Una volta un bambino mi raccontò una favola proprio il giorno della festa del papà

La neve aveva smesso di cadere già da qualche giorno, il cielo era limpido che manco una nuvoletta aveva il coraggio di affacciarsi e fuori faceva ancora un sacco di freddo... un sacco di freddo freddo... un freddo freddissimo a voler essere precisi, così freddo che congelarono persino le ali di quattro passerotti che vivevano sotto la seconda traversa del ponte di ferro, sul lato destro, spalle alla salita del bosco di sopra.
Ma il problema vero era che i poveretti non riuscivano più a volare con le ali congelate, solo camminare e salterellare, e per un passerotto non è certo una bella cosa, non si era mai vista, i passeri volano, sono i conigli che saltano, lo sanno tutti!  

Sembrava proprio che in tutto questo ghiaccio e in tutta questa neve solo Gigi "testa storta" si trovasse a proprio agio, se ne stava fuori casa tutto il giorno, saliva e scendeva dalla bicicletta bianca con la sella nera a cui aveva montato catene antislittamento fatte con le graffette numero 6 da ufficio, che in realtà non servivano a nulla e la bici slittava a manetta, ma Gigi era convinto facessero figo.

Peccato che "testa storta" non avesse uno slittino, sarebbe stato certamente il re della pista del Gualdo di sopra, magro com'era avrebbe cavalcato i fiocchi di neve prima ancora che cadessero, ma niente, ne era proprio sprovvisto, solo la bici e un sacco di graffette numero 6 da ufficio.

Quella sera Gigi ritornò a casa più tardi del solito, passato di fianco al ponte di ferro provò a scongelare le ali del passerotto più piccolo, l'ultimo nato della famiglia, gli faceva pena vederlo così.
Ci riuscì a metà, nel senso che riuscì a scongelare solo l'ala di destra, non fu un gran lavoro in realtà, sì.. meglio di niente direte voi, ma ora il passerotto piccolo non solo continuava a non volare ma quando si muoveva faceva due passi, un salto, un salto più lungo, si piegava di lato (dalla parte congelata), traballava e si ribaltava, e poi ancora due passi, un salto, un salto più lungo, si piegava di lato, traballava e si ribaltava... e così senza sosta...un salto e un traballo dopo l'altro.
Non era una bella cosa, non si era mai vista, i passeri volano non traballano, lo sanno tutti!

Il povero Gigi "testa storta", deluso ed affranto, si avviò sulla strada del ritorno e in poco più  che quasi niente si ritrovò di fronte al cancello di casa propria, scalvalcò (aveva dimenticato le chiavi) ed entrò poi dalla porta che dava sul garage.
Quattro passi veloci e in meno di Amen fu ai piedi della scala a chiocciola che portava al piano di sopra, anzi più che veloci direi saettanti, sì perchè Gigi aveva una paura fottutta di quel posto, era convinto che nel suo garage dopo le sei di sera vivessero i fantasmi, e lui dei fantasmi aveva paura e credeva che le uniche soluzioni per vincerli fossero stare lontano dal garage o correre più forte di loro.

Salendo la chiocciola, gli piaceva chiamarla così, si accorse che il suo papà se ne stava seduto a guardare la tv al solito posto, si fermò un attimo ad osservarlo senza essere visto, portava gli occhiali quella sera, aveva i capelli un po' più lunghi del solito, la brillantina, il pullover grigio con il collo alto, lo sguardo triste, il braccio sul bracciolo. 
Gigi lo raggiunse in silenzio, lo abbracciò da dietro e "Ciao papà!! C'è ancora un sacco di neve fuori!".
Il suo papà sorrise, lo rimproverò bonariamente per essere rientrato troppo tardi, gli chiese dei fantasmi del garage (voleva sapere come stavano, ci teneva che la casa fosse abitata da fantasmi in forma!) e disse "dai, vai a lavare le mani che dobbiamo mangiare!".

Il bagno era proprio di fianco la camera di Gigi, "testa storta" accese la luce della sua stanza, lasciò cadere il giubbotto sul letto, guardò lo slittino sul pavimento, disse "bene", spense la luce, e poi: "lo slittino????".
Riaccese la luce e riguardò di nuovo sul pavimento, lì di fianco la scrivania faceva bella mostra di sè un bob rosso fiammante col lunotto e i seggiolini blu imbottiti, un bob a due posti, un bob con i freni, un bob con la cordicella per tirarlo in risalita, un bob vero di quelli veri che proprio più veri non si può.

