L’allergia di Luì

Innamorarsi a giugno credo possa essere bello, innamorarsi al mare credo possa essere bello, innamorarsi al tramonto credo possa essere bello, innamorarsi e basta credo possa essere bello.

Ma Luì quel giorno non aveva voglia dell’amore, magari un due patatine fritte, una pinta di birra, una piadina con le sarde e lo scquaqquerone, ecco forse le avrebbe gradite di più.

Perché dite voi? Non lo so dico io, bisognerebbe chiederlo a lui, le sarde gli piacciono di questo son certo, ma perché l’amore no questo lo ignoro.

L’amore alla soglia dei cinquanta è raro, raro come lo era lo Swatch Scuba Happy Fish  alla fine degli anni 80.
Lui non aveva cinquant’anni, navigava nell’intorno dei quaranta virgola un lustro abbondante, e c’è una certa differenza ci tengo che si sappia, ma aveva sviluppato comunque una particolare allergia all’arte di Cyrano, il  Bergerac, quello dell’apostrofo.
Lo aveva scoperto un giorno facendo il test, glielo aveva consigliato il dottor Mantegazzi: “Si faccia analizzare signor Luì, lei è autoimmune, un autoimmune di gregge, una pecora del sentimento, faccia un prelievo così ci togliamo il dubbio”.
E così fece.
E così fu.
“Peccato” pensó.
“Peccato ma neanche tanto” aggiunse poi tre giorni dopo, “son cose che capitano”.

L’amore autoimmune evolve, trasmuta, diventa consapevole abbandono alla libertà.

Cerco di spiegare: l’auto immune normalmente si è troppo emozionato nel corso della propria vita, ha dato troppa enfasi al cuore che batte, ai profumi che persistono fuori e dentro, alle notti insonni, ai sogni e ai progetti scaduti, alla speranza di sperare ancora, agli amplessi vibranti, ai baci che colano, ai sorrisi in sincro, si è rotto le balle di tutte queste indigeste farfalle nello stomaco, non che tutta sta roba non fosse fantastica-mitica-mistica e pure eccitante come la marmellata di more, ma ha capito che se sbagli il tempo tutto si sfila e restano i cocci.
Come quando la chiusura di un braccialetto di perle si rompe mentre stai correndo sulla spiaggia, non ritroverai mai più tutte le perline. 

Alcune resteranno sepolte per sempre.

E allora l’autoimmune si rifugia nella libertà, nel calore temporaneo di storie a tratti: ad un tratto una storia c’è, un tratto dopo una storia non c’è più.

È questione di abitudine, di libidine cinica, di raccontarla e raccontarsela, di prendere il bello se e quando c’è così come di sopportare il brutto conseguente.

Credo fosse per questo che Luì quel giorno non aveva voglia di amare.

“Agata ma che ci fai pure tu qui?”
“Potrei chiederti la stessa cosa”
“Beh io sto passeggiando”
“Beh pure io allora”
“Ma quanto tempo è passato?”
“Sborantamila anni”
“Già”
“E perché non sei felice?”
“Ma che domanda è? E che ne sai se sono felice?”
“Ti conosco”
“Tu? Tu conosci me?”
“Sì, lo sai, ti conosco come nessun’altra”
“Lo so”
... 
“Bevi qualcosa?”
“Dove?”
“Che ti frega, dimmi se bevi e dove vediamo”
“Ok, bevo”
“Allora andiamo lì”

Lì c’erano un bar sulla spiaggia, i Ricchi e Poveri che cantavano, un barista grasso, due ragazzetti che limonavano (lui gli toccava il culo sopra a jeans troppo stretti), il sole che scendeva dalla parte opposta, una draga al largo.

“Luì”
“Sì?”
“Mi hai mai pensato in tutto questo tanto che ci è successo”
“Praticamente sempre”
“Ah”
“Non dovevo?”
“Bah, non avresti dovuto, ma tanto lo so che fai sempre le cose sbagliate”
“Hai visto la draga?”
“Si”
“Lavora per me”
🤔 per te?”
“Si, sta cercando una perla sepolta da qualche parte là sotto, la persì un giorno di quella volta che tu eri andata”
“E la cerchi oggi?”
“Sì”
“E perché?”
“Mi ha detto Mantegazzi che è l’unico modo per curare la mia allergia”


2 commenti:

  1. Che bello leggerti!
    Stupenda la metafora delle perline nella sabbia.
    Grazieeeee

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  2. Perline di vita nascoste sotto granelli di tempo.
    Resteranno sempre lì, hai voglia a scavare.

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