Alluvione

E poi c’erano vite accatastate sulla via, cumuli di ricordi, tonnellate di storie passate, pezzi di futuro incastrati a residui di presente, tutto terribilmente confuso, sporco, fetido, ferito, umido, a tratti nauseabondo.

L’acqua aveva sommerso ogni cosa, anche i sogni, aveva infradiciato le aspettative di Giulia e Antonio, sessant’anni in due, da poco nella nuova casa, dipinta di fresco, con quel lettone morbido stracolmo di cuscini e il tostapane azzurro american style, tutto svampato ed inghiottito dal gorgoglìio.

E pure Giorgio, triste già prima della piena, immerso da sempre nella sua pesante solitudine…. oggi manco più quella aveva salvato, sfollato tra gli sfollati, ancora solo ma impilato tra decine di sventurati come lui. 

E Angela, studentessa ed artista, amante della musica, dell’incenso e dei colori, che nonostante la tragedia è riuscita a trovare il mezzo pieno: “toni di grigio su fuseaux lilla, mi dona parecchio”, dichiarò ai cronisti.

E Carolina, solo lacrime, infradito e pigiama, tutto il resto da ricostruire-rifare-ripensare-riprogettare, aspettava Dino, era fuori per lavoro, ma lei aveva bisogno di lui e Dino arrivò. 
Non tutto era perduto.

E poi camion, autobotti, sirene, elicotteri, auto, pale, sacchetti di sabbia, mancavano solo le trincee, perché tutto sembrava guerra, tutto sembrava lotta.

Un paio d’anni fa andava di moda il più classico dei “ne usciremo migliori”, oggi qualcuno si chiede “ne usciremo?!”, qualcun altro beve vino e tace.

Le automobili sono più affrante dei loro proprietari, qualcuna di loro è morta affogata, una Ford Focus bianco perla sta agonizzando in officina da tre giorni, non ce la farà.

Le pompe sono diventate introvabili, le idropulitrici le paghi a grammo e ti consigliano di conservarle in cassaforte dopo l’uso, i baci con la lingua sono scesi del 36% in quantità, del 62% in qualità, e già prima non è che il dato fosse esaltante.

Ma una cosa l’acqua non è riuscita a cancellarla e non ci riuscirà, si tratta dell’espressione di chi ha già tolto il fango, i quasi puliti, i reduci del “ce l’abbiamo fatta”, i primi ad aver scavato, asciugato, aspirato, spalato, caricato, quell’espressione da veterani un po’ afflitti, un po’ euforici, un po’ incoscienti ed un po’ sereni, si sereni, magari per poco, forse per molto poco, ma comunque sereni. E la serenità, anche se solo per un istante, conforta.

“La vuoi una Ceres, guarda che aiuta”
“Meglio di no, non credo sia una buona idea”
“Fidati, meglio del Brufen”
Girava tutto, girava tutto “molto vorticosamente”, era già capitato e ricapitò ma non riusciva ad abituarcisi fino in fondo, forse la stanchezza, forse la rabbia, forse l’impotenza figlia della mancata soluzione, forse l’insonnia, forse 105 la massima e 48 la minima, forse il fango, ma la Ceres restava comunque un azzardo mica da ridere in quella condizione.
Optò per un te caldo non appena raggiunto il proprio inutile e vuoto angolo di conforto.

Il rumore dell’auto-spurgo che ricaccia quella melma melmosa nel greto ancora scosso del fiume ha un non so che di consolatorio, “fottiti merdaccia” è il sottotilo, fuori da casa mia la chiusura.











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