicizzando, andava a mangiare due cappelletti col tartufo e un’insalata primavera “chez Ettore”, un ristorantino dentro le mura che fa molto anni ‘70, con una vena romantica e maledetta che ti lascia quella nostalgia di fine pasto che dopo sei tu invece che devi lasciare il cappotto all’aria aperta per almeno un mezzo pomeriggio. Il ristorantino però era molto ben frequentato.

L’orco, che crede alle coincidenze e nulla succede per caso, oggi pensa che chi ben frequenta è a metà dell’opera, però  allora era ancora triste.

Altra caratteristica dell’orco è quella di dormire poco, più che dormire poco si sveglia presto, normalmente esce presto, compra uno-due-tre giornali e va a fare colazione. Pasta e cappuccino, no cornetto… pasta. Per fare colazione sceglie più o meno sempre gli stessi posti, e dentro gli stessi posti ama sedersi sopra gli stessi sgabelli appoggiato allo stesso tavolino su cui appoggia gli uno-due-tre giornali e se qualcuno viene a spingere sul suo tavolino con la sua tazzina di caffè, normalmente l’orco non gradisce.

Quella volta no.

E sarebbe stato bene che l’orco si fosse interrogato sul perché quella volta no, perché farsi domande prima evita il dover dare risposte troppo difficili dopo (un tocco di filosofia spicciola di derivazione scuole serali aiuta sempre a creare la suspance  giusta e normalmente fa pensare il lettore, quindi ora prima di andare avanti riflettete).

Il caffè che spingeva sul suo tavolino era abbinato ad un lecca lecca, se non sbaglio un chupa chups panna e fragola ma la memoria potrebbe tradirmi, il sovradosaggio di Eutirox mi fa perdere qualche colpo, tanto che l’orco pensò che già doveva essere complicato abbinare caffeina e chupa chups così fu cortese e lasciò correre. “Posso??”, “Certo, ma si figuri” (in realtà disse figurati, ma mi sembra più elegante così). Ecco fu in quell’occasione che rivide  un’altra volta “la plinto”. Perdiamo due minuti a descrivere questa ragazza (si perché…  è una ragazza…, plinto è un nomignolo molto carino che rende l’idea), allora: culo basso, ritenzione idrica pre-mestruale quelle tre-quattro volte al mese, tacco dodici che slancia perché altrimenti oltre al culo basso pure la caviglia risulterebbe intozzata, sguardo deciso, unghia laccata a caldo mentre invia messaggi via w.a.,  capello arruffato, fianco rotondo (tipo  J.LO!!), labbra carnose, sguardo arrogante, espressione… …  sì espressione… … ehhh espressione… … già espressione… … dicevo… pensavo… espressione… davvero difficile difficile da descrivere, potrei dire intensa ma non vorrebbe dir nulla, potrei dire affascinante ma vorrebbe dire troppo, potrei dire unica e lo capirei solo io, potrei non dire nulla e forse renderebbe davvero l’idea, ecco ripeto… “labbra carnose, sguardo arrogante, ESPRESSIONE”.  

Dopo quell’incontro l’orco era ancora triste però sorrise, ma sorrise per davvero, mica per finta, mica un sorriso di circostanza, un sorriso di quelli che magari parte dentro e lì si ferma però di quelli che te li ricordi, che se qualcuno riuscisse a vederti, dentro intendo, e se fosse abbastanza in confidenza e pure un po’ invadente ti direbbe: “Ma che c… ridi!”. Ora potreste pure chiedervi perché qualche volta s-cado nel volgare e piazzo qua e là qualche parolaccia di troppo, non lo so, però per descrivere certe situazioni/emozioni credo si debba scrivere come si pensa, anzi credo si debba scrivere senza pensare troppo, così di getto (dopo la filosofia da scuole serali una digressione socio-culturale di Scuola Radio Elettra che il lettore si interroga di nuovo e medita).
L’orco sorridente dentro finì la colazione, non lesse più gli uno-due-tre giornali, salì in bicicletta senza togliere la catena col lucchetto, rischiò di cadere, finse indifferenza, risalì in bici e se ne andò. Ecco io, che credo di conoscere molto bene l’orco, credo anche di poter affermare con una certa dose di certezza che fu lì che inizio tutta la storia che sto raccontando a ritagli. Che vi assicuro è una storia strana che non dovete nemmeno perdere troppo tempo per cercare di comprendere, non ci riesco nemmeno io che la scrivo figuratevi voi! E non voglio offendere la vostra intelligenza  ma è solo per rendere l’idea.

Dicevo allora che questa  storia  è strana e non va capita, va letta senza pensare, va odorata, va assaporata, bisogna lasciarsi coinvolgere dalla fantasia, dalla realtà, dai sogni (sì i sogni dell’Orco), dall’incoscienza (sì perché ce ne vuole un sacco), bisogna interpretare la filosofia dell’orco e lasciar perdere quella della plinto , non perché non ne valga la pena, assolutamente,  ma perché è impossibile, la filosofia della plinto sta tutta nell’ESPRESSIONE, quella che non si descrive per raccontarla meglio, quella che fa sorridere, quella che fa correre, quella che fa fare le inversioni a U o che fa vedere il mare a Bagnacavallo, quella che forse riuscirò un giorno a descrivere per chi avrà la pazienza , la voglia e l’interesse di seguire tutti i capitoli di questo “arraffazzonato” racconto  on-line. E quindi? Quindi niente, però “perchè sì”. Cosa vuol dire “perché sì”? All’apparenza niente, in realtà vuol dire che se anche non capisci il perché, ma lo senti che c’è, ti sei già dato la risposta. 

So che vorreste cancellare quest’ultimo pezzo ma è impossibile, il blog è bloccato e lo posso modificare solo io, fottuti.

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