Il portalettere, Giulia, il lago di Como, le cose da non dire

Dormiva poco ultimamente, probabilmente l’età stava iniziando a fare effetto, i ritmi circadiani erano impazziti, o perlomeno leggermente alterati, e pertanto così suscettibili come sono si erano messi a far casino, notte-giorno non proprio ben definiti, sogni che iniziavano in fase Rem e sconfinavano pure nella NRem, con il risultato che “le ore di non riposo” battevano le “ore di riposo” tre a due, spesso anche quattro a uno, così che la battaglia veniva persa quasi ogni notte, tanto da portarlo - a fine campionato - abbondantemente fuori dalla zona Champions.

In questo eccesso di veglia il nostro Luì si era ricostruito il suo precario equilibrio, aveva allungato i tempi della cena, anticipato la colazione, era riuscito pure a minimizzare i momenti “morti” rispolverando logore abitudini tanto odiose quanto rassicuranti, insomma aveva ridotto al minimo i momenti di confronto con se stesso, troppo pesanti anche per uno come lui che spacciava resilienza (che parola di merda!) fin da bambino.

Quel giorno la incontrò per puro caso, la vide uscire dal portone numero 17, non riuscì ad evitarla nonostante lo zigo-zago tra le auto parcheggiate sul corso..

“Hei ciao, che ci fai da queste parti?”
“Mah nulla, passeggiavo”

Era bella, molto bella, come sempre, sudata, i capelli raccolti, le scarpe rosse, la sigaretta, sorrideva.

“Come stai?”
“C’è il sole, quindi bene direi”
“Diresti?”
“Direi… sì”
“Tua figlia?”
“Lei bene senza direi, è diventata grande”
“Immagino, ma solo grande? Nient’altro?”
“Beh tanto altro in realtà, ma grande è la prima cosa che salta agli occhi incontrandola”

Si guardarono per qualche istante senza aggiungere altro, le loro espressioni custodivano sentimenti e stati d’animo contrapposti. Lui era spento, lei radiosa, lui confuso, lei sicura, lui intossicato, lei serena, lui era cambiato (e non in meglio), lei sempre la stessa.

L’omino che portava le lettere si fermò poco distante da loro, era nuovo della zona, cercava l’ufficio dell’avvocato Dario Buonfigliolo, doveva consegnare una raccomandata. 
Li guardò distrattamente, quel casco bianco con la striscia gialla gli stava una taglia più grande, non dava professionalità alla figura.

“Ok allora… allora ciao, io vado..”
“Sì, si è fatta una certa… vado anch’io…”
“Mah… volevo dirti”
“Nulla, non volevi dirmi nulla”
“Ah ok. Sì effettivamente non volevo dirti nulla”
“Ciao”
“Ciao”

“Un raccomandata 1 per l’Avvocato”
Il tono del portalettere era stentoreo, a dispetto del casco e dell’apparente insipienza.
“Salga al primo piano, interno 1, sono Giulia”
“Giulia… bel nome”, pensò.

Quando c’è qualcosa da dire che non vuol essere ascoltato è meglio tacere, perché insistere dilungandosi in spiegazioni non richieste? Nel bene o nel male non importa, repetita non iuvant quasi mai.
“Volevo dire…” - “Nulla… so già tutto, non serve andare oltre”.
A volte ci si perde nello spiegare ad altri quello che invece vogliamo solo ribadire a noi stessi, per il piacere di auto-ascoltarci così da fingere di essere ancora qualcosa, per auto-assolversi, per rallentare il palese, si indugia in inutili dettagli, si sproloquia apparecchiando evidenti ovvietà, e chi ascolta o si frantuma i coglioni o semplicemente non sa rispondere.

Luì a questo era arrivato, aveva detto anche più di tutto quello che c’era da dire, aveva fatto anche più di tutto quello che c’era da fare, ora non aveva voglia di sentirsi raccontare altro, da nessuno, né da lei, né tantomeno da quei pochi pochi che di tanto in tanto gli stavano vicino e che spacciavano consigli a cazzo.
Non per una presunta e spocchiosa superiorità, non per la voglia di fuggire la realtà, ma semplicemente perché già sapeva.

“Guardi Giulia mi metta una firmetta qui, ecco così… e una anche qui!”
“A posto?”
“Mah veramente vorrei chiederle ancora una cosa?”
“Dica?”
“Ma mi lasci il tuo numero?”
“Ma lei è sempre così screanzato e diretto?”
“No, ma per te ho fatto un’eccezione”
“…”
“Chiamami in ufficio, forse ti rispondo”
Il portalettere è il mestiere del futuro, sempre più raro, sempre più inutile, è l’unico che riesce ad entrare nel cuore delle segretarie degli avvocati alle 10.30 del mattino.

Si allontanarono così, come se il tempo passato insieme fosse stato il più inutile di quello fino ad allora trascorso, un incidente spazio/temporale lo avrebbe definito Albert, strascichi di disagio per lei, residui di mai visto una roba così per lui. 
Punti di vista opposti per la stessa cosa, punti di arrivo convergenti ma “per e con” motivazioni antitetiche.
Servirebbe un poliziotto a fare ordine in tutto sto caos.

Luì di lì a poco sarebbe partito per Como, voleva capire che cosa gli stava succedendo, un’amica gli aveva consigliato di passare là un po’ di giorni.
 “…in quel posticino vista lago, puoi fare il mio nome, non sanno chi sono ma per evitare figuracce fingeranno di conoscermi, scegli la camera numero 9, è accogliente, al limite dell’avvolgente. Porta le scarpe da ginnastica, il lungolago merita, soprattutto tra le 6.45 e le 7.36, poi caffè all’Hemingway, il caffè fa cagare ma sono certo che a te la location piacerà da impazzire. La sera non stare a perdere tempo, dormi se non trovi nulla di meglio da fare”. 
Così gli aveva detto, a lei non difettava certo la capacità di sintesi.





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