Racconti di una sera a cavallo tra due stagioni


Polpettine di coda di rospo in salsa di carote profumata allo zenzero, patate gentili delicatamente arrostite, una ribolla gialla 2020 Collio, un gruppettino silenzioso ed agée lato sud est della sala da pranzo, una coppia clandestina (che si capiva chiaramente dalla gonna di lei e dalla posizione della gamba tesa e pronta allo scatto di lui) nel tavolo rotondo vista ingresso lato toilette, candele qua e là, una lampada ad incandescenza, musica jazz soffusa tutta tromba e jam session a fare da colonna sonora, ed ecco descritta la soirée di Giorgio.

"Il Pesce Innamorato", così si chiamava il locale, fuori mano, fuori stagione, fuori porta, fuori tempo, vista alberghi che solo dopo vista mare, Giorgio lo frequentava di tanto in quanto, quella sera era venerdì, lui era solo, gli altri apparentemente no. 

Sofia, la cameriera con le tette grosse e lo sguardo gentile di chi conosce i congiuntivi, si avvicinò discreta come al solito, il sorriso delicato di chi ricorda i dettagli e: "una lacrima ghiaccio e mosca?" - "certo Sofia, grazie". Il rapporto tra Giorgio e la Sambuca è sempre stato enigmatico, nessuno che abbia mai capito cosa ci trovasse davvero, il profumo di Anice lo infastidiva., e secondo me il profumo di Giorgio infastidiva la Sambuca.

Fu proprio sorseggiando la Molinari che si accorse di lei, alta, jeans blu aderente ma con stile, cardigan color champagne ambrato, sotto seta blu, capello lungo castano avvolgente, mani ben curate, sguardo rapido, un anello platino sull'indice della sinistra, un velo di tristezza, lo stivaletto tacco dieci, le gambe lunghe, il conto da pagare, la carta di credito, la porta che si apre, lei che esce, pluff, finito.

"Ma dove se ne stava seduta? E da quanto poi? E checcazzo era sola!", sono queste le due domande tipo e l'esclamazione standard che l'avventore medio di un ordinario venerdì sera si fa in queste occasioni, Giorgio invece restò in silenzio, chiese il conto, indugiò per un attimo ancora su di lei che si stava allontanando senza fretta, salutò Sofia ed uscì pure lui.

Sul tratto di spiaggia libera zona molo di fronte all'ancora quella sera avrebbero bruciato la fogheraccia, la sera prima della festa del papà, a cavallo tra due stagioni. Giorgio aveva deciso di andare, poco importa se non aveva la scarpa da sabbia e l'aplomb del lupo di mare a riposo, a lui il fuoco piaceva, piaceva da sempre, amava tutto quel bruciare di passioni, di emozioni, di rabbia, di sogni, di tempo, tra fiamme che fanno l'amore partorendo scintille e regalando calore. 

Dal muretto lato scogli lo spettacolo era davvero bello, direi incandescente, il crepitio della legna ardente metteva allegria, l'aria sapeva di salsedine arrosto e fragole.  

"Buona la Ribolla?!"

Giorgio ancora una volta si accorse di lei solo quando se la trovò di fianco, stava sorridendo, si sistemò a trentaquattro cm da lui, gomiti sul muretto, viso sulle mani, lo guardava.

"Ciao" - disse Giorgio. "Ciao" disse lei.

A volte ci sono cose che iniziano per caso, proseguono per caso, finiscono in meno di niente, lasciano un retrogusto di cioccolato fondente 70%, e il giorno dopo ci si chiede se sia successo davvero, convincendosi che probabilmente no, non é successo davvero nulla perché nulla mai succede davvero davvero. Tra loro andò così.

Il buffet della colazione era abbondante, i quotidiani pure, Giorgio però si accontentò di un caffè americano, anzi in realtà non so se si accontentò o proprio quello voleva, conoscendolo propendo per la seconda, ed è pure più grave perché dico io: "visto che la paghi approfittane, quando ti ricapitano pancake con sciroppo d'acero e uova al bacon?"

Oreste, il concierge dello Sporting, si avvicinò discreto: "la signora è uscita presto, mi ha pregato di darle questo" - "Grazie Oreste" - "Si figuri".

Giorgio si ritrovò tra le mani un bigliettino color avorio, la carta leggermente ruvida era stata strappata da un taccuino toscano, si capiva dall'odore: "non chiederti perché, non importa, le cose a volte succedono a volte no, ciò che conta è l'intensità. Ciao M."

Non credo che il nostro protagonista sia stato molto d'accordo con sta roba qua, anzi azzarderei senza paura di essere smentito che a lui proprio sia sembrata una stronzata sesquipedale, perché si va bene "le cose succedono", e va bene anche "per caso", e va bene pure che non succedano mai, e figuriamoci se non va benissimo l'intensità, ma tutto sto casino solo per una notte beh... insomma... 

Il bigliettino però all’alba del decimo giorno non l'aveva ancora gettato, anzi lo custodiva gelosamente a mo' di reliquia, di tanto in tanto lo apriva e lo rileggeva... "ciò che conta è l'intensità" Ciao M.". 

Fu la sera del dodicesimo giorno che decise per il distacco definitivo, riportò il bigliettino là dove lo aveva ricevuto, lo riconsegnò ad Oreste perché lo conservasse a futura memoria, non prima però di aver aggiunto un rapido virgolettato: "Minchiate, l'intensità è niente se non le dai il tempo di viverti. L'ho imparato tardi ma l'ho imparato. Ciao G."     

 



  

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