La Tassoni e i cappelletti, storia di un connubio che sa di sogno

Jeans bianchi, maglietta nera incredibilmente sexy e sportivamente elegante, tacco otto, sguardo intenso-dolce-determinato-imbarazzato giusto un po’, un sorriso coinvolgente. Era questo ciò che vide la prima volta che la incontrò.

Faceva caldo ma non troppo, quando lei ordinò una Tassoni senza ghiaccio la temperatura scese di ulteriori due gradi e l’imbarazzo svampó all’improvviso. La Tassoni fa questo effetto, è scritto pure sull’etichetta, “consumare con cautela, mette a proprio agio e provoca emozione”… non tanto in chi la beve (aggiungo io) ma in chi brinda con chi la beve. Susanna è il suo nome, è una ragazza rara, Gioele lo capì immediatamente, lo capì dall’accelerazione dei battiti che gli provocava la sua vicinanza, praticamente non la conosceva ma starle vicino gli causava tachicardia, tachicardia a lui che per colpa dell’ipotiroidismo, dell’atleticità e del gelo che aveva dentro da qualche tempo a quella parte soffriva di bradicardia. Questa cosa lo sorprese e non poco, senza farsi accorgere iniziò a cercare il libretto delle istruzioni, “istruzioni per l’uso di Susanna”, lo chiese a ChatGPT “mi dici dove trovo le istruzioni?”, la poco intelligente artificiale non seppe rispondere, quella presuntuosa di un algoritmo (o algoritma visto che fa la femmina), iniziò a girare a vuoto, “sto cercando, aspetta”, e Gioele - che tra le sue qualità non annovera certo la pazienza - di aspettare aveva voglia zero tanto che si scollegò e si disse “faccio senza istruzioni”.

Il destino li aveva fatti incontrare, ancora non era chiaro quale fosse il disegno ma era un fatto che fosse successo. Lei non aveva nessuna voglia di agevolarlo quel destino, non aveva tempo e quello che aveva non le andava di sprecarlo in modo sciocco, aveva un sacco di cose da fare, il giorno dopo doveva carteggiare gli infissi del primo piano, voleva cambiare il colore, quello vecchio non gli piaceva più, le ricordava troppo il periodaccio che aveva vissuto, poi doveva fare la spesa prima di entrare in turno, le serviva un sacco di roba, la dispensa era vuota, servivano pomodorini gialli, pomodorini rossi, un etto di San Daniele, un pacco di fascette autobloccanti che stavano finendo e non si sa mai, le uova per i passatelli, l’olio (extravergine di olive toscane), l’acchiappacolori per lavare bianchi e colorati insieme e la Coop apriva alle 8.30, doveva svegliarsi presto e si stava facendo tardi.

“Si è fatta una certa, che dici andiamo?”. 

Gioele non aveva sonno, era adrenalinico, glielo aveva pure detto, stava cercando tutti i modi per fare colpo, era pure un po’ incazzato perché non doveva mettere la maglietta blu e le scarpe gialle, avrebbe dovuto indossare una camicia bianca quella sera, e baciarla a tradimento per darle modo di sentire il sapore delle sue labbra, ma aveva sbagliato i tempi, non aveva colto l’attimo, aveva ascoltato troppo e parlato poco, le aveva dato spazio per pensare e quando si pensa le occasioni sfumano.

Gli capitava ogni volta che si presentava  un’opportunità importante, se la lasciava sfuggire, e dopo si allambiccava per farla ricapitare, quasi sempre senza riuscirci. 

“Ok, andiamo, ti riaccompagno…”

Il lunedì successivo decise di giocarsi la carta della sorpresa romantica (che poi cosa romanticava cosa che l’aveva vista una volta?!), andò dal suo fioraio di fiducia - Ernesto del “Paradiso della giunchiglia” - e ordinò dodici rose rosse, senza subito rendersi conto che non avrebbe saputo dove fargliele consegnare, a meno di non dare al fiorista indicazioni vaghe tipo “più o meno lì”, un vero rimbambito. Non gli restò che portarle con sé,, le aveva pagate, in nero tra l’altro e quindi uscì dal negozio con quel mazzo vermiglio intenso e se ne ritornò a casa, “va beh, vorrà dire che oltre a tonnellate di libri per qualche giorno ci sarà un po’ di colore profumato a fare da sfondo a quest’incompiuto del mio appartamento”.

Susanna intanto era ritornata alla sua routine, dimenticandosi un po’ alla volta di quella serata strana, di quel tipo strano, di quella Tassoni tiepida, e tutto senza pensare minimamente al destino. 

Passarono così le settimane, faceva sempre più caldo, l’estate stava esplodendo e la gente si rifugiava in ogni dove per cercare refrigerio, orde di umani sudati si tuffavano in piscina, qualcuno si arrampicava in collina, molti bivaccavano nei supermercati dove l’aria condizionata andava a palla. Fu lì, nella corsia dei freschi, che si incontrarono di nuovo.

“Hei ciao!”

“Dai! Che coincidenza, pure tu qui!”

“Sì, ho finito il burro”

Quello che successe dopo è un po’ confuso, fu tutto molto veloce, lei dopo aver recuperato il burro se ne andò alla cassa automatica, lui col dentifricio e una  scatola di cappelletti “fatti a mano” la seguì, pagarono entrambi ed entrambi scesero nel parcheggio sotterraneo dove stavano le loro auto, parcheggiate una di fianco all’altra, lei non trovava le chiavi, lui non trovava  la testa, si guardarono per circa ventisei secondi poi lui si avvicinò, “scusami, ho dimenticato di dirti una cosa” - “dimmi” - “vieni più vicino che la tipa della security ci ascolta” - si avvicinò pure lei - “dimmi…” - lui non disse nulla, la baciò.

La vigilante osservava la scena circospetta.

Il burro le cadde dalle mani, e rovinò  a terra spiaccicandosi insieme al dentifricio e ai cappelletti (avevano inventato una nuova ricetta),  non lo schiaffeggiò, lo lasciò fare… “non è male, no, no, non è niente male…” pensò… mentre assaporava pure lei quel gusto lingua e saliva.

La sveglia suonò alle 5.30 come al solito, Gioele si svegliò di soprassalto, sudato e confuso, aveva fatto un sogno strano, si precipitò in bagno e si lavò la faccia con l’acqua fredda che più fredda non si può, cercando di capire che cos’era successo, dov’era e dove stava andando, e chi era questa sconosciuta della Susanna che aveva scombussolato il suo percorso onirico… e soprattutto si chiese se esistesse davvero da qualche parte fuori da quel dormire agitato. 

Non trovò nessuna risposta, GPT l’aveva disinstallata, uscì di casa e si diresse in stazione a passo lento.

Bene… oddio bene, diciamo benino… ma cogliamo il lato positivo, perché questa storia, come tutte le storie, ci insegna qualcosa, anzi due cose, forse tre…. la prima è che non bisogna sognare, la seconda che non bisogna mai credere che ciò che si sogna possa avverarsi, e la terza, la più importante è che non bisogna mai finire i cappelletti. 









2 commenti:

  1. Ma Susanna lo sa che è stata molto fortunata a far emozionare Gioele?! Perché io ho provato mille volte senza mai riuscirci…

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