"Papà, papà, il bob, il bob!" e urlava e saltava, e saltava e urlava, e.. e... come... tipo... sì come un bambino a cui era stato appena regalato un bob nuovo, ecco così.
Suo padre lo raggiunse ridendo, si appoggiò allo stipite della porta della stanza a godersi la scena, Gigi era salito sulla slitta, mimava già la discesa (che sembra facile ma provate voi a mimare una discesa!!), immaginava la neve che si alzava sui lati, fischiava, frenava sul pavimento, sorrideva come quasi mai prima, anzi rideva proprio, di gusto, una risata vera, che partiva dalle labbra e raggiungeva gli occhi, rideva come suo papà, si perchè Gigi e il suo papà ridevano proprio nello stesso modo.

Era tardi, fuori faceva freddo e Gigi che non era più testa storta, stava rientrando dall'ufficio.. "basta, promesso, domani esco prima", lo diceva ogni volta, se lo diceva da solo e lo diceva ai fantasmi che viveno in garage mentre parcheggiava l'auto, non gli facevano più paura quei buffi, lui sapeva che loro c'erano e li lasciava vivere (oddio, vivere, lì lasciava in pace ecco, li lasciava scorazzare in pace nel suo garage, nulla più!).
Era tardi, Gigi non aveva troppa fame, aveva pranzato con una cliente, bevuto un sacco di caffè nel pomeriggio e fumato sigarette amare (questo non è vero ma a questo punto della storia mi pare stia bene scrivere una cosa così), si spogliò degli abiti da lavoro e si infilò jeans vecchi senza calzini e quel maglioncino nero a V attillato e sdrucito, accese la tv, infilò gli occhiali, il braccio sul bracciolo, un calice di vino rosso, lo sguardo triste.

Triste? Perchè lo sguardo triste? 
Perchè come ogni sera d'inverno, Gigi prima di cena passava dalla sua vecchia stanza, accendeva la luce, lasciava cadere il cappotto sul letto, spegneva la luce, la riaccendeva... ... ma il bob rosso fiammante, con il lunotto e i sedili imbottiti, non c'era più, svampato, niente, vuoto, freddo, nemmeno la cordicella per trascinarlo lungo la risalita.
E allora prendeva, cenava, si lavava le mani, i piedi, le ascelle e i denti, e andava a sedersi su quella sedia da cui si guarda la tv, sempre quella, quella dove stanno di solito i papà la sera prima di andare a dormire.

Ecco la storia di Gigi, che perchè da piccolo lo chiamassero "testa storta" non s'è mai saputo, ed ecco la storia del suo bob e del suo papà che glielo regalò, ed ecco la storia di tutti i bambini che credono ai fantasmi (e ci credo anch'io sapete?), ed ecco la storia dei sorrisi che si tramandano da padre in figlio, e poi ancora e ancora e ancora, perchè c'è sempre qualcosa che travalica il tempo, che passa dal più grande al più piccolo che dopo diventa lui il più grande.

Le favole a volte hanno un inizio e hanno anche una fine, altre volte semplicemente raccontano un pezzetto senza capo nè coda, al solo scopo di far vivere un'emozione che si nasconde tra i pensieri di chi legge e incuriosita esce fuori a dare un'occhiata.
Sì perchè le emozioni hanno vita propria, nascono e si nascono tra i ricordi, si alimentano di fantasia, pasteggiano col vino rosso, cenano col bianco, si addormentano, si svegliano all'improvviso, prendono forma, tra le pagine di un blog, tra le righe di una mail, tra le onde di un mare amico, ritornano da dove sono venute, vivono sole o anche in coppia, hanno il sapore dolce di quella volta che ti sei emozionato raccontando, a chi ti sapeva ascoltare, di te e di quando eri bambino... ecco caro il mio Gigi qual'è la ragione del tuo sguardo che sembra triste ma che invece è solo assorbito da tutto questo...

Buonanotte caro Gigi, buonanotte a te e al tuo papà....




2 commenti